M5s e Lega: nei comuni nasce la Terza Repubblica

Per capire il futuro della politica nazionale, spesso può essere utile leggere le cronache locali.

Mercoledì scorso il Giornale di Sicilia pubblica il resoconto di un’intervista televisiva di Giancarlo Cancelleri, tirapiedi siciliano di Luigi Di Maio e fratello dell’onorevole Azzurra Cancelleri, alla seconda legislatura.

L’articolo contiene una notizia e mezza. Anche al voto europeo, la prossima primavera, ci saranno candidature scelte direttamente dal Capo Politico, cioè Di Maio. L’obiettivo è raccogliere preferenze, per farlo servono volti noti. Proprio come ai collegi uninominali dello scorso voto politico. È una mezza notizia perché sembra naturale che vogliano provare di nuovo l’ebbrezza di poter distribuire potere e assicurarsi fedeltà.

La notizia vera è un’altra: Cancelleri apre ad alleanze post elettorali a livello locale e lo fa con riferimento alla Lega. Il Movimento “non fa alleanze preventive” ma con la Lega si può “trovare un punto di intesa successivo”.

Uno scenario simile, se dovesse trovare riscontri reali dopo le amministrative, significherebbe che si sta delineando la politica nazionale dei prossimi dieci anni. Uno scenario che trova riscontro a Roma (com’è ovvio) come a Bruxelles. Scrivevo qualche settimana fa come in europa il Movimento sia condannato a trovare nuove alleanze per contare qualcosa. Orfano di Nigel Farage (il Regno Unito, causa Brexit, non eleggerà europarlamentari), Di Maio e soci dovranno trovare una nuova casa, pena l’impossibilità di esercitare l’azione politica e, soprattutto, di accedere ai fondi riservati ai gruppi politici. Servono 25 parlamentari di sette paesi per formare un gruppo: l’aggancio con l’ALDE (i liberali) è fallito due anni fa, i verdi non ne vogliono sapere (e nemmeno Casaleggio).

Al Movimento, per adesso, resta il gruppo di Salvini e Marine Le Pen.

M5s, anticorruzione: i veri problemi dietro il rinvio a dicembre

La vicenda è ormai nota. Martedì la Camera approva con voto segreto un emendamento alla legge anticorruzione (quella che contiene – ancora, ma ci torneremo – le norme salva Casaleggio) che ammorbidisce i reati di abuso d’ufficio e peculato.

Ovviamente c’è un problema, significa che qualcuno, nella maggioranza, ha votato con l’opposizione. Aldo Giannuli, visto che l’estensore dell’emendamento è un ex M5s iscritto alla massoneria, ha ipotizzato un accordo trasversale tra confratelli.

Sia come sia, secondo i calcoli, i deputati di maggioranza che hanno votato l’emendamento contro la linea definita dal governo sono almeno 36. Statisticamente è molto difficile che, come accusa Di Maio, siano tutti della Lega. Ieri, nell’assemblea trasmessa in streaming, è apparso estremamente in difficoltà. Ma questa, ovviamente, è una mia impressione.

Come spiegavo ieri, nel Movimento è finita la stagione dei dissidenti che, pubblicamente, mettono in difficoltà la leadership: non conviene a nessuno. Meglio, come ha fatto Roberto Fico, incassare alti dividendi politici (copyright Nicola Biondo) con messaggi comprensibili solo a chi ha le giuste chiavi di lettura.

Quell’emendamento è un provvedimento secondario, che si può eventualmente correggere con altri passaggi parlamentari. Questo voto è un messaggio. Ai parlamentari del Movimento 5 Stelle non importa nulla di quello che si vota o meno, si può anche derogare ai princìpi per un reato come il peculato (l’appropriazione indebita di risorse dello Stato da parte di pubblici funzionari). Quello che importa è che tutti abbiano la propria ricompensa: in questi mesi, senatori e deputati provenienti dalla scorsa legislatura sono stati accontentati. Posti di governo e sottogoverno, presidenze di commissione, incarichi nel partito. Quelli di prima nomina, invece, sono ancora in lista d’attesa, e la pazienza sta finendo.

La preoccupazione è che la leadership di Luigi Di Maio non sia in grado di garantire nulla per il prossimo giro di giostra. Il sospetto è che, ormai, chi ha più “anzianità” si sia rassegnato al fatto che questa legislatura resterà un’esperienza isolata.

Se così dev’essere, allora durerà cinque anni, anche a costo di cambiare cavallo, leader, governo. C’è chi, nel Movimento, senza esporsi come “dissidente”, è comunque pronto a formare maggioranze alternative per tutelare la legislatura.

I dissidenti non esistono

Tocca tornare sul tema dei dissidenti perché ad ogni emendamento che un parlamentare del Movimento presenta sembra che stia per cadere il governo. Ovviamente non è così, ora vediamo perché.

Anzitutto il tema, questo sì, è abbastanza vintage. Poteva essere interessante quando Grillo e Casaleggio facevano i video incazzosi per cacciare Favia, o anche all’inizio della scorsa legislatura quando Gianroberto cercava di comandare un gruppo di 160 neodeputati, fino a un giorno prima spesso senza nemmeno un lavoro, a colpi di mazzate digitali. Per un po’ ha pure funzionato. Adesso no, perché oltre a capire i vantaggi di espellere chi non si allinea, cioè rintuzzare le truppe cammellate sui social dei fan delle pagine Facebook, si sono capiti pure gli svantaggi.

Che non sono mediatici, anzi. Più se ne parla, da questo punto di vista, meglio è, più consenso raccolgono. Gli svantaggi sono economici, sia per il gruppo parlamentare che per l’interessato. Il gruppo perde soldi (i contributi di Camera e Senato sono proporzionali al numero di aderenti al gruppo), l’interessato perde la ricandidatura e la visibilità. Appena vieni espulso, non sei più un “dissidente” quindi non sei una notizia.

Nel Movimento, invece, si sono fatti furbi tutti quanti. Lasciare le briglie sciolte permette ai pigiapulsante che Casaleggio ha fatto eleggere di finire sulle homepage dei quotidiani, al partito di mostrare un minimo di vitalità e ai vertici di tenere sul chi va là gli amici della Lega.

Di Maio, dal canto suo, può promettere molto dalla sua posizione: finché la manterrà, se le cose si mettono male, può sempre far passare un emendamento qua e là per mettere a cuccia i suoi cagnolini.

Questo è l’equilibrio che si è venuto a creare. Non esiste alcuna corrente nel Movimento, tanto meno legata al Presidente della Camera che ha dimostrato di avere la spina dorsale di una medusa d’acqua dolce.

C’è qualcosa che minaccia questo equilibrio? Sì: la mancanza di materia prima, cioè ricandidature e potere da distribuire sotto forma di “premi” (per usare il termine che Di Maio ha utilizzato parlando di Luca Lanzalone) parlamentari e non. Nel momento in cui il capo non potrà più promettere nulla, sarà necessario trovare nuovi equilibri. Attenzione: nuovi equilibri. Non significa che salterà il banco: prima di arrivare al voto anticipato la situazione dovrà essere veramente, veramente pericolosa. Difficilmente un parlamento composto al 60% di deputati e senatori di prima nomina sceglierà di tornare al voto.

A febbraio 2022 si vota il nuovo Capo dello Stato.

A settembre 2022 seicento rappresentati del popolo maturano il diritto alla pensione.

Dormite sonni tranquilli, per ora.

Il mondo va meglio. Male, ma meglio

Ho accennato ieri, parlando del discorso di Dario Corallo all’assemblea PD, al fatto che è sbagliato dire che il mondo vada “peggio“. Un lettore mi ha contestato quest’affermazione. Non mi riesce difficile capire come mai, ma purtroppo è la pura e semplice verità: il mondo va meglio. Male, ma meglio.

Male, nel senso che la povertà non è stata sconfitta, ancora. Meglio, perché ci sono sempre meno poveri, sia in percentuale che in valore assoluto.

Male, nel senso che l’aspettativa di vita non è alta ovunque. Meglio, perché è ovunque più alta di alcuni decenni fa.

Questo paradigma vale per decine e decine di parametri.

Non è un concetto immediato, lo capisco, ma è così: le cose possono andare sia “male” in termini assoluti che meglio, cioè essere migliori rispetto a un periodo d’analisi precedente.

È spiegato molto bene in un libro che ho letto la scorsa estate: Factfullness. Vengono analizzati alcuni dati, alcuni trend e smontate alcune credenze consolidate sullo stato del mondo e su svariate tematiche. Lo consiglio vivamente perché lo ritengo illuminante. L’autore, Hans Rosling che purtroppo è mancato pochi anni fa, è anche relatore di alcuni meravigliosi TED talks, che trovate a questo indirizzo. C’è anche un sito, gapminder.org, che fornisce strumenti per “vedere” come si è evoluto il mondo negli ultimi duecento anni.

Nel volume, Rosling spiega pure come nella sua esperienza di conferenziere abbia potuto incontrare numerosissimi uomini e donne titolari di grandi responsabilità politiche ed economiche. La tragedia è che anche la maggior parte di loro ha una visione del mondo completamente sbagliata, basata su fatti veri magari cinquanta o settant’anni fa.

Credo che qualsiasi proposta politica non possa che partire dai dati reali, veri, certificati. Anche Dario Corallo, purtroppo, ha dimostrato di non conoscerli.

Corallo vs. Burioni: la strada del PD verso il disastro

Sabato, all’assemblea del PD, il candidato alla Segreteria Dario Corallo ha espresso la sua opinione sul virologo Roberto Burioni definendolo, senza troppi giri di parole, un bullo.

Questo è il messaggio passato nei mass media, ma c’è un passaggio che ritengo più grave e pericoloso. Quello subito successivo in cui Corallo dice che sono state “elevate a scienza assoluta quelle che sono scelte politiche“. Non m’interessa affrontare il tema dello stile di Burioni, ma se quel passaggio è riferito al modo in cui è stato affrontato il tema dei vaccini e della divulgazione scientifica, e se Corallo rappresenta la freschezza del nuovo che avanza, le opposizioni hanno – ancora – un problema.

Lo dico perché per me si tratta di un film già visto.

Era l’aprile del 2016 quando, in un’intervista a La Stampa, spiegavo come il metodo del Movimento 5 Stelle, che pure avevo contribuito a formare, allontana le competenze e attira i cialtroni. Abbiamo visto com’è andata a finire.

Il discorso di Corallo, che prosegue dileggiando la scienza economica e parlando di mercati come “persone che cercano di arricchirsi, punto.” Ecco, amici del Partito Democratico, questa è la strada più breve verso il disastro. La conosco, l’ho vista imboccare ai miei vecchi compagni d’avventura; l’avevo imboccata io stesso. È la strada che inizia con il porre la politica al di sopra dei dati, della scienza e dello studio. La strada che semplifica concetti complessi come “i mercati”. La strada che porta a fondare le proprie iniziative sui cliché.

Il mondo, magari, va male. Ma va anche meglio di prima: i due fatti non sono esclusivi, lo confermano i dati.

Ma se anche fosse vero, e così non è, che viviamo in un mondo peggiore, più ingiusto, più iniquo, pensare di risolvere i problemi contro chi governa determinati processi e non assieme è, a mio modesto parere, folle.

Se è falso che il mondo di oggi sia peggiore di quello di ieri, è invece vero che il potere si è in parte spostato altrove e non risiede più solo, di fatto, nelle istituzioni democratiche. Occorre trovare soluzioni ai problemi insieme ai nuovi poteri: farlo contro significa nel migliore dei casi fallire, nel peggiore contribuire a sbriciolare il poco di credibilità che le comunità politiche, di qualsiasi natura, ancora conservano.

Il comma Casaleggio che blinda Davide

Dopo aver segnalato la legge salva Casaleggio nascosta nell’anticorruzione di Bonafede, e dopo la replica di Luigi Di Maio, abbiamo spiegato nel dettaglio di cosa si tratta. Dopo aver legittimato per legge l’associazione Rousseau, messo al sicuro l’identità dei finanziatori e assicurato che nessuno possa farle concorrenza, resta da blindare il grande capo.

L’ultimo comma interessante riguarda il ruolo di Davide Casaleggio. L’ultimo pericolo è che qualcuno, dal Movimento, chieda di poter intervenire sulla gestione dei soldi raccolti da Rousseau. D’altronde, sono denari che gli attivisti e i simpatizzanti versano pensando di sostenere il partito di Di Maio. I parlamentari stessi chiedono di effettuare donazioni, quindi perché non poter gestire questi soldi?

Anche per questo problema arriva in soccorso Bonafede, con questo comma: “I partiti o movimenti politici e le fondazioni, associazioni o comitati ad essi collegati devono garantire la separazione e la reciproca indipendenza tra le strutture direttive”. Nessuno può mettere becco nelle decisioni di Davide, la Rousseau Open Academy, iniziativa mai deliberata dal partito, è salva.

 

 

Il comma Rousseau della #salvacasaleggio

Stiamo entrando nel vivo dell’analisi della legge Bonafede salva Casaleggio. Ne abbiamo parlato settimana scorsa per la prima volta. Poi ci ha risposto il ministro Di Maio. In seguito siamo tornati sul tema spiegando come la norma risolva il problema della natura dell’Associazione Rousseau e aiuti a tenere riservata l’identità dei suoi finanziatori.

Parliamo adesso del rapporto tra Movimento 5 Stelle e Associazione Rousseau.

Dobbiamo fare un salto indietro di un paio d’anni. Siamo nel 2016: Gianroberto Casaleggio, fondatore del Movimento 5 Stelle, è malato e ha pochi giorni di vita. Fino a quel momento, lo sviluppo della piattaforma Rousseau e l’amministrazione dei processi democratici del partito erano stati gestiti dalla sua azienda, Casaleggio Associati. La società non raccoglie direttamente fondi, anzi perde un sacco di soldi a causa degli oneri che derivano dall’amministrazione del partito.

Pochi giorni prima della morte del fondatore, lui e il figlio Davide fondano, davanti a un notaio, l’Associazione Rousseau.

Poche settimane dopo la morte di Casaleggio, Davide annuncia che tutte le attività passeranno da Casaleggio Associati a Rousseau e inizia a raccogliere soldi tramite il blog di Beppe Grillo. Attenzione: non per il Movimento ma per Rousseau.

Quando, nel 2017, viene riscritto lo Statuo del M5s, Luca Lanzalone scrive un articolo dedicato interamente a Rousseau che diventa l’unico soggetto titolato a gestire i processi democratici tramite l’omonima piattaforma. Il successivo regolamento impone ai parlamentari un contributo all’Associazione di trecento euro al mese.

Ma se qualcuno cambiasse idea?

C’è il rischio che la gestione Casaleggio non piaccia più. La piattaforma è tecnicamente inadeguata e pericolosa per la sicurezza dei dati in essa contenuta. Casaleggio, inoltre, coi fondi raccolti ha iniziato a promuovere iniziative non direttamente legate al partito né da esso mai deliberate. Qualcuno, nel Movimento, potrebbe mettere in discussione il ruolo di Rousseau e Casaleggio. Qualcuno potrebbe decidere di riportare la raccolta fondi in capo al partito, o fondare un altro soggetto che rivendichi il diritto di occuparsene oppure fare concorrenza a Rousseau. Nove milioni di euro a legislatura sono tanti.

Così, ecco il comma Rousseau: “…[una sola associazione]”. La norma prevede infatti che ciascun partito possa essere legato a una e una sola associazione e fondazione. Fine delle minacce a Casaleggio: sostituirlo è impossibile, per legge. Se qualcuno, nel gruppo parlamentare, pensava di poter cambiare gestione ora la legge glielo vieta, e non più solo lo Statuto del Movimento.

Luca Parnasi ha finanziato l’Associazione Rousseau?

Torniamo a parlare della salva Casaleggio. Breve riassunto: il ministro Bonafede ha presentato la legge anticorruzione che contiene alcuni commi cuciti addosso all’associazione Rousseau e a Davide Casaleggio. Queste norme, infatti, cristallizzando e legittimano per legge la singolare amministrazione del Movimento 5 Stelle, di fatto in mano proprio a Rousseau.

Di Maio, settimana scorsa, ha pubblicato un video in cui rispondeva alle nostre osservazioni, senza però affrontarne nemmeno una.

La prima riguarda la natura dell’Associazione Rousseau e la sua legittimità ad amministrare il partito e raccogliere soldi a suo nome da parlamentari e simpatizzanti.

Proprio la raccolta dei fondi riguarda un altro comma della legge: viene abbassato il limite per cui è necessario comunicare il donatore a questi soggetti (fondazioni e, ora, anche associazioni) da 5000 a 500 euro.

Apparentemente sembra una norma di trasparenza. In realtà da un lato consegna un vantaggio competitivo al Movimento e a Rousseau, visto che la maggior parte delle donazioni è inferiore a quella cifra a differenza dagli altri soggetti politici. Dall’altro mette al riparo lo stesso Casaleggio dalle domande indiscrete dei parlamentari, visto che oltre alla privacy ci sarà anche questa legislazione a proteggere l’identità dei donatori.

Attenzione però: in questo modo solo Davide Casaleggio (e i suoi dipendenti) potranno conoscere in effetti chi sostiene finanziariamente il Movimento. È un’informazione determinante per conoscere chi sono i portatori d’interessi del primo partito di governo ed è un’informazione che sarà nella sola disponibilità di un soggetto privato, non sottoposto a controllo democratico, che dispone di quei fondi del tutto autonomamente.

È chiaro che questa informazione rafforza enormemente, per legge, l’influenza di Casaleggio sul partito. Ad esempio, è l’unico a sapere se quelle decine e decine di “L.P.” tra i donatori a Rousseau siano o meno, facciamo un esempio di scuola, Luca Parnasi. Sarebbe interessante saperlo perché Parnasi è indagato insieme a Lanzalone per la vicenda dello Stadio della Roma, e Lanzalone è colui che ha scritto lo Statuo del Movimento.

Se questa lobby abbia o meno sostenuto finanziariamente il Movimento 5 Stelle tramite l’Associazione Rousseau lo sa solo Davide Casaleggio. Grazie alla legge salva Casaleggio sarà sempre così.

Rousseau legittimata per legge grazie alla #salvacasaleggio

La scorsa settimana ho scritto un articolo per spiegare come nella legge anticorruzione di Bonafede si nascondano delle norme salva Casaleggio. Il ministro Di Maio ha replicato con un video su Facebook con alcune bugie e nessuna spiegazione sugli aiuti all’Assocazione Rousseau e Davide Casaleggio previsti dal provvedimento. Il Movimento, però, ha pure rimandato di una settimana l’inizio della discussione in Aula.

Non tutto è chiaro tra i pentastellati: il motivo della reazione del ministro è la difficoltà crescente a spiegare il ruolo di Casaleggio e la sua legittimità di raccogliere e gestire in autonomia una marea di soldi, quasi nove milioni di euro a legislatura. Può farlo grazie a un articolo del nuovo Statuo del M5s, scritto lo scorso anno da Luca Lanzalone, che stabilisce la delega all’associazione Rousseau dell’amministrazione dei processi democratici del partito e, di conseguenza, nel regolamento viene prevista una quota per ogni eletto di 300€ al mese da conferire per lo scopo all’associazione di Casaleggio.

Questi soldi, più quelli raccolti tra i simpatizzanti, vengo utilizzati anche per altro, come ad esempio la Rousseau Open Academy, iniziativa di Casaleggio mai deliberata dagli organi del partito.

Tra i parlamentari, comprensibilmente, comincia ad esserci un po’ d’insofferenza: per quale motivo dev’essere proprio Davide Casaleggio tramite un’associazione privata? Perché non può farlo direttamente il partito, visto che peraltro il portale Rousseau è un colabrodo che mette a rischio i dati degli utenti?

È qui che interviene il primo punto della norma salva Casaleggio. L’articolo 9 della legge Bonafede dice che “sono equiparate ai partiti e movimenti politici le fondazioni, le associazioni e i comitati la composizione dei cui organi direttivi sia determinata in tutto o in parte da deliberazioni di partiti o movimenti politici ovvero che abbiano come scopo sociale l’elaborazione di politiche pubbliche”. Come Rousseau.

Viene legittimata per legge ed equiparata ad una fondazione politica l’associazione privata di Casaleggio, fondata insieme al padre mentre quest’ultimo era sul proprio letto di morte.

Viene legittimata per legge la successione dinastica dell’amministrazione del primo partito al governo dell’Italia.

Il primo passaggio cui ne seguiranno altri, come vedremo nei prossimi giorni, per blindare l’associazione Rousseau come amministratore del partito e mettere al riparo Casaleggio, e i soldi che raccoglie in nome e per conto del Movimento 5 Stelle, dai dubbi dei parlamentari.

#SalvaCasaleggio: Di Maio #sparaballe

C’è una notizia riguardo alla legge salva Casaleggio che il Movimento 5 Stelle chiama ironicamente spazza corrotti: la discussione è slittata a settimana prossima, mentre sarebbe dovuta iniziare oggi 12 novembre.

Evidentemente le nostre considerazioni hanno colto nel segno visto che lo stesso Di Maio ha sentito l’esigenza di replicare direttamente a me e Nicola Biondo, pur senza nominarci. Purtroppo, nel farlo, il ministro ha infilato una balla dietro l’altra che vale la pena sottolineare. Nei prossimi giorni, poi, approfondiremo più nel dettaglio in cosa questo provvedimento favorisce Davide Casaleggio e l’Associazione Rousseau.

Nella sua video replica (intorno al minuto 8) il ministro, curiosamente, afferma come prima cosa che la norma di Bonafede non aiuti in alcun modo Casaleggio Associati. Interessante, perché nessuno ha mai parlato dell’azienda di Casaleggio: a noi pareva di aver capito che non si occupasse più del Movimento 5 Stelle. C’è qualcosa che Di Maio sa e noi no?

Prosegue dicendo che dopo il nostro articolo sono addirittura andati a leggere la norma che avevano scritto (giuro, non è uno scherzo: dice proprio così), sottolineando come grazie a questa legge anche Rousseau dovrà rendicontare le spese “come però già ha fatto”. Noi, però, non abbiamo parlato di rendicontazioni, ma di altri problemi che vengono risolti a Casaleggio e Rousseau. Perché Di Maio non ne parla? Perché sono problemi che riguardano soprattutto la titolarità di Rousseau a raccogliere i soldi e l’impossibilità, se fosse approvata la legge, che qualcun altro anche all’interno del Movimento possa detronizzare l’erede del fondatore.

Il problema del ministro è interno, coi suoi: il suo potere si tiene a quello di Davide Casaleggio e Di Maio deve poter giustificare il motivo per cui, ad esempio, nessuno dal Movimento possa decidere la destinazione d’uso dei quasi 9 milioni di euro raccolti da Rousseau in una legislatura.

Il comma che Di Maio rivendica, quello che legittima Rousseau a lavorare per il Movimento, è proprio quella che blinda Casaleggio nel suo ruolo e il ministro lo sa bene.

L’aver fatto slittare l’inizio della discussione può voler dire che qualche domanda sul ruolo di Rousseau cominci a circolare, tra i parlamentari pentastellati: per questo, come contributo al dibattito interno, i prossimi giorni approfondiremo ciascuno dei quattro regali a Casaleggio raccontati settimana scorsa.