Rousseau 2030

Davide Casaleggio, per il momento, è lo sconfitto della crisi di governo. Stava lavorando agli ultimi due anni di legislatura, preparando il rientro sulla scena di Alessandro Di Battista. La crisi del governo Conte II era nell’aria da settimane, ma sembrava potersi risolvere con un terzo mandato dell’ex presidente del Consiglio, se non con un incarico a Luigi Di Maio.

Pochi si aspettavano che davvero Mario Draghi potesse venire chiamato dal Quirinale, anche se il suo nome circolava da quando aveva terminato il mandato alla Banca Centrale Europea.

Così, mestamente, Casaleggio due giorni fa si è trovato a dover comunicare i presunti dati del sondaggio su #Rousseau: circa il 60% ha dato il suo consenso all’appoggio al governo Draghi, prima che si conoscesse la lista dei ministri e quindi le forze politiche alleate.

Una sconfitta su tutta la linea di pensiero del Clan Casaleggio, che addirittura non molti anni fa pretendeva di poter annunciare i membri del governo prima del voto.

Sconfitto anche Alessandro Di Battista che si mette in pausa, una sorta di autosospensione dal Movimento Cinque Stelle, seguita da un insolito post di Casaleggio che tesse le lodi del suo prodotto (Dibba è un autore Casaleggio Associati da molti anni).

Insolita perché quasi mai l’Erede si era spinto a un endorsement così plateale verso un singolo attivista o parlamentare. L’ultima volta era stato con Luigi Di Maio, in maniera più simbolica: con un abbraccio esclusivo ai funerali di Gianroberto Casaleggio.

Segno che il nuovo accordo tra Di Battista e Casaleggio c’era e c’è. Di Battista, infatti, non ha mai detto di aver lasciato il M5s, ma di non parlare a suo nome e di non riconoscersi più in queste scelte, nel rispetto dei votanti sulla piattaforma.

Proprio la piattaforma esce “vincitrice” da questo passaggio: con il via libera alla grande ammucchiata, il passaggio su Rousseau diventa una consuetudine, accettata dai vertici della Repubblica e dall’opinione pubblica, partendo dai commentatori e dagli analisti politici.

Un rischio enorme. L’istituzionalizzazione di uno strumenti privato, non sicuro, manipolabile, manipolato dal fatto che il gestore controlla anche la propaganda del partito non porterà nulla di buono. Tanto più che l’infezione si estende ad altre forze politiche, come il partito democratico che ha detto di volere lanciare una piattaforma web per le primarie.

Da qui potrà ripartire Casaleggio, dalla centralità che il suo metodo ha acquisito in questi anni. La prossima scadenza importante sarà l’elezione del Capo dello Stato. Se nel 2013 la piattaforma (che ancora non si chiamava Rousseau) venne utilizzata da Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo come clava contro Bersani, costringendo i partiti alla rielezione di Napolitano, il prossimo anno potrebbe significare la consacrazione definitiva con la selezione del nuovo Presidente della Repubblica.

Stiamo di fatto accettando di piegare le consuetudini e i codici della Costituzione all’esigenza di un ente commerciale che vuole vendere il suo metodo. Salvo poche rare eccezioni, i watchdog non stanno sottolineando abbastanza il rischio insito in questa deriva. Non il Garante della Privacy, che ha cambiato gestione, non la maggioranza dei giornalisti che non comprende la gravità della situazione.

Con la Seconda Repubblica ci eravamo abituati a uno scontro binario tra forze alternative. Ancora oggi a ogni cambio di governo si contesta, da una parte o dall’altra, il fatto che parte della maggioranza non abbia vinto le elezioni e quindi non sia titolata a sostenere l’esecutivo. Ma la nostra Costituzione non prevede la “vittoria” di nessuno schieramento. Prevede l’elezione del Parlamento il quale, attraverso le proprie dinamiche politiche, dovrà formare una maggioranza. La Costituzione parla di gruppi parlamentari e partiti, non fa riferimento a soggetti esterni che possano accordare o negare il sostegno al governo.

Casaleggio e il Movimento selezionano il proprio personale politico affinché questo si adegui a decisioni prese all’esterno del Parlamento. In queste ore ci sono Parlamentari che fanno riferimento a questa ingerenza esterna per spiegare, o giustificare, la propria contrarietà al governo.

Ci sono, in Europa, esperienze simili: in Germania è accaduto che l’accordo di governo fosse sottoposto alla ratifica degli iscritti a uno dei partiti di una maggioranza insolitamente eterogenea. Quindi è possibile avere un approccio elastico, quando le circostanze lo richiedano. Ma non è questa la situazione: il Movimento pretende di istituzionalizzare questo innesto nel processo definito dalla Costituzione, con l’ambizione dichiarata di estromettere, un giorno, il Parlamento dal processo medesimo.

Voto dopo voto, Casaleggio sta riuscendo nel suo intento. Prima con singole norme, poi con il sostegno ai governi, domani con l’elezione del Capo dello Stato.

C’è un altro problema: il sistema è vulnerabile. Un voto elettronico remoto centralizzato è un obiettivo, un target. Soprattutto se diventa il fulcro delle decisioni che riguardano le Istituzioni dello Stato.

In gergo, si parla di aumento della superficie di attacco. Se un entità ostile intende manipolare la vita pubblica di un Paese, può agire utilizzando diversi strumenti e tattiche. Dal finanziamento di strumenti di propaganda (giornali online in lingua italiana come Sputnik e RT), alla corruzione di funzionari dello Stato, al dispiegamento di agenti dei servizi.

La piattaforma Rousseau rappresenta un ulteriore canale attraverso il quale soggetti ostili possono intromettersi nelle decisioni che riguardano la vita pubblica del nostro Paese. Come lasciare la porta di casa spalancata. È già stato dimostrato più e più volte che quando la piattaforma Rousseau viene violata, Casaleggio e il suo staff non sono in grado di accorgersene prima di convalidare i risultati delle consultazioni. Le contromisure sono sempre state prese con ritardo, accusando i gli esperti di sicurezza che segnalavano i potenziali abusi di tentativi di sabotaggio.

Un tema, questo, di cui dovrebbero occuparsi i servizi segreti. Delega governativa che, negli ultimi tre anni, è rimasta nelle mani del presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Un tema che, ove sia possibile, cercherò di portare all’attenzione del Tribunale di Milano durante il Processo al Sistema Casaleggio.

Perché Draghi va bene a tutti

Che il governo Draghi parta, ci sono pochi dubbi. Che nella coalizione non possa mancare il gruppo parlamentare di maggioranza relativa, pure. Che la decisione non sia presa dai parlamentari ma fuori dal Palazzo è altrettanto chiaro.

La stampa riporta il colloquio preliminare tra Mario Draghi, presidente incaricato, e Beppe Grillo prima delle consultazioni. E pure Casaleggio si è precipitato a Roma non appena è fallito il tentativo del presidente della Camera Fico di resuscitare la vecchia maggioranza.

Questa fase, a prescindere dall’esito che avrà, ci è utile per un ripasso e un aggiornamento delle dinamiche del Movimento 5 Stelle.

Grillo e Casaleggio

Anzitutto è utile ribadire un concetto: il Movimento 5 Stelle è di fatto amministrato da due soggetti che non sono sottoposti ad alcun controllo democratico. Non ci sono processi codificati che possano sostituire Grillo e Casaleggio dai rispettivi ruoli.

Queste due persone hanno interessi che nulla c’entrano con l’attività politica. Grillo ha il problema del figlio, Ciro, accusato di stupro di gruppo. Un problema privatissimo, certo, ma che ha già determinato due volte il rientro all’attività politica dell’attore genovese, prima quando è caduto il governo Conte I e adesso.

Le primissime dichiarazioni dei responsabili politici del Movimento, Crimi e Di Battista tra gli altri, puntavano a un fine legislatura di opposizione. Avrebbe avuto senso: si sarebbero posizionati come la Lega del 2011 col governo Monti e come lo stesso Movimento, all’epoca extraparlamentare. Opposizione dura, più semplice, meno impegnativa, certamente molto efficace per tirare la volata elettorale ad Alessandro Di Battista, che già pregustava la leadership del partito.

Poi Grillo parla, dopo mesi, e cambia tutto, scombinando anche i piani di Casaleggio che, come ripetiamo da settimane, si organizzava per una legislatura di opposizione al prossimo giro.

Casaleggio, come sappiamo, è abile a cambiare strategia quando cambiano le condizioni e, tutto sommato, questo nuovo assetto potrebbe non essere del tutto una cattiva notizia per l’Erede.

Come a Grillo, anche a Casaleggio – stando ai bilanci della sua società – giova stare in area di governo. Ma c’è di più. Affrettandosi a imporre, di nuovo, il voto su Rousseau per la ratifica della partecipazione del Movimento al governo Draghi, potrebbe ottenere un risultato insperato: istituzionalizzarsi.

Sarebbe il terzo governo che nasce perché una piattaforma privata, tecnicamente manipolabile e gestita in maniera non trasparente, viene utilizzata per la ratifica della decisione.

Siamo a un punto di non ritorno. È chiaro che la maggioranza che sosterrà Draghi sarà quella che dovrà eleggere il nuovo Capo dello Stato il prossimo anno (e questo è il motivo per cui tutti si sono affrettati ad appoggiare il nuovo governo): potrebbe essere il primo presidente della Repubblica selezionato da una piattaforma telematica e coinvolgendo un numero superiore di persone rispetto a quello stabilito dalla Costituzione.

La democrazia rappresentativa, in Italia, non è più a rischio. Siamo già di fronte a qualcosa di diverso. Siamo già di fronte a una forma di Stato diversa da quella disegnata dalla Carta quando non solo i governi ma la nomina della più alta carica politica non avviene secondo quanto stabilito dalla Costituzione della Repubblica.

L’istituzionalizzazione del Sistema Casaleggio potrebbe diventare il prezzo da pagare per la caduta del secondo governo Conte e la nascita del governo Draghi.

Roberto Fico

Due righe vanno spese per il presidente della Camera Roberto Fico. Un disastro. Ha iniziato la legislatura con uno scandalo, quando si scoprì che la sua colf veniva pagata in nero.

Non è stato in grado di portare a termine nessuno dei compiti a lui affidati dal Capo dello Stato. Nel 2018 fallì nell’impresa di formare un governo col Partito Democratico. Nel 2021 ha fallito nel non difficile compito di stabilire due o tre punti per proseguire l’esperienza di una maggioranza già esistente che aveva già iniziato un percorso di consolidamento dell’alleanza.

Il presidente della Camera è la personalità politica più scarsa per l’incarico ricoperto, peraltro assegnatogli da Luigi Di Maio per togliersi un avversario interno.

Un imbarazzo per le istituzioni e per sé stesso.

Giuseppe Conte

Nonostante i retroscena che parlano di tentativi di sabotaggio di Draghi da parte di Conte, credo che anche per il presidente dimissionario possa essere un’occasione.

Lascia il governo con consensi molto alti, quasi rimpianto, col capro espiatorio perfetto (Renzi) e appena prima che il disastro della sua gestione lo potesse colpire direttamente.

Il partito di riferimento, il Movimento 5 Stelle, è ancora carente di personalità politiche di livello, credibili come candidati capi di governo. È rispettato da tutte le correnti, così come dagli alleati, che ormai hanno alzato bandiera bianca e si sono consegnati mani e piedi a Casaleggio.

Due anni possono essere utili a costruire se non un partito almeno una lista di riferimento, che possa fungere da cuscinetto per giustificare con la base M5s una futura coalizione con la sinistra, o quello che ne resta.

Non può certo puntare al Quirinale, ma il capitale di consenso che conserva può essere impiegato nel 2023 con grande ritorno d’investimento.

Luigi Di Maio

Mettere nel curriculum “Ministro del governo Draghi I” sarebbe la consacrazione definitiva per Luigi Di Maio che gli permetterebbe di superare l’unico ostacolo tra lui e la rielezione: il limite dei due mandati del Movimento 5 Stelle. Con una carriera così veloce non credo per un solo minuto che Di Maio smetterà di fare politica a 36 anni dopo aver fatto il capo di partito, il presidente della Camera e due volte – forse tre – il ministro.

È chiaro che la prima scelta sarebbe una deroga a quella regola, restare nel Movimento, riprenderne la guida direttamente o per interposta persona e guidarlo al prossimo voto.

Ma l’alternativa potrebbe tranquillamente trovarla nella lista di Conte. Garantire a sé e alla manciata di fedelissimi che lo hanno accompagnato una rielezione giustifica il sostegno a Draghi, la fedeltà a Conte e perfino l’allontanamento dal Movimento se Di Battista dovesse diventarne la guida.

Alessandro Di Battista

Come ho scritto di recente, il destino di Alessandro Di Battista è nelle mani di Mario Draghi. Una provocazione ironica, che sottolinea come, alla fine, chi studia e ha le idee un po’ più chiare di come funziona il mondo determina le sorti anche degli aspiranti rivoluzionari da tastiera prodotti dalla Casaleggio Associati.

Ma, se vuole continuare a fare politica, Di Battista deve cedere alla realtà che, diversamente, lo travolgerà senza troppi complimenti.

La strada gliel’ha gentilmente tracciata Beppe Grillo: puntare sui temi, anche sparando cazzate, ma senza perseguire fallimentari tentativi rivoluzionari, che non possono più funzionare dopo cinque anni di governo di cui forse due guidati dall’incarnazione della migliore élite europea.

Grillo e Casaleggio dovranno convincere il nuovo frontman che ora è il momento del pragmatismo: c’è l’opportunità di tornare al governo anche la prossima legislatura. C’è la possibilità concreta per Di Battista di fare il ministro se saprà bilanciare il necessario realismo con le sue cazzate da post su Facebook.

Riuscisse a stabilire un armistizio con Di Maio, tutti potrebbero giovarne. Tutti a parte il Paese, s’intende.

Processo al Sistema Casaleggio

Come sapete, ho lanciato l’iniziativa “Processo al Sistema Casaleggio“, di cui potete trovare i dettagli qui.

Per sostenerla, ho attivato una raccolta fondi che, nel momento in cui scrivo, è sostenuta da 154 donatori che hanno versato £5.128 (in sterline perché vivo in UK). Era iniziata con un obiettivo di £3.000, raggiunto in pochi giorni, portato a £5.000, superato in poche ore. Adesso il nuovo target è £10.000. Se volete saperne di più e contribuire potete farlo da qui, o diffondere la voce!

Ho promesso di creare un archivio con tutte le informazioni sul Sistema Casaleggio che verrano usate. Un assaggio ve lo darò regolarmente, come per esempio questo articolo storico in cui Casaleggio si dichiara cofondatore del Movimento e conferma che le risorse della sua azienda sono usate per sostenere il partito.

Processo al Sistema Casaleggio

Cinque anni fa, Nicola Biondo e io abbiamo iniziato a raccontare la vera storia del Movimento 5 Stelle.

Se conoscete come davvero è nato quel partito, il ruolo di Casaleggio Associati, le strategie di propaganda, le pericolose alleanze internazionali, da Putin a Farage, è grazie al fatto che abbiamo deciso di mettere il pubblico a conoscenza di quanto avevamo visto e vissuto.

Io ho lavorato quattro anni nell’azienda del signor Davide Casaleggio, ho letteralmente visto nascere la propaganda populista negli uffici dell’azienda di Milano. Me ne sono andato, rinunciando nel 2010 a un contratto a tempo indeterminato.

Io e Nicola abbiamo scritto due libri, Supernova e Il sistema Casaleggio, centinaia di articoli e rilasciato decine di interviste negli ultimi cinque anni.

Il signor Davide Casaleggio mi ha chiesto i danni. Ritiene che le cose che ho raccontato non siano vere o che che gli abbiano causato danni. Io credo che questa sia un’ottima notizia.

Ho deciso di rendere questo procedimento, che inizierà fra pochi mesi, un atto pubblico di responsabilità civica. Ho raccontato e continuo a raccontare queste vicende, impegnando buona parte del mio tempo libero e delle mie risorse, perché ritengo un problema l’influenza che il signor Casaleggio esercita sul Parlamento senza nessun controllo democratico. Mi sono assunto e mi assumo il rischio di pagare in prima persona, perché questo problema ho contribuito a crearlo e mi sento in dovere di cercare di risolverlo.

Non accetterò nessuna mediazione: voglio approfittare di questo tentativo di intimidazione da parte del signor Casaleggio per stabilire alcune cose di fronte a un tribunale civile. Non ci sono in ballo reati: solo fatti.

L’intimidazione non ha funzionato e non funzionerà: continuerò a scrivere, raccontare, commentare, sbugiardare il sistema Casaleggio.

È vero o non è vero che Casaleggio Associati ha fondato e amministrato il Movimento 5 Stelle? È vero o non è vero che il signor Davide Casaleggio è una persona esposta politicamente? È vero o non è vero che la sua azienda, attraverso i propri siti web, rilanciava la propaganda del Cremlino? È vero o non è vero che il Movimento 5 Stelle ha avuto strettissimi rapporti con il partito di Putin? È vero o non è vero che il Movimento 5 Stelle ha supportato pubblicamente regimi autoritari? È vero o non è vero che l’architettura di gestione del Movimento 5 Stelle impedisce che il signor Davide Casaleggio sia sottoposto a qualsiasi controllo democratico?

Tutte queste verità dovranno essere stabilite una volta per tutte dal Tribunale civile di Milano, a partire dal prossimo giugno.

Ho messo insieme un piccolo gruppo di lavoro: un avvocato, un consulente, alcuni amici a cui chiederò consiglio. Come ho già detto mi assumo il rischio di dover pagare di tasca mia. Se volete potrete contribuire: ho attivato una raccolta fondi che trovate sul sito www.processoalsistemacasaleggio.it e sul mio sito marcocanestrari.it.

Più risorse avrò a disposizione, più evidenze potrò portare a sostegno di quanto ho raccontato. È importante che si stabilisca una volta per tutte il ruolo dell’azienda del signor Davide Casaleggio nella storia di questo Paese. Che sia fatta chiarezza sui metodi di propaganda, sulle relazioni internazionali, sugli interessi, sui soldi che sono circolati, sui conflitti d’interesse, sul pericolo che il metodo Casaleggio rappresenta per le Istituzioni.

Cercherò di raccontarvi passo passo il procedimento e proverò a creare un archivio di tutto il materiale che porterò a supporto della mia difesa. Un archivio che raccoglierà le prove di quanto abbiamo sostenuto in questi anni, a disposizione di tutti.

 

 

Per capire il M5s guardate SanPa

Se non avete ancora visto SanPa, la miniserie Netflix che racconta la storia della comunità di San Patrignano, fatelo. Quella storia dice molto di noi, di come l’Italia (non) affronta i problemi, di come si affidi sempre a stregoni, guru, guaritori vari.

Io, data la mia esperienza personale, ci ho visto tanto della vicenda di Gianroberto Casaleggio e del Movimento 5 Stelle. Se ci pensate, Casaleggio era una sorta di Muccioli della politica. Un po’ di esperienza nel proprio settore con la moglie, passione per l’esoterismo, forti convinzioni basate sostanzialmente sul nulla, tendenze autoritarie, scarsa conoscenza e scarso rispetto per le norme del comune vivere civile (meglio note come leggi), l’intuizione che sarà il suo successo e la sua rovina.

La miniserie è divisa in cinque puntate, che voglio ripercorrere per fare un parallelo con la storia di Casaleggio e del Movimento. Del resto, entrambi si definiscono comunità.

Nascita

Chi era Muccioli? Chi era Casaleggio? Due visionari dediti ad aiutare gli altri o due stregoni che si sono approfittati del disagio e della mancanza di alternative da parte delle Istituzioni?

Certo il background culturale dei due non era sovrapponibile. Casaleggio aveva ricevuto una buona istruzione, aveva costruito una rispettabile carriera ed era un uomo di ottime letture. Muccioli, al contrario, viene descritto come persona senza particolari doti, conoscenze, capacità o aspirazioni. Senza una chiara professione, si dedica all’amministrazione dell’albergo della moglie mentre coltiva la sua curiosità verso l’esoterismo e vive allevando galline nella casa di campagna. Organizza sedute spiritiche, si propone come guaritore (pare sia così che conosce Gian Marco Moratti, anche se non sono chiare le circostanze) e, negli anni settanta, aiuta qualche decina di ragazzi a disintossicarsi. Nel farlo, rifiuta la cosiddetta “medicina tradizionale” (cominciate a trovare qualche filo rosso, vero?) e propone un metodo di comunità facendo lavorare i ragazzi nella cascina di famiglia sulle colline di Coriano.

Il contesto storico in cui nasce San Patrignano è molto diverso da quello in cui Casaleggio decide di fondare il proprio partito, ma ci sono alcuni tratti comuni su cui vale la pena soffermarsi.

Se negli anni Settanta la crisi dei valori porta molti a cercare un senso nelle droghe (lo so, è semplicista messa così, ma cercate di seguirmi), negli anni Duemila la crisi delle ideologie e quella economica ultraventennale che colpisce l’Italia crea le condizioni favorevoli al santone di turno.

Casaleggio non è carismatico come Muccioli, ha un aspetto anche un po’ stravagante, però è capace di proporre soluzioni facili a problemi complessi, proprio come il guaritore romagnolo. Problemi veri, soluzioni affascinanti, in alcuni casi – poi usati come promozione – efficaci.

Gianroberto Casaleggio capisce il cambio di scenario politico, economico e sociale che la rivoluzione tecnologica sta causando. Capisce anche che c’è in atto una tendenza: l’Italia è uno dei paesi con la minore scolarizzazione avanzata, la minore produttività e le maggiori barriere all’ingresso della partecipazione politica e sindacale. Un mix fatale che lui vede come una opportunità: dare l’occasione di facile riscatto a un esercito di scappati di casa, in cambio di eterna fedeltà (e in seguito trecento euro al mese).

Casaleggio e Muccioli, almeno all’inizio, erano guidati da buone intenzioni? Vai a saperlo. Di certo avevano un lato del carattere molto simile, determinante per l’esito delle rispettive iniziative: non accettavano alcuna critica. Si percepivano come unici portatori di una verità rivelata, di una missione per conto di Dio che dovevano portare a termine, a qualsiasi costo.

Crescita

Quando sei disperato, reietto e nessuno ti offre soluzioni è facile accettare l’aiuto del primo che offra qualcosa. Anche fosse un regime semicarcerario sostanzialmente violento, come viene raccontato fosse la San Patrignano degli anni Ottanta.

Lo Stato non aveva una strategia per affrontare il problema delle tossicodipendenze, Muccioli offriva una via di uscita soprattutto alle famiglie che non sapevano come salvare i propri figli, diventati violenti. Una via d’uscita che però era sul filo della legalità. I processi hanno portato alla luce veri e propri sequestri di persona ai danni degli ospiti della comunità che cercavano di scappare. Violenze morali e fisiche per distruggere la personalità dei “drogati” e costruirne una sostitutiva fornita da Muccioli.

Come molti hanno detto: il metodo San Patrignano non esiste. La cura era Muccioli. E Muccioli era di fatto un fascista inconsapevole.

Casaleggio non era fisicamente violento ma lo era moralmente. La violenza si manifestava nel modo in cui puniva chi, a suo insindacabile giudizio, metteva in discussione le sue scelte. Proprio come faceva Muccioli.

Ne hanno fatto le spese molti collaboratori della prima ora (Piero Ricca, per esempio) e membri del partito. Spesso con modalità brutali, come quando pubblicò una conversazione privata per minacciare un consigliere regionale che si era permesso di dubitare alcune scelte o quando espulse interi gruppi locali con un PS. Del blog.

Le fasi di crescita delle due realtà condividono aspetti non secondari che vorrei sottolineare.

Come Muccioli ha contato sull’aiuto dei Moratti per i finanziamenti, di Red Ronnie per la visibilità mediatica e di alcuni palcoscenici per acquisire credibilità, così Casaleggio ha contato sui suoi sponsor.

Beppe Grillo, anzitutto: come Red Ronnie un popolare presentatore televisivo disposto a bersi e sponsorizzare qualsiasi minchiata gli fosse proposta. Epoca diversa, ovviamente: non sulla tv ma in Rete Grillo ha fatto esplodere il metodo Casaleggio.

Antonio Di Pietro, il Moratti di Casaleggio: politico di lungo corso che ha potuto finanziare per anni la creatura di Casaleggio sotto forma di consulenze per il proprio partito, che verrà poi abbandonato al momento più opportuno.

E che dire dei palcoscenici? Le aule di tribunale per Muccioli, gli appuntamenti elettorali per Casaleggio e il Movimento 5 Stelle.

Ma c’è un aspetto ancora più importante che credo sia comune ai due personaggi. Abbiamo già detto della loro totale incapacità di accettare critiche o mettere in discussione le proprie scelte. Come di declinava questo aspetto nelle due realtà?

Muccioli si è sempre rifiutato di sottoporre a un’analisi scientifica il metodo San Patrignano. Perché, a detta di chi si occupa oggi di dipendenze, i risultati sarebbero devastanti. Quando è stato tentato un simile studio, i dati forniti erano di fatto truccati e quindi non scientificamente validi. Il santone, a quanto pare, non voleva si dimostrasse la validità delle proprie intuizioni.

Casaleggio si è sempre rifiutato di sottoporre ad analisi scientifica le soluzioni proposte dal suo partito. Dal reddito di cittadinanza ai maggiori tassi di partecipazione alla politica che, secondo lui, comportava l’uso di piattaforme tecnologiche per il voto, nulla sappiamo sui reali effetti delle sue proposte.

Ancora, il rapporto con la legge. Guardando SanPa si capisce chiaramente il fastidio per il codice penale che aveva Muccioli, quando questo cozzava con la sua visione di educazione. Allo stesso modo, Casaleggio aveva un modo tutto suo di rapportarsi alla legge. Ricordo una sua telefonata furiosa con un povero funzionario della sua banca, quando una norma voluta da Tremonti aveva imposto la disponibilità per lo stato per la liquidità sui cosiddetti conti dormienti. Casaleggio si rifiutava di capire perché la banca dovesse obbedire a una legge dello Stato, dato che il contratto l’aveva stipulato col correntista.

Fama

Nella terza puntata della serie, SanPa è una realtà in forte crescita. Crescono gli ospiti, crescono i finanziamenti, cresce la popolarità di Muccioli. Molti descrivono questa crescita troppo veloce.

Quando è alto il ritmo di crescita è alto il numero di decisioni che si devono prendere. Può Muccioli gestire tutto da solo? Ci prova. E per un certo periodo ci riesce pure, a costo dell’inasprimento delle regole che governano la comunità.

Chi segue i miei scritti sarà già forse andato con la mente al 2013. Il Movimento 5 Stelle nel giro di pochi mesi passa dal 4-5% al 25%. Quasi duecento parlamentari vengono eletti col voto politico di quell’anno. Tutte persone senza esperienza, a cui viene delegato un potere grandissimo. Casaleggio, per mantenere l’ordine, minaccia ed espelle parlamentari violando le sue stesse regole, saltando qualsiasi procedura.

Come a Muccioli sfugge di mano la comunità, così a Casaleggio sfugge di mano il partito.

Nel caso del Movimento, c’è un fatto in più che complica le cose. Se Vincenzo Muccioli era esplicitamente il padre padrone della sua creatura, Casaleggio viene allo scoperto relativamente tardi. Non tutti nel partito e tra gli eletti lo conoscono e comprendono il suo ruolo. Anche per questo c’è grande confusione.

Declino

Anche Casaleggio affronta il declino, così come lo dovette affrontare Muccioli. Le loro creature sono cresciute senza i fondatori che si sono fatti fisicamente carico delle tensioni e delle difficoltà, arrivando ad ammalarsi.

Qui però le storie divergono. Muccioli fu protetto e sostenuto dalle persone a lui vicine, mentre Casaleggio fu di fatto esautorato dai parlamentari che, imponendo nel 2016 il famoso direttorio, spostarono l’asticella del potere da Milano a Roma.

Forse, questo diverso esito è dovuto al diverso modo in cui Muccioli e Casaleggio hanno affrontato la popolarità e il potere acquisito. Il primo abbracciando il proprio ruolo pubblico, cavalcando l’onda del successo; il secondo rifiutando la visibilità che, in sintesi, lo fece apparire debole. Lo era, ma per via della malattia. Se si fosse sottoposto a un minimo di controllo democratico, forse la storia sarebbe stata scritta in maniera diversa.

Caduta

Ma con la caduta le vicende tornano ad assomigliarsi.

Le due comunità sono cresciute, come dimensioni e come modalità di amministrazione, e sono sopravvissute ai propri fondatori. Ereditate dai figli, persone totalmente inadeguate al ruolo, lontane anni luce dalle capacità, qualsiasi fossero, dei genitori.

Soprattutto, troviamo in entrambe le storie la retorica dei traditori.

Questo, più di ogni altra cosa, mi ha colpito e di fatto spinto ad argomentare le similitudini tra le due realtà.

Il figlio di Muccioli, come quello di Casaleggio, chiama traditori gli ex collaboratori che, avendo dedicato molto della propria vita alla comunità, se ne sono allontanati non condividendone le derive. La categoria del tradimento è propria delle sette. Ma come il Movimento non è una setta così non lo è San Patrignano. Eppure delle sette hanno usato e usano i metodi.

Personalmente, reputo che questo sia dovuto alle tendenze all’esoterismo dei due fondatori. Credo che né Muccioli né Casaleggio credessero alle panzane di cui erano appassionati ma che sia l’uno che l’altro ne avessero capito la potenza.

Casaleggio, forse, facendo un passo in più: capendo che, in fondo, è la semplificazione di concetti complessi ciò che permette ai maghi e ai guaritori di avere successo. Le persone non vogliono fare fatica, non hanno tempo e voglia di studiare, comprendere, valutare. Vogliono soluzioni pronte all’uso, di semplice applicazione, di grande appeal.

Sei tossicodipendente? In comunità, isolato finché non ti passa la crisi di astinenza. Poi che fai? Resti lì, a lavorare per la comunità. Funziona? Boh.

Hai difficoltà economiche? Reddito di cittadinanza. Poi che fai? Ti viene cercato un lavoro. Funziona? Boh.

Crisi!

Siamo alla vigilia di un giro sulle montagne russe della crisi di governo. Il pretesto per l’inizio del ballo è la spartizione dei soldi del NextGeneration EU, 209 miliardi, non poca roba, che Conte voleva gestire con una struttura di missione sotto il controllo di Palazzo Chigi. Italia Viva, cogliendo l’occasione, si è messa di traverso e ha fatto saltare il banco.

Data la facilità con cui Conte ha ceduto, Renzi ha deciso di alzare la posta, complice il disastro sulla distribuzione dei vaccini, che sta procedendo molto a rilento.

Così nei prossimi giorni, probabilmente dopo l’epifania, ci sarà qualcosa tra una verifica di governo e un rimpasto. Non credo infatti che l’obiettivo di Renzi sia Conte, quanto piuttosto un suo ridimensionamento.

Tenderei a escludere un voto anticipato: la pandemia non è ancora sotto controllo e nel 2022, come ricorderete, si dovrà eleggere il presidente della Repubblica. E dovrà farlo un parlamento che, per il 60%, deve aspettare ancora un anno e nove mesi per maturare il diritto al trattamento pensionistico.

Lo scenario istituzionale

Ci sono naturalmente altri elementi di contesto importanti da valutare per capire quello che succederà. Non si tratta di fare previsioni, ma di capire quale sia la situazione di partenza.

Dal punto di vista istituzionale, ci sono alcuni appuntamenti elettorali molto importanti nei prossimi mesi, che determineranno il corso degli ultimi anni di legislatura.

Anzitutto il voto a Milano, Torino, Napoli e Roma. Diverse le circostanze.

A Torino, il sindaco uscente dei Cinque Stelle non si ricandida.

A Roma, Virginia Raggi è stata da poco assolta in secondo grado, e non ha intenzione di rinunciare al secondo mandato da sindaco.

A Napoli, Luigi de Magistris ha terminato il suo incarico e si parla di Roberto Fico come possibile candidato.

A Milano il Movimento non ha (mai) grosse aspirazioni e si è già ricandidato il sindaco Sala.

A Torino e Roma si gioca la partita dell’alleanza tra PD e M5s. Se Fico si candidasse a Napoli, si dovrebbe trovare il nuovo presidente della Camera. L’elezione di Roberto Fico era parte dell’accordo tra Movimento e Lega. Forza Italia mantiene la presidenza del Senato. Se dovessero stabilirsi nuovi equilibri, questa sarebbe una casella da riempire alla luce di nuovi accordi.

Lo scenario internazionale

Dal punto di vista internazionale sono due gli elementi che mi pare siano determinanti: l’andamento della pandemia e il nuovo presidente degli Stati Uniti.

La gestione della pandemia, in particolare il piano vaccinale, è un disastro. Prima o poi si farà un bilancio e chiunque abbia permesso una gestione così fallimentare dovrà renderne conto. Non mi stupirei se sul tavolo delle trattative, nei prossimi giorni, ci fossero la gestione commissariale di Arcuri e il ministero della Salute.

Se Renzi volesse fare sul serio, potrebbe reclamare queste due caselle per dimostrare di saper mettere le persone giuste al posto giusto (non sto dicendo che sia in grado di farlo, sto dicendo che ne avrebbe l’occasione) e contemporaneamente utilizzare queste nuove responsabilità per premere sulla richiesta dei fondi messi a disposizione dal MES sanitario.

Il 20 gennaio Biden inizierà il suo mandato di presidente degli Stati Uniti. È importante, in relazione a questa crisi del governo italiano, perché le future relazioni con l’attuale ministro degli Esteri Luigi Di Maio potrebbero non essere facili. Biden, nel 2017, scrisse un ormai noto articolo in cui confermava che in Italia il Movimento 5 Stelle aveva ricevuto aiuti dalla Russia di Putin.

Di Maio dovrà faticare non poco per convincerlo del contrario, dato che uno dei più ferventi sostenitori dell’amicizia Russo-Stellata – Alessandro Di Battista – potrebbe presto diventare il capo di fatto del suo partito. Di Battista, giova ricordare, andava chiedendo aiuto per la campagna referendaria del 2016 “ai nostri amici dell’ambasciata russa, con tutto quello che abbiamo fatto per loro”. L’abbiamo riportato, mai smentiti, io e Nicola Biondo nel nostro libro Supernova.

Lo scenario politico

Politicamente, quello che potrebbe succedere è un assestamento della maggioranza di governo. Al Senato sono tutti decisivi, ma i numeri cominciano a essere risicati.

Premesso che nessuno vuole andare a votare, bisognerà capire se la soluzione sarà l’ingresso o l’appoggio esplicito di Forza Italia o l’innesto di un gruppo di nuovi “responsabili”, si fa per dire. Il primo caso mi pare complesso: siamo pur sempre in mezzo a una crisi sanitaria, economica e sociale senza precedenti, difficile che qualcuno muoia dalla voglia di spendere il proprio marchio per gestire il disastro. Più semplice che parlamentari siano “prestati” senza insegne alla causa, più o meno esplicitamente.

Anche perché la legislatura è a poco più di metà strada e qualche riserva della Repubblica per un governo di unità nazionale prima del voto c’è ancora, in giro. Credo che solo allora Berlusconi e i suoi rischieranno l’alleanza di centro destra, non per salvare Conte.

Una terza ipotesi è l’ingresso del nuovo ipotetico gruppo per sostenere il governo di una figura politica.

Se fosse qualcuno del Movimento 5 Stelle, come ho già detto in passato, credo non si possa escludere Luigi Di Maio. È l’attuale ministro degli esteri, è in parlamento da oltre sette anni, ha ricoperto molte cariche. Politicamente, sarebbe accettabile. Peraltro, Di Battista potrebbe rivendicare di aver contribuito, almeno in parte, a portare il Movimento direttamente a Palazzo Chigi, lasciando l’avversario interno a occuparsi della crisi, non un compito semplice né – con tutta probabilità – politicamente remunerativo.

Se fosse qualcuno del Partito Democratico, ne vedremmo delle belle nel partito di Casaleggio. Sarebbe l’evento scatenante della resa dei conti vera, con Di Battista e Casaleggio ad accusare ogni giorno i governisti di usare i voti degli attivisti per far governare il Partito Democratico. Cinema vero, nonostante le sale chiuse per Covid.

Libera Professione UK vs Italia con Marco Canestrari e Alessio Argiolas

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Crimi costretto ad aprire un blog parallelo, Casaleggio si prende la base

La mossa del Cavallo di Di Battista

Negli ultimi giorni, complice l’attivismo di Matteo Renzi, il governo Conte è tornato a traballare.

In ballo c’è la gestione dei 200 miliardi dei fondi stanziati da Next Generation EU. Sono tanti soldi, che Conte pensava di poter gestire con una struttura di missione nominata da lui e che rispondesse a lui. Non poteva non generare reazioni, che infatti ci sono state.

Queste fibrillazioni si aggiungono agli ammiccamenti delle scorse settimane da parte di Forza Italia, di cui abbiamo pure parlato.

Si stanno creando le condizioni per una nuova maggioranza. Non è detto che succeda, ma se Conte non dovesse reggere si aprono scenari dall’esito non ancora del tutto prevedibile. Secondo me, tra le ipotesi possibili, c’è un governo Di Maio.

Luigi Di Maio è in parlamento da sette anni e mezzo, ha fatto il vice presidente della Camera, il capo di partito, il vice presidente del Consiglio, il ministro dello Sviluppo economico, del Lavoro e, soprattutto, degli Esteri. A prescindere da come questi ruoli sono stati ricoperti – anzi soprattutto per come sono stati ricoperti, e fra un attimo spiego perché – non vedo perché non possa fare il capo del governo.

Il Movimento nelle prossime settimane voterà il nuovo direttorio. I membri verranno votati uno a uno, una mossa per impedire ad Alessandro Di Battista di dominare l’organo collegiale. Ma difficilmente impedirà che ne diventi l’esponente più influente. L’ultima volta che il partito di maggioranza relativa del governo ha cambiato guida in corsa, il governo non ha retto. Enrico Letta fu sostituito da Matteo Renzi.

In questo caso, Di Battista avrebbe tutto l’interesse a indicare Di Maio capo del governo al posto di Conte. I prossimi due anni saranno disastrosi, quale modo migliore per scaricare le responsabilità sull’avversario interno e rivendicare allo stesso momento di aver permesso, con la sua guida, di avere il primo Presidente del Consiglio del Movimento? Potrebbe perfino rivendicare il merito di avere riunito il partito attorno al vecchio capo, a cui viene concessa la gloria, negli ultimi anni di carica parlamentare, della più alta carica istituzionale a cui possa, per età, aspirare.

Nel frattempo, Di Battista e Casaleggio avrebbero tutto il tempo di organizzarsi per la campagna elettorale del 2023, con la corrente di Di Maio impegnata nell’Esecutivo.

Di Maio, per ovvi motivi, non credo rifiuterebbe. Aggiungendo al curriculum la carica di presidente del Consiglio il suo futuro politico sarebbe assicurato, più di quanto già non lo sia, e volendo potrebbe, immagino sia questo il suo pensiero in queste ore, cercare di riprendere la guida del Movimento da Palazzo Chigi (sarebbe comunque difficile per Casaleggio mettersi contro il capo del governo, su qualsiasi tema).

Non sarebbe difficile, per Di Maio, farsi sostenere da Forza Italia, che ha già fatto capire di essere disponibile. Certo, ci sarebbe il rischio di concedere molto spazio all’opposizione di Salvini e Meloni, ma Di Maio non verrà ricandidato quindi non credo sia un problema che lo tocchi da vicino.

Il sabotaggio degli Stati Generali

Chi segue questo blog e il mio podcast sa della guerriglia a bassa intensità che si sta combattendo tra il Movimento 5 Stelle, o meglio il movimento parlamentare, e l’Associazione Rousseau di Davide Casaleggio.

Rousseau – che si autodefinisce il “cuore del Movimento” – è il soggetto attraverso il quale Casaleggio controlla il partito. È indicato all’articolo uno dello Statuto del Movimento come l’unico soggetto titolato a gestire l’amministrazione del Movimento, la sua cassa, i suoi processi di selezione del personale politico. Casaleggio è inamovibile dal proprio ruolo e questo ha generato una crescente tensione coi parlamentari, molti dei quali non potranno più essere ricandidati per via della regola dei due mandati.

Così, da mesi c’è uno scontro tra questi attori, che vede però Casaleggio in posizione di grande vantaggio, per il ruolo che ricopre, il know how che possiede, le risorse finanziarie che può gestire.

Dal punto di vista della comunicazione, la principale confusione è dovuta al fatto che il Blog delle Stelle, l’organo di comunicazione ufficiale del Movimento, è di proprietà di Casaleggio/Rousseau, che quindi ne può disporre come meglio crede.

Casaleggio ha operato nel corso dell’anno per sabotare i cosiddetti Stati Generali, un’iniziativa di Vito Crimi per cercare di spostare il baricentro del potere da Milano verso Roma. Ha cercato di orientare il voto, come vedremo riuscendoci solo in parte, pubblicando quasi quotidianamente contenuti propri, senza confrontarsi con gli altri dirigenti del partito, spingendo la base verso la propria posizione.

Anche la scorsa settimana si sono verificati nuovi episodi di questo scontro.

Si sono svolte le votazioni sull’esito degli Stati Generali, 23 quesiti (vedremo fra poco, l’esito) a cui hanno risposto circa 17mila persone, un decimo degli iscritti al partito.

Subito dopo, il Movimento romano ha convocato una nuova tornata di assemblee virtuali degli Stati Generali, questa volta focalizzati sulla nuova “agenda” politica del partito. Il programma. Contestualmente, è stato annunciato un sito dedicato, diverso da Rousseau, registrato a fine ottobre. Un tentativo, a mio avviso fallimentare in partenza, per dirottare un po’ di traffico dal blog delle Stelle, dominato da Casaleggio.

Queste assemblee si svolgeranno il 19 e il 20 dicembre.

Casaleggio si prende la base

Come si svolgeranno il 19 e 20 dicembre le riunioni organizzate dall’Associazione Rousseau. Una provocazione frontale di Casaleggio nei confronti del partito romano, un ennesimo tentativo di sabotaggio del processo di emancipazione dall’Erede che Crimi sta disperatamente, con poco successo, tentando.

Quando si apre il Blog delle Stelle, infatti, il primo post in evidenza è proprio quello sull’evento di Rousseau, e non su quello del partito, chiamato “La Base incontra Rousseau”. Una provocazione molto evidente, a partire dall’uso del termine “Base”, una presa in giro della traiettoria verso la forma partito che Crimi e Di Maio vorrebbero dare ai Cinque Stelle, in contrasto con la struttura personale di Casaleggio.

Anche l’obiettivo è una sfida di Casaleggio agli Stati generali: “disegnare nuovi spazi – avanzati e personalizzati rispetto ai vecchi meetup – su Rousseau che consentano agli iscritti di creare gruppi locali, incontrarsi, portare avanti battaglie condivise sul proprio territorio”.

Un chiaro tentativo di sfruttare a proprio vantaggio l’esigenza emersa dai territori durante gli Stati Generali, rispondendo con una soluzione prima che lo facciano i parlamentari. Sarebbe una dimostrazione plastica di efficienza della struttura di Casaleggio rispetto a quella proposta da Roma, che ormai si muove coi riti e le lentezze del Palazzo.

Continuo a ritenere che questa sfida sarà vinta da Casaleggio. Lo è già dal punto di vista della comunicazione, per il vantaggio competitivo che ha potendo gestire in prima persona il Blog delle Stelle, ma pure per l’immagine che viene data nell’invito a partecipare – da parte di Casaleggio – rispetto alla sensazione di riunione ristretta che ha quella di Crimi a cui ci si potrà iscrivere dai prossimi giorni, quando tutti si saranno già impegnati a partecipare all’evento di Rousseau.

Casaleggio, invece, si spende in prima persona e sarà in conferenza insieme agli altri soci di Rousseau.

Il voto sui risultati degli Stati Generali

Il 10 e 11 dicembre si sono svolte le prime votazioni sull’esito degli Stati Generali. Rousseau si conferma il posto in cui gli attivisti approvano decisioni già prese altrove: ognuno dei 23 questi ha ricevuto l’approvazione da un insieme molto ridotto di votanti: un decimo degli aventi diritto, che ha votato “sì” tra il 60% e il 95% a seconda del quesito.

Sebbene questo comporti una vittoria formale di Crimi e del partito romano, è chiaro che questa iniziativa è molto poco sentita dalla base.

Le domande riguardavano questioni formali di organizzazione (struttura territoriale, carta dei valori, organi collegiali, riconoscimento di rappresentanze territoriali anche dove non ci sono eletti) e sostanziali di finanziamento.

Questo punto e quello riguardante il rapporto con Rousseau, che dovrà essere regolato da un contratto di servizio o da un accordo di partnership, potrebbero impensierire Casaleggio, che ancora non si espone direttamente.

I comitati di scopo, istituiti per le tornate di elezioni, garantivano flussi di denaro quando cessavano di esistere con le rimanenze versate a Rousseau. Il contratto di servizio potrebbe significare che la piattaforma verrà tolta dallo Statuto M5s.

Tutto dovrà però essere votato su Rousseau, e siccome le parti in causa saranno due difficilmente Casaleggio rinuncerà alla scrittura dei testi dei quesiti e soprattutto a cosa mettere in votazione.

La campagna che sta conducendo è verosimilmente pensata per arrivare preparato al momento della verità, quello vero.

Ci arriverà però con alcuni suoi uomini nel direttorio prossimo venturo e un rapporto con gli attivisti ben più consolidato di quello che hanno i parlamentari.