Perché Draghi va bene a tutti

Che il governo Draghi parta, ci sono pochi dubbi. Che nella coalizione non possa mancare il gruppo parlamentare di maggioranza relativa, pure. Che la decisione non sia presa dai parlamentari ma fuori dal Palazzo è altrettanto chiaro.

La stampa riporta il colloquio preliminare tra Mario Draghi, presidente incaricato, e Beppe Grillo prima delle consultazioni. E pure Casaleggio si è precipitato a Roma non appena è fallito il tentativo del presidente della Camera Fico di resuscitare la vecchia maggioranza.

Questa fase, a prescindere dall’esito che avrà, ci è utile per un ripasso e un aggiornamento delle dinamiche del Movimento 5 Stelle.

Grillo e Casaleggio

Anzitutto è utile ribadire un concetto: il Movimento 5 Stelle è di fatto amministrato da due soggetti che non sono sottoposti ad alcun controllo democratico. Non ci sono processi codificati che possano sostituire Grillo e Casaleggio dai rispettivi ruoli.

Queste due persone hanno interessi che nulla c’entrano con l’attività politica. Grillo ha il problema del figlio, Ciro, accusato di stupro di gruppo. Un problema privatissimo, certo, ma che ha già determinato due volte il rientro all’attività politica dell’attore genovese, prima quando è caduto il governo Conte I e adesso.

Le primissime dichiarazioni dei responsabili politici del Movimento, Crimi e Di Battista tra gli altri, puntavano a un fine legislatura di opposizione. Avrebbe avuto senso: si sarebbero posizionati come la Lega del 2011 col governo Monti e come lo stesso Movimento, all’epoca extraparlamentare. Opposizione dura, più semplice, meno impegnativa, certamente molto efficace per tirare la volata elettorale ad Alessandro Di Battista, che già pregustava la leadership del partito.

Poi Grillo parla, dopo mesi, e cambia tutto, scombinando anche i piani di Casaleggio che, come ripetiamo da settimane, si organizzava per una legislatura di opposizione al prossimo giro.

Casaleggio, come sappiamo, è abile a cambiare strategia quando cambiano le condizioni e, tutto sommato, questo nuovo assetto potrebbe non essere del tutto una cattiva notizia per l’Erede.

Come a Grillo, anche a Casaleggio – stando ai bilanci della sua società – giova stare in area di governo. Ma c’è di più. Affrettandosi a imporre, di nuovo, il voto su Rousseau per la ratifica della partecipazione del Movimento al governo Draghi, potrebbe ottenere un risultato insperato: istituzionalizzarsi.

Sarebbe il terzo governo che nasce perché una piattaforma privata, tecnicamente manipolabile e gestita in maniera non trasparente, viene utilizzata per la ratifica della decisione.

Siamo a un punto di non ritorno. È chiaro che la maggioranza che sosterrà Draghi sarà quella che dovrà eleggere il nuovo Capo dello Stato il prossimo anno (e questo è il motivo per cui tutti si sono affrettati ad appoggiare il nuovo governo): potrebbe essere il primo presidente della Repubblica selezionato da una piattaforma telematica e coinvolgendo un numero superiore di persone rispetto a quello stabilito dalla Costituzione.

La democrazia rappresentativa, in Italia, non è più a rischio. Siamo già di fronte a qualcosa di diverso. Siamo già di fronte a una forma di Stato diversa da quella disegnata dalla Carta quando non solo i governi ma la nomina della più alta carica politica non avviene secondo quanto stabilito dalla Costituzione della Repubblica.

L’istituzionalizzazione del Sistema Casaleggio potrebbe diventare il prezzo da pagare per la caduta del secondo governo Conte e la nascita del governo Draghi.

Roberto Fico

Due righe vanno spese per il presidente della Camera Roberto Fico. Un disastro. Ha iniziato la legislatura con uno scandalo, quando si scoprì che la sua colf veniva pagata in nero.

Non è stato in grado di portare a termine nessuno dei compiti a lui affidati dal Capo dello Stato. Nel 2018 fallì nell’impresa di formare un governo col Partito Democratico. Nel 2021 ha fallito nel non difficile compito di stabilire due o tre punti per proseguire l’esperienza di una maggioranza già esistente che aveva già iniziato un percorso di consolidamento dell’alleanza.

Il presidente della Camera è la personalità politica più scarsa per l’incarico ricoperto, peraltro assegnatogli da Luigi Di Maio per togliersi un avversario interno.

Un imbarazzo per le istituzioni e per sé stesso.

Giuseppe Conte

Nonostante i retroscena che parlano di tentativi di sabotaggio di Draghi da parte di Conte, credo che anche per il presidente dimissionario possa essere un’occasione.

Lascia il governo con consensi molto alti, quasi rimpianto, col capro espiatorio perfetto (Renzi) e appena prima che il disastro della sua gestione lo potesse colpire direttamente.

Il partito di riferimento, il Movimento 5 Stelle, è ancora carente di personalità politiche di livello, credibili come candidati capi di governo. È rispettato da tutte le correnti, così come dagli alleati, che ormai hanno alzato bandiera bianca e si sono consegnati mani e piedi a Casaleggio.

Due anni possono essere utili a costruire se non un partito almeno una lista di riferimento, che possa fungere da cuscinetto per giustificare con la base M5s una futura coalizione con la sinistra, o quello che ne resta.

Non può certo puntare al Quirinale, ma il capitale di consenso che conserva può essere impiegato nel 2023 con grande ritorno d’investimento.

Luigi Di Maio

Mettere nel curriculum “Ministro del governo Draghi I” sarebbe la consacrazione definitiva per Luigi Di Maio che gli permetterebbe di superare l’unico ostacolo tra lui e la rielezione: il limite dei due mandati del Movimento 5 Stelle. Con una carriera così veloce non credo per un solo minuto che Di Maio smetterà di fare politica a 36 anni dopo aver fatto il capo di partito, il presidente della Camera e due volte – forse tre – il ministro.

È chiaro che la prima scelta sarebbe una deroga a quella regola, restare nel Movimento, riprenderne la guida direttamente o per interposta persona e guidarlo al prossimo voto.

Ma l’alternativa potrebbe tranquillamente trovarla nella lista di Conte. Garantire a sé e alla manciata di fedelissimi che lo hanno accompagnato una rielezione giustifica il sostegno a Draghi, la fedeltà a Conte e perfino l’allontanamento dal Movimento se Di Battista dovesse diventarne la guida.

Alessandro Di Battista

Come ho scritto di recente, il destino di Alessandro Di Battista è nelle mani di Mario Draghi. Una provocazione ironica, che sottolinea come, alla fine, chi studia e ha le idee un po’ più chiare di come funziona il mondo determina le sorti anche degli aspiranti rivoluzionari da tastiera prodotti dalla Casaleggio Associati.

Ma, se vuole continuare a fare politica, Di Battista deve cedere alla realtà che, diversamente, lo travolgerà senza troppi complimenti.

La strada gliel’ha gentilmente tracciata Beppe Grillo: puntare sui temi, anche sparando cazzate, ma senza perseguire fallimentari tentativi rivoluzionari, che non possono più funzionare dopo cinque anni di governo di cui forse due guidati dall’incarnazione della migliore élite europea.

Grillo e Casaleggio dovranno convincere il nuovo frontman che ora è il momento del pragmatismo: c’è l’opportunità di tornare al governo anche la prossima legislatura. C’è la possibilità concreta per Di Battista di fare il ministro se saprà bilanciare il necessario realismo con le sue cazzate da post su Facebook.

Riuscisse a stabilire un armistizio con Di Maio, tutti potrebbero giovarne. Tutti a parte il Paese, s’intende.

Processo al Sistema Casaleggio

Come sapete, ho lanciato l’iniziativa “Processo al Sistema Casaleggio“, di cui potete trovare i dettagli qui.

Per sostenerla, ho attivato una raccolta fondi che, nel momento in cui scrivo, è sostenuta da 154 donatori che hanno versato £5.128 (in sterline perché vivo in UK). Era iniziata con un obiettivo di £3.000, raggiunto in pochi giorni, portato a £5.000, superato in poche ore. Adesso il nuovo target è £10.000. Se volete saperne di più e contribuire potete farlo da qui, o diffondere la voce!

Ho promesso di creare un archivio con tutte le informazioni sul Sistema Casaleggio che verrano usate. Un assaggio ve lo darò regolarmente, come per esempio questo articolo storico in cui Casaleggio si dichiara cofondatore del Movimento e conferma che le risorse della sua azienda sono usate per sostenere il partito.

Per capire il M5s guardate SanPa

Se non avete ancora visto SanPa, la miniserie Netflix che racconta la storia della comunità di San Patrignano, fatelo. Quella storia dice molto di noi, di come l’Italia (non) affronta i problemi, di come si affidi sempre a stregoni, guru, guaritori vari.

Io, data la mia esperienza personale, ci ho visto tanto della vicenda di Gianroberto Casaleggio e del Movimento 5 Stelle. Se ci pensate, Casaleggio era una sorta di Muccioli della politica. Un po’ di esperienza nel proprio settore con la moglie, passione per l’esoterismo, forti convinzioni basate sostanzialmente sul nulla, tendenze autoritarie, scarsa conoscenza e scarso rispetto per le norme del comune vivere civile (meglio note come leggi), l’intuizione che sarà il suo successo e la sua rovina.

La miniserie è divisa in cinque puntate, che voglio ripercorrere per fare un parallelo con la storia di Casaleggio e del Movimento. Del resto, entrambi si definiscono comunità.

Nascita

Chi era Muccioli? Chi era Casaleggio? Due visionari dediti ad aiutare gli altri o due stregoni che si sono approfittati del disagio e della mancanza di alternative da parte delle Istituzioni?

Certo il background culturale dei due non era sovrapponibile. Casaleggio aveva ricevuto una buona istruzione, aveva costruito una rispettabile carriera ed era un uomo di ottime letture. Muccioli, al contrario, viene descritto come persona senza particolari doti, conoscenze, capacità o aspirazioni. Senza una chiara professione, si dedica all’amministrazione dell’albergo della moglie mentre coltiva la sua curiosità verso l’esoterismo e vive allevando galline nella casa di campagna. Organizza sedute spiritiche, si propone come guaritore (pare sia così che conosce Gian Marco Moratti, anche se non sono chiare le circostanze) e, negli anni settanta, aiuta qualche decina di ragazzi a disintossicarsi. Nel farlo, rifiuta la cosiddetta “medicina tradizionale” (cominciate a trovare qualche filo rosso, vero?) e propone un metodo di comunità facendo lavorare i ragazzi nella cascina di famiglia sulle colline di Coriano.

Il contesto storico in cui nasce San Patrignano è molto diverso da quello in cui Casaleggio decide di fondare il proprio partito, ma ci sono alcuni tratti comuni su cui vale la pena soffermarsi.

Se negli anni Settanta la crisi dei valori porta molti a cercare un senso nelle droghe (lo so, è semplicista messa così, ma cercate di seguirmi), negli anni Duemila la crisi delle ideologie e quella economica ultraventennale che colpisce l’Italia crea le condizioni favorevoli al santone di turno.

Casaleggio non è carismatico come Muccioli, ha un aspetto anche un po’ stravagante, però è capace di proporre soluzioni facili a problemi complessi, proprio come il guaritore romagnolo. Problemi veri, soluzioni affascinanti, in alcuni casi – poi usati come promozione – efficaci.

Gianroberto Casaleggio capisce il cambio di scenario politico, economico e sociale che la rivoluzione tecnologica sta causando. Capisce anche che c’è in atto una tendenza: l’Italia è uno dei paesi con la minore scolarizzazione avanzata, la minore produttività e le maggiori barriere all’ingresso della partecipazione politica e sindacale. Un mix fatale che lui vede come una opportunità: dare l’occasione di facile riscatto a un esercito di scappati di casa, in cambio di eterna fedeltà (e in seguito trecento euro al mese).

Casaleggio e Muccioli, almeno all’inizio, erano guidati da buone intenzioni? Vai a saperlo. Di certo avevano un lato del carattere molto simile, determinante per l’esito delle rispettive iniziative: non accettavano alcuna critica. Si percepivano come unici portatori di una verità rivelata, di una missione per conto di Dio che dovevano portare a termine, a qualsiasi costo.

Crescita

Quando sei disperato, reietto e nessuno ti offre soluzioni è facile accettare l’aiuto del primo che offra qualcosa. Anche fosse un regime semicarcerario sostanzialmente violento, come viene raccontato fosse la San Patrignano degli anni Ottanta.

Lo Stato non aveva una strategia per affrontare il problema delle tossicodipendenze, Muccioli offriva una via di uscita soprattutto alle famiglie che non sapevano come salvare i propri figli, diventati violenti. Una via d’uscita che però era sul filo della legalità. I processi hanno portato alla luce veri e propri sequestri di persona ai danni degli ospiti della comunità che cercavano di scappare. Violenze morali e fisiche per distruggere la personalità dei “drogati” e costruirne una sostitutiva fornita da Muccioli.

Come molti hanno detto: il metodo San Patrignano non esiste. La cura era Muccioli. E Muccioli era di fatto un fascista inconsapevole.

Casaleggio non era fisicamente violento ma lo era moralmente. La violenza si manifestava nel modo in cui puniva chi, a suo insindacabile giudizio, metteva in discussione le sue scelte. Proprio come faceva Muccioli.

Ne hanno fatto le spese molti collaboratori della prima ora (Piero Ricca, per esempio) e membri del partito. Spesso con modalità brutali, come quando pubblicò una conversazione privata per minacciare un consigliere regionale che si era permesso di dubitare alcune scelte o quando espulse interi gruppi locali con un PS. Del blog.

Le fasi di crescita delle due realtà condividono aspetti non secondari che vorrei sottolineare.

Come Muccioli ha contato sull’aiuto dei Moratti per i finanziamenti, di Red Ronnie per la visibilità mediatica e di alcuni palcoscenici per acquisire credibilità, così Casaleggio ha contato sui suoi sponsor.

Beppe Grillo, anzitutto: come Red Ronnie un popolare presentatore televisivo disposto a bersi e sponsorizzare qualsiasi minchiata gli fosse proposta. Epoca diversa, ovviamente: non sulla tv ma in Rete Grillo ha fatto esplodere il metodo Casaleggio.

Antonio Di Pietro, il Moratti di Casaleggio: politico di lungo corso che ha potuto finanziare per anni la creatura di Casaleggio sotto forma di consulenze per il proprio partito, che verrà poi abbandonato al momento più opportuno.

E che dire dei palcoscenici? Le aule di tribunale per Muccioli, gli appuntamenti elettorali per Casaleggio e il Movimento 5 Stelle.

Ma c’è un aspetto ancora più importante che credo sia comune ai due personaggi. Abbiamo già detto della loro totale incapacità di accettare critiche o mettere in discussione le proprie scelte. Come di declinava questo aspetto nelle due realtà?

Muccioli si è sempre rifiutato di sottoporre a un’analisi scientifica il metodo San Patrignano. Perché, a detta di chi si occupa oggi di dipendenze, i risultati sarebbero devastanti. Quando è stato tentato un simile studio, i dati forniti erano di fatto truccati e quindi non scientificamente validi. Il santone, a quanto pare, non voleva si dimostrasse la validità delle proprie intuizioni.

Casaleggio si è sempre rifiutato di sottoporre ad analisi scientifica le soluzioni proposte dal suo partito. Dal reddito di cittadinanza ai maggiori tassi di partecipazione alla politica che, secondo lui, comportava l’uso di piattaforme tecnologiche per il voto, nulla sappiamo sui reali effetti delle sue proposte.

Ancora, il rapporto con la legge. Guardando SanPa si capisce chiaramente il fastidio per il codice penale che aveva Muccioli, quando questo cozzava con la sua visione di educazione. Allo stesso modo, Casaleggio aveva un modo tutto suo di rapportarsi alla legge. Ricordo una sua telefonata furiosa con un povero funzionario della sua banca, quando una norma voluta da Tremonti aveva imposto la disponibilità per lo stato per la liquidità sui cosiddetti conti dormienti. Casaleggio si rifiutava di capire perché la banca dovesse obbedire a una legge dello Stato, dato che il contratto l’aveva stipulato col correntista.

Fama

Nella terza puntata della serie, SanPa è una realtà in forte crescita. Crescono gli ospiti, crescono i finanziamenti, cresce la popolarità di Muccioli. Molti descrivono questa crescita troppo veloce.

Quando è alto il ritmo di crescita è alto il numero di decisioni che si devono prendere. Può Muccioli gestire tutto da solo? Ci prova. E per un certo periodo ci riesce pure, a costo dell’inasprimento delle regole che governano la comunità.

Chi segue i miei scritti sarà già forse andato con la mente al 2013. Il Movimento 5 Stelle nel giro di pochi mesi passa dal 4-5% al 25%. Quasi duecento parlamentari vengono eletti col voto politico di quell’anno. Tutte persone senza esperienza, a cui viene delegato un potere grandissimo. Casaleggio, per mantenere l’ordine, minaccia ed espelle parlamentari violando le sue stesse regole, saltando qualsiasi procedura.

Come a Muccioli sfugge di mano la comunità, così a Casaleggio sfugge di mano il partito.

Nel caso del Movimento, c’è un fatto in più che complica le cose. Se Vincenzo Muccioli era esplicitamente il padre padrone della sua creatura, Casaleggio viene allo scoperto relativamente tardi. Non tutti nel partito e tra gli eletti lo conoscono e comprendono il suo ruolo. Anche per questo c’è grande confusione.

Declino

Anche Casaleggio affronta il declino, così come lo dovette affrontare Muccioli. Le loro creature sono cresciute senza i fondatori che si sono fatti fisicamente carico delle tensioni e delle difficoltà, arrivando ad ammalarsi.

Qui però le storie divergono. Muccioli fu protetto e sostenuto dalle persone a lui vicine, mentre Casaleggio fu di fatto esautorato dai parlamentari che, imponendo nel 2016 il famoso direttorio, spostarono l’asticella del potere da Milano a Roma.

Forse, questo diverso esito è dovuto al diverso modo in cui Muccioli e Casaleggio hanno affrontato la popolarità e il potere acquisito. Il primo abbracciando il proprio ruolo pubblico, cavalcando l’onda del successo; il secondo rifiutando la visibilità che, in sintesi, lo fece apparire debole. Lo era, ma per via della malattia. Se si fosse sottoposto a un minimo di controllo democratico, forse la storia sarebbe stata scritta in maniera diversa.

Caduta

Ma con la caduta le vicende tornano ad assomigliarsi.

Le due comunità sono cresciute, come dimensioni e come modalità di amministrazione, e sono sopravvissute ai propri fondatori. Ereditate dai figli, persone totalmente inadeguate al ruolo, lontane anni luce dalle capacità, qualsiasi fossero, dei genitori.

Soprattutto, troviamo in entrambe le storie la retorica dei traditori.

Questo, più di ogni altra cosa, mi ha colpito e di fatto spinto ad argomentare le similitudini tra le due realtà.

Il figlio di Muccioli, come quello di Casaleggio, chiama traditori gli ex collaboratori che, avendo dedicato molto della propria vita alla comunità, se ne sono allontanati non condividendone le derive. La categoria del tradimento è propria delle sette. Ma come il Movimento non è una setta così non lo è San Patrignano. Eppure delle sette hanno usato e usano i metodi.

Personalmente, reputo che questo sia dovuto alle tendenze all’esoterismo dei due fondatori. Credo che né Muccioli né Casaleggio credessero alle panzane di cui erano appassionati ma che sia l’uno che l’altro ne avessero capito la potenza.

Casaleggio, forse, facendo un passo in più: capendo che, in fondo, è la semplificazione di concetti complessi ciò che permette ai maghi e ai guaritori di avere successo. Le persone non vogliono fare fatica, non hanno tempo e voglia di studiare, comprendere, valutare. Vogliono soluzioni pronte all’uso, di semplice applicazione, di grande appeal.

Sei tossicodipendente? In comunità, isolato finché non ti passa la crisi di astinenza. Poi che fai? Resti lì, a lavorare per la comunità. Funziona? Boh.

Hai difficoltà economiche? Reddito di cittadinanza. Poi che fai? Ti viene cercato un lavoro. Funziona? Boh.

Casaleggio conferma tutto

Davide Casaleggio è indubbiamente il politico più divertente da commentare. Ha la capacità, unica nel suo genere, di confermare ogni accusa gli venga rivolta nelle smentite che pubblica.

L’ultima volta è accaduto lo scorso primo dicembre. Volendo smentire le inchieste del Riformista sulla consulenza di Philip Morris a Casaleggio Associati e anticipare la figuraccia rimediata con l’inviato delle Iene (Antonino Monteleone, che pure Casaleggio conosce bene), ha scritto la solita nota su Facebook. È imbarazzante, perché si tira la zappa sui piedi letteralmente nella prima frase.

Scrive, infatti, Davide Casaleggio che le Iene si sarebbero intrufolate nel “cortile privato dell’ufficio”. Solo che quello non è il suo ufficio. Lo so, perché lì ho lavorato quasi quattro anni. Antonino ha raggiunto Davide nel cortile della sede dell’Associazione Rousseau, che fu la sede di Casaleggio Associati ma ora non più. Quello non è l’ufficio di Casaleggio, che pare confondere le due realtà. Bizzarro.

Vi risparmio la lettura della sua tirata che, se volete, trovate qua, ma voglio riportarvi, per amore di cronaca, ciò che di falso e inesatto Casaleggio scrive.

Il rapporto tra Casaleggio Associati e il Movimento 5 Stelle

Sul rapporto tra Casaleggio Associati e Movimento 5 Stelle l’Erede ci spiega:

Un esempio di successo noto a tutti di come la Casaleggio Associati operi, per competenze e risultati ottenuti, è quello del MoVimento 5 Stelle per il quale ha curato la strategia iniziale ancor prima della sua costituzione avviando una partecipazione civica digitale…

Falso. Casaleggio Associati non ha “curato la strategia iniziale”. Io ho lavorato in Casaleggio Associati, come dipendente, tra il 2007 e il 2010, proprio quando l’azienda strutturava, fondava e finanziava il nascente partito (a proposito, tutto a posto con le norme sul finanziamento ai partiti?). Il Movimento 5 Stelle è un’idea di Gianroberto Casaleggio, padre di Davide. Casaleggio per anni ha usato le risorse dell’azienda, soldi e personale – incluso il sottoscritto – per gestire il partito, decidendone indirizzo e spesso personale politico. Questo anche mentre tra i clienti c’era un altro partito, Italia dei Valori, le cui strategie comunicative venivano coordinate con quelle del Blog di Beppe Grillo / Movimento 5 Stelle. Io c’ero, in quelle stanze. Lo so, lo posso testimoniare, l’ho dimostrato nei due libri che ho scritto, Supernova e Il sistema Casaleggio.

Le attività commerciali di Casaleggio Associati

Scrive Davide sulle attività della propria società:

Qualunque società che conosce le attività e le competenze tecnologiche e di business presenti all’interno di Casaleggio Associati, ne percepisce i vantaggi di impatto sull’evoluzione del proprio business.

Opinabile. Le “competenze tecnologiche” presenti all’interno di Casaleggio Associati sono le stesse che avevano gestito la piattaforma Rousseau fino al 2017/2018. Il Garante della Privacy, nelle conclusioni dell’inchiesta sulle violazioni di sicurezza subite dalla piattaforma, ha descritto come gravemente carenti sia tecnicamente che in termini di amministrazione le scelte operate sulla gestione del progetto. Se il “successo noto a tutti” è indicativo delle competenze tecnologiche dell’aziendina di Davide, io fossi loro cliente scapperei a gambe levate. Chissà perché, invece, i più grandi poteri e interessi commerciali del pianeta sembrano essere irresistibilmente attratti da una società il cui capo possiede il partito di governo del Paese. Misteri.

Casaleggio Associati non si occupa di politica e dal 2016 gli sviluppi tecnologici a supporto del blog e del MoVimento 5 Stelle sono a cura e in gestione dell’Associazione Rousseau, un’associazione senza scopo di lucro con personale e sede distinta.

Anzitutto, andrebbe chiarito cosa significhi “occuparsi di politica”. Perché, ad esempio, il contratto che Casaleggio Associati ha stipulato con la Moby di Onorato parla proprio di “sensibilizzare le istituzioni”, come riporta il Corriere della Sera. A me, ma posso sbagliare, pare che questo si possa definire “occuparsi di politica”, per soldi peraltro. Inoltre non è corretto dire che dal 2016 delle attività relative al Movimento si occupa l’associazione Rousseau. Se n’è occupata Casaleggio Associati almeno fino al novembre 2017 come testimoniato dalle carte dell’inchiesta del Garante della Privacy già citata. Le comunicazioni avvengono anche tramite PEC di Casaleggio Associati e la sede presso cui vengono condotte le ispezioni è quella di Via Morone 6 che all’epoca ospitavano gli uffici di Casaleggio Associati e di Rousseau. Come riporta l’AdnKronos, l’azienda cambiò sede solo nel dicembre del 2018, o poco prima.

La confusione tra partito e clienti

Continua poi:

Il lavoro di Casaleggio Associati si focalizza ad esempio su progetti di innovazione digitale, strategie di marketing e comunicazione, ricerche ed analisi sui mercati digitali e applicazioni software.

Il problema, qui, è capire se qualcuna di queste attività si avvicini troppo a quelle dell’altra occupazione del proprietario di questa società, cioè il dirigente politico. Viene il dubbio perché ci sono alcuni precedenti, come abbiamo raccontato io e Nicola Biondo sia in Supernova che nel Sistema Casaleggio.

Nel 2010, mesi dopo essermi licenziato da Casaleggio Associati, assisto al nuovo spettacolo di Beppe Grillo a Torino. All’epoca era già stato fondato il Movimento 5 Stelle. Ebbene, verso la fine dello spettacolo Grillo proietta per oltre un minuto un filmato che sembra la pubblicità di un prodotto. Perché lo è: sta sponsorizzando un Robot chirurgico distribuito in Italia da un altro cliente di Casaleggio Associati, per cui anche io avevo svolto delle attività fino a pochi mesi prima.

Casaleggio aveva il vizio di usare i propri clienti come asset per gli altri, come quando lo stesso Grillo venne convinto a partecipare alla festa dell’Italia dei Valori tre anni prima. Questa confusione di ruoli, questa mancanza di compartimenti stagni tra le diverse attività dentro e fuori l’azienda dovrebbero far suonare più di un campanello di allarme alle procure che hanno iniziato ad approfondire questi argomenti.

Scrive ancora Casaleggio:

Non ho mai richiesto nulla per i clienti di Casaleggio Associati a eletti o governanti del MoVimento 5 Stelle, mantenendo sempre una distinzione netta tra le due realtà.

Ah. E cosa ci fa Virginia Raggi sul sito della campagna “cambia gesto” promossa dalla multinazionale del tabacco Philip Morris, che è cliente di Casaleggio Associati? Per caso, ipotesi, non è che alla sindaca venne suggerito che poteva giovare alla sua immagine la sua presenza, così così come a Philip Morris?

Però attenzione, il meglio arriva ora. Casaleggio cerca di ribaltare la frittata e accusa uno degli autori delle inchieste di questi ultimi giorni, Aldo Torchiaro, di conflitto d’interessi. Perché? Perché lavora per un’azienda che tra i propri clienti annovera due concorrenti di Philip Morris. Ma davvero? Avere rapporti di secondo grado con un’azienda costituisce conflitto d’interessi? Allora ha ragione Il Riformista: il fatto che ci sia un rapporto non di secondo grado ma diretto tra Casaleggio e Philip Morris dovrebbe costituire, secondo la logica dello stesso Casaleggio, un conflitto d’interessi maggiore.

Il rapporto con il governo

Infine, Casaleggio nega di aver partecipato a riunioni governative per definire la finanziaria. Solo che nessuno l’ha mai accusato di questo fatto: si è solo ribadita, con documenti e testimonianze, l’ovvia influenza che le sue opinioni hanno sul partito e ricordato il fatto che presiedesse vertici di partito su decisioni riguardanti le attività di governo. Lo ha spiegato bene il Senatore De Falco, lo spiegò all’epoca l’europarlamentare Daniela Aiuto, lo ha ribadito l’ex ministro Fioramonti.

L’unico contributo pubblico che ho dato quest’anno é la ricerca sul futuro dell’Italia post Covid realizzato con l’Associazione Gianroberto Casaleggio

Anche quel documento è molto, molto interessante. Ci torneremo in una delle prossime settimane.

Il conflitto d’interessi

Ma il meglio di sé, in assoluto, lo Casaleggio lo dà in chiusura. Dopo aver cercato di allontanare da sé, per tutto lo scritto, l’ipotesi che ciò che lui fa come imprenditore abbia qualcosa a che fare con le sue attività di dirigente politico, ecco che arriva il lampo di genio:

[…] perchè la diffamazione nei miei confronti e della nostra società, questa volta, evidentemente non è l’unico obiettivo.

Purtroppo, in questa frase risulta chiarissimo il retropensiero: è chiaro che attaccano la società per attaccare il partito (o meglio, il suo nuovo pupillo, Alessandro Di Battista). E perché mai, carissimo, se sostieni che quello che fai con l’azienda è ben separato da quello che fai col partito? Come puoi pensare che le due cose siano collegate? Ma soprattutto: se lo pensi tu, perché mai non dovremmo pensarlo noi?

Casaleggio, i dati e la fine di Di Pietro

Casaleggio Associati gestiva i dati del partito di Di Pietro. Il modo in cui la sua carriera e il suo partito sono finiti ne sono conseguenza diretta.

Quella vicenda è l’esempio pratico del motivo per cui Davide Casaleggio, tramite Rousseau, è il vero padrone del Movimento 5 Stelle.

Facciamo un passo indietro: tra il 2005 e il 2010 Casaleggio Associati ha gestito la comunicazione dell’Italia dei Valori, il partito di Antonio Di Pietro. Tra le attività, ci fu lo sviluppo di un sistema di gestione dell’anagrafica del partito che si chiamava UBIK.

Ubik era un software che permetteva ricerche tra gl’iscritti, invio di comunicazioni a segmenti di persone, una rudimentale profilazione.

Se volevi invitare gl’iscritti di Milano a una conferenza, mandare un comunicato solo ai giornalisti, scrivere solo ai contatti di Palermo, potevi farlo con Ubik.

Casaleggio Associati organizzava regolarmente gli eventi del partito e l’invio di comunicazioni e monitorava il successo (tecnicamente la “conversione”) di ciascuna comunicazione.

Aveva cioè acquisito la capacità di gestire quei dati, pur non essendo di proprietà dell’azienda. Il know how per l’amministrazione del partito era di fatto negli uffici di Casaleggio Associati.

Quando, dopo il voto europeo del 2009, i dirigenti dell’Italia dei Valori costrinsero Di Pietro a rinunciare alle consulenze di Casaleggio, che stava “infiltrando” il partito con le candidature promosse dal Blog di Beppe Grillo, UBIK, i canali di comunicazione, i contatti cominciano ad essere gestiti da personale di Roma. Fu letteralmente un disastro. Nessuno si rivelò in grado di gestire con efficacia quel patrimonio di dati, nessuno aveva il know how. Era rimasto in azienda e fu reinvestito nel Movimento 5 Stelle.

Il Movimento e Rousseau

Bene, il Movimento è nelle stesse condizioni: l’Associazione Rousseau possiede tutto il know how, le capacità di amministrazione sia dei dati che dei fondi del partito. Casaleggio e il suo staff sono gli unici che sanno utilizzare gli strumenti che loro stessi hanno costruito nel corso del tempo.

Conoscono i profili dell’elettorato, come reagiscono alle comunicazioni le persone che vengono contattate, chi sono gli elettori più impegnati e così via.

Se per qualsiasi motivo Il Movimento non fosse più amministrato da Casaleggio farebbe la stessa fine dell’Italia dei Valori. Per questo Davide è di fatto il padrone del partito e può disporne come più gli aggrada.

Meglio il voto? Il disastro dell’accordo PD-M5s

Onestamente, non so se sarebbe stato meglio il voto. Non so, come non può saperlo nessuno, se i sondaggi che premiavano la Lega disegnavano davvero un esito elettorale ineluttabile. Ovviamente, non lo sapremo mai.

Siamo in un sistema elettorale proporzionale, il che significa che fare accordi con gli avversari politici è l’unico modo per mettere insieme una maggioranza di governo.

Siamo anche molto vicini a due scadenze, nel 2022: a febbraio si voterà il nuovo Capo dello Stato; a novembre il 60% dei parlamentari – quelli di prima nomina – maturano il diritto alla pensione. Un assegno di 1200 a partire dai 65 anni di età.

È del tutto evidente, quindi, che questo Parlamento cercherà in ogni modo di arrivare alla fine della legislatura.

Non come avevo pensato. Io immaginavo che la maggioranza Lega-M5s avrebbe retto, con magari l’innesto di Fratelli d’Italia. Avevo sottovalutato che il delirio di onnipotenza di Salvini unito al fatto che non regge molto bene l’alcol l’avrebbe portato a rompere con Di Maio.

Resta il fatto che, come avevo suggerito, almeno per questo giro ha prevalso lo spirito di sopravvivenza del parlamento.

Però.

C’è modo e modo di fare gli accordi

Il Movimento 5 Stelle nasce in un momento in cui l’avversario, il Potere era il PD. Il neonato PD. Dal giorno zero, l’obiettivo è stato il Partito Democratico. Era il partito al governo, era pure il concorrente del principale cliente di Gianroberto Casaleggio, L’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro.

Una delle argomentazioni di propaganda più efficaci era la seguente: Berlusconi aveva governato ed era sopravvissuto agli scandali grazie al PD. Il ritorno al governo nel 2008 la prova definitiva. Il discorso alla Camera di Luciano Violante, secondo il quale durante i governi di centrosinistra il fatturato di Mediaset era aumentato di 25 volte, la confessione.

Avanti veloce fino a 4-5 settimane fa: si sprecavano, da parte di molti attuali ministri e sottosegretari, giuramenti solenni: “mai un governo con il Movimento 5 Stelle”.

Il segretario del Partito Democratico, Nicola Zingaretti, ha vinto il congresso su questa piattaforma, lamentando quanto fosse avvilente doverlo ripetere. Lo ripeteva il 2 settembre all’incontro di AreaDem, la corrente di Franceschini. Che ora propone di costruire col M5s una “casa comune, coi sassi che ci siamo lanciati” negli ultimi anni.

Renzi, lo scorso anno aveva fatto saltare l’ipotesi di un governo col Movimento, oggi ne è l’artefice.

Si va verso una legge proporzionale pura (ne parleremo, ma il referendum che propone Salvini è perfettamente inutile: il parlamento legifererà non appena depositato il quesito, per annullare la consultazione). È inevitabile che il Movimento cercherà alleanze. Mi voglio rovinare: forse ha pure senso che il Partito Democratico cerchi strategicamente di scardinare le alleanze avversarie. Ma c’è modo e modo.

L’alternativa

Mi si chiede quale sarebbe stata l’alternativa. Meglio il voto? Non lo so: non decidono i leader di partito, ma il Parlamento e il Capo dello Stato se ci sono altre maggioranze o si deve tornare alle urne. Ma, ripeto, c’è modo e modo di costruire gli accordi.

Sarebbe stato meglio che tutti, da Renzi ai sottosegretari che spergiuravano che mai avrebbero governato con Casaleggio, avessero chiesto scusa, allegando spiegazioni un filo più credibili che fermare i barbari e l’aumento dell’IVA. Non perché i leghisti non siano pericolosi, ma perché si sta facendo un’alleanza con chi li ha resi tali: Casaleggio che li ha traghettati a Palazzo Chigi.

Anche perché i sondaggi premiavano il ministro alco-leghista ben prima del Papeete. Ben prima che Zingaretti diventasse segretario. O dicevano cazzate prima, o ne hanno fatta una ora.

Poi, visto che una simile richiesta è pervenuta dal M5s, si poteva pretendere che l’interlocutore non fosse Di Maio. Per una questione di principio: se cambio di stagione dev’essere, lo si fa cambiando dirigenti. Fatto così, è una resa incondizionata, non un accordo.

Infine, avrei preteso la rigorosa osservanza delle prassi Costituzionali e una totale chiarezza sul ruolo di Casaleggio. Se il Movimento doveva chiedere conferma dell’indirizzo politico ai propri aderenti, l’avrebbe dovuto chiedere prima di salire al Colle, per il rispetto che si deve al Quirinale e alla Costituzione.

Il Paese in mano a Casaleggio. Era meglio il voto?

In questo modo, invece, si è legittimato – anzi lo hanno proprio dichiarato i dirigenti che hanno condotto la trattativa – una struttura partitica personale, il cui proprietario ha il dichiarato scopo di superare il Parlamento.

Come si è legittimato definitivamente Berlusconi come interlocutore la scorsa legislatura, dopo aver fatto finta di avversarlo per vent’anni, così ora si è legittimato Casaleggio dopo aver fatto finta di avversarlo per dieci. A partire dallo stesso Renzi, che pochi mi mesi fa mi citava per denunciare la legge Salva Casaleggio del ministro Bonafede.

Tutto ciò non è accaduto: i dirigenti del Partito Democratico si sono arresi. Della vocazione maggioritaria di Veltroni non v’è più traccia e si cercando accordi locali. Il PD ha cambiato il proprio ruolo storico nell’arco di dieci giorni perché un ministro in ferie alzava troppo il gomito.

Io lo scrivo qui, perché resti agli atti: Casaleggio è più pericoloso di Salvini. Il suo metodo è più lento, ma l’allergia per la democrazia è perfino peggiore. Persegue interessi esclusivamente personali e commerciali, come Berlusconi. Il Movimento 5 Stelle è il ramo d’azienda politico del suo business; il “capo politico” è il suo amministratore delegato. È scritto negli statuti. Il partito è suo, la comunicazione è sua, i processi democratici sono suoi, le iscrizioni sono sue.

Come ho già detto, non so se sarebbe stato meglio il voto, ma so che accordarsi con il Movimento significa consegnare il Paese a Casaleggio. Che presto passerà all’incasso.

 

Dall’Osso dal Movimento a Berlusconi: le conseguenze

Non basterà la battuta di Grillo (“offro il doppio di Berlusconi“) per evitare le conseguenze del passaggio del deputato Matteo Dall’Osso dal Movimento a Forza Italia.

Dall’Osso, infatti, rappresenta molte prime volte. Soprattutto, era un militante storico del Movimento, da quando ancora non esisteva.

Una grana che potrebbe aprire nuovi fronti nel gruppo parlamentare, che già non vive un momento sereno.

L’episodio è clamoroso per tanti motivi: è il primo parlamentare del Movimento che dalla maggioranza passa all’opposizione, direttamente in un altro partito senza passare dal gruppo misto.

Lo fa in diretta polemica con i vertici, Di Maio in particolare, per documentati motivi politici, dopo aver tentato in ogni modo di ottenere l’approvazione di un emendamento.

Dimostra la dinamica che vado descrivendo da mesi: il gruppo si tiene finché Di Maio riesce a garantire risultati, nomine, prebende politiche. Dimostra che, ormai, non c’è più alcuna spinta ideale nemmeno tra i militanti che hanno investito ore, giorni, mesi prima che perfino si potesse ipotizzare di diventare deputati. Dimostra, pure, l’affinità con la destra del Paese. È lì che si guarda, quando col Movimento è finita.

Non c’è una comunità, non c’è un “sogno” che tenga insieme il gruppo parlamentare, solo una fitta rete di ricatti e aspettative. Tutti lo sanno. Nessuno, prima, si era stancato di aspettare. Ora è accaduto. Ora Di Maio e soci sanno che niente è al sicuro: neppure i più fidati, insospettabili buongustai, quelli che si sono bevuti tutto, che si sono ingoiati dieci anni di rospi, sono più disposti ad aspettare.

C’è terreno fertile – vedremo quanto – per la campagna reclutamento di Berlusconi e Forza Italia. E al Senato il governo si regge su sei voti.

L’addio di Matteo Dall’Osso apre, inevitabilmente, un altro fronte: l’efficacia e la credibilità della multa di 100.000 euro prevista per chi, come lui, lascia il partito. È un meccanismo che si era inventato Gianroberto Casaleggio, sulla scorta di quel che faceva Antonio Di Pietro. Solo che non ha mai funzionato. Nessuno ha mai pagato alcuna multa.

Il primo episodio c’era stato qualche mese fa, all’uscita di un europarlamentare. Anche allora il trattamento era stato molto comprensivo, e nessuna multa fu richiesta. Questo secondo episodio tradisce la consapevolezza che quella norma sia inapplicabile, perché incostituzionale. Meglio lasciare il sospetto e il timore, piuttosto che rischiare la certezza. “Basta che lo credano“, diceva Gianroberto.

Come dicevo pochi giorni fa, sono finiti soldi e posti. Ora c’è un sentiero tracciato.

Ora si devono inventare qualcos’altro per trattenere gli oltre trecento parlamentari a cui si offre di diventare finalmente davvero determinanti, prima per far cadere il governo, poi per farne nascere uno nuovo.

La legislatura è ancora lunga, ne vedremo delle belle.

Di Pietro e il Blog di Grillo: gli interessi incrociati tra politica e business

Il MoVimento 5 Stelle nasce per iniziativa di Gianroberto Casaleggio che, tramite la sua azienda, crea il Blog di Grillo, lo fa crescere e lo trasforma in un partito. Con quali soldi e con quali energie? In Supernova — Com’è stato ucciso il MoVimento 5 Stelle raccontiamo come il “boom” del 2013 nasce da lontano, quando Antonio Di Pietro e Italia dei Valori erano anch’essi clienti di Casaleggio Associati e il Blog era finanziariamente in perdita. Qui un breve estratto. Tutta la storia la trovate nel libro.

Il Blog era anche, inevitabilmente, un’iniziativa commerciale, come disse lo stesso Grillo nel 2012 a un attivista: “…lui (Casaleggio, nda) è un manager e vorrebbe anche farlo fruttare, dal suo punto di vista. Fino ad adesso ci abbiamo solo rimesso.” Per un paio d’anni il Blog fu finanziariamente autosufficiente.

C’era un delicato equilibrio di interessi incrociati, tutti legittimi, di cui la Casaleggio Associati era il fulcro. Grillo, dopo anni passati in tournée nei palazzetti e sul palco delle convention delle grandi aziende, ritrovava la visibilità nazionale perduta dopo l’uscita dalla Rai e, in cambio, cedeva a Casaleggio il diritto di sfruttamento della sua immagine per la vendita di libri e dvd. I lettori del Blog trovavano nuovi strumenti per organizzarsi, discutere, promuovere iniziative virtuose nelle proprie comunità e, in cambio, facevano sostanzialmente pubblicità al Blog. Di Pietro, anche lui cliente della Casaleggio Associati, poteva di fatto coordinare la sua comunicazione con quella di Grillo, raccogliendo grande consenso nell’area politica che il Blog stava costituendo, in cambio delle cospicue parcelle versate all’azienda. In quel momento frequentava il Blog per lo più un elettorato di sinistra. Di Pietro vedeva la possibilità, un giorno, di lanciare la sua Opa al neonato Partito democratico. L’equilibrio finanziario del Blog è durato poco: presto libri e dvd non sono più stati sufficienti e le perdite venivano coperte dal bilancio della Casaleggio Associati.

Incrociando i conti dell’azienda e di Italia dei Valori si può dire, col senno di poi, che il partito abbia finanziato il proprio disastro politico. Con fondi pubblici.