Casaleggio all’ONU è un’operazione commerciale

Ieri sera (ora italiana) Casaleggio ha tenuto un discorso a un evento collaterale all’ONU. L’evento è organizzato dal governo italiano in circostanze, tanto per cambiare, piuttosto singolari. L’ex ministro degli esteri Moavero Milanesi ha dichiarato che fu Di Maio ha chiedere di preparare la conferenza senza informarlo che Casaleggio avrebbe partecipato.

Il tema è la democrazia digitale. Casaleggio sostiene che Rousseau sia un caso di studio internazionale, che all’estero siano molto interessati all’esperienza italiana. In realtà è una balla: nessuno conosce davvero Rousseau e quando se ne parla è in termini negativi.

È proprio questo il problema di Casaleggio: la sua necessità è quella di promuovere la propria figura come quella di un esperto di democrazia diretta e la piattaforma Rousseau come applicazione di maggior successo nel settore. Davide in realtà non è affatto un esperto di democrazia, diretta o meno. Ha una laurea in economia con una tesi sul marketing digitale. L’associazione Rousseau è stata multata due volte per il disastro tecnico e manageriale con cui hanno trattato i dati sensibili degli utenti.

Ripulirsi l’immagine

Casaleggio ha quindi necessità di ripulire la sua immagine disastrosa di manager e promuovere il suo prodotto dopo il fallimento delle alleanze in europa che avrebbero dovuto portare nuovi clienti per quell’ente commerciale che è l’Associazione Rousseau. Ricordate? Di Maio aveva garantito accesso alla piattaforma per i potenziali alleati. La stessa piattaforma che i parlamentari del Movimento pagano 300 euro al mese.

Di Maio quindi, come abbiamo raccontato ne Il Sistema Casaleggio, si comporta come il procuratore di affari per Davide Casaleggio che, in cambio, gli lascia gestire il braccio politico del suo gruppo, cioè il Movimento 5 Stelle. Questo è il reale motivo per cui ha mandato Casaleggio all’ONU.

Così andrebbe raccontata questa incresciosa vicenda. Se potete, fatelo sapere ai vostri conoscenti condividendo questo articolo.

Perché i senatori ce l’hanno con Di Maio

Ieri la stampa riportava le cronache marziane dall’assemblea dei senatori del Movimento 5 Stelle. I senatori, pare, ce l’hanno con Di Maio.

Ciclicamente capita che ci siano mugugni nei gruppi parlamentari e che i giornalisti subito parlino di scissione imminente, dissidenti, scontri fratricidi. Io credo che si possa e si debba guardare ai fatti con le giuste proporzioni, ricordando sempre la stella polare: nessuno farà nulla che possa mettere a rischio la legislatura. A settembre 2022 i parlamentari di prima nomina, numerosissimi in parlamento (60%) e soprattutto nel Movimento, matureranno il diritto alla pensione. Come avevo previsto, la crisi di governo non ha portato a elezioni, ma si sono formate nuove maggioranze: dovesse fallire anche il Conte 2, si troveranno nuove geometrie.

Vero è che nel Partito Democratico ci sono state maggiori conseguenze: Renzi e i suoi hanno creato nuovi gruppi, autonomi rispetto al PD. Capisco che ci sia la tentazione di applicare le stesse logiche anche al Movimento, ma la geografia politica e le dinamiche del partito di Casaleggio sono completamente diverse.

L’organizzazione di Rousseau

Anzitutto bisogna sottolineare un fatto: il know how organizzativo, i dati, la memoria storica, la capacità di gestire il fiume di soldi che deriva dall’essere in parlamento risiede nell’Associazione Rousseau. Non c’è nessuno, nel Movimento, che abbia le capacità necessarie a formare un proprio partito. Se mai ci sarà una scissione, chi si allontana è destinato all’oblio. Anche soltanto per contattare i sostenitori, tutti devono passare da Casaleggio. Al contrario, Renzi da sempre coltiva la propria base indipendentemente dagli organi di partito, cominciando dalla sua newsletter. Da oltre 10 anni, l’ex primo ministro invia ogni settimana una mail ai propri sostenitori. In dieci anni ha raccolto chissà quante decine di migliaia di contatti di cui dispone direttamente, personalmente.

Nel Movimento, questo lavoro l’ha svolto Casaleggio Associati prima e Rousseau poi. Formalmente i dati sono dell’Associazione Movimento 5 Stelle, ma nessuno ha le capacità tecniche di gestire la macchina indipendentemente dal personale di Casaleggio.

Parlamentari, Consiglieri e fan

Bisogna poi distinguere i diversi gruppi all’interno del Movimento. Non in base alla fedeltà verso Di Maio, Casaleggio, Grillo ma secondo il trascorso politico e le prospettive. Ci sono i parlamentari di seconda nomina, quelli eletti per la prima volta nel 2013. La maggior parte di loro è sottosegretario, ministro, viceministro, presidente di commissione, capogruppo. Oppure lo è stato nel governo con la Lega. Insomma, più o meno tutti sono stati premiati con un incarico. Alcuni hanno scelto di non ricandidarsi, come Alessandro Di Battista, facendo probabilmente un calcolo sbagliato, visto che l’ultima cosa che si aspettava era un governo col Partito Democratico. Questi parlamentari non potranno essere rieletti nel caso la legislatura duri fino alla fine, ma non hanno neanche la garanzia che possa valere per tutti la deroga su cui Di Maio può contare alla regola dei due mandati (quella che vieta più di due mandati parlamentari).

Ci sono i parlamentari di prima nomina, eletti nel 2018. Rispetto ai loro compagni politicamente più anziani, hanno avuto il vantaggio di essere guidati dentro il palazzo. Sanno che al prossimo giro potranno anche loro accedere alle cariche più prestigiose nelle commissioni o, chissà, di nuovo al governo se dovessero farne parte anche alla prossima legislatura. A questo gruppo di persone non spaventa il voto. Tra questi, peraltro, c’è una piccola pattuglia di persone selezionate direttamente da Luigi Di Maio per fare da pontieri verso gli altri soggetti politici. Il Senatore Paragone verso la Lega, e sarebbe dovuto diventare presidente della commissione d’inchiesta sulle banche, ora saltata. Spadafora, verso il Partito Democratico, adesso ministro. Emilio Carelli, ex uomo-Mediaset verso la destra più moderata.

Un altro gruppo è quello dei consiglieri comunali e regionali: sono i beneficiari del famoso “mandato zero”. Potranno candidarsi al parlamento anche se hanno fatto due mandati nelle istituzioni locali. Inoltre, c’è una batteria di fan, per lo più assistenti parlamentari e dei consiglieri regionali, che aspettano la prima occasione utile per diventare loro stessi onorevoli o consiglieri.

Chi sono i senatori che ce l’hanno con Di Maio

Non sappiamo (ancora) chi abbia sottoscritto il documento di cui si parla e il cui contenuto è peraltro ignoto, ma secondo me la maggior parte dei parlamentari fanno parte del primo gruppo. Il motivo è abbastanza semplice da intuire. Più avanza la legislatura più è chiaro chi avrà un futuro politico: Di Maio e il suo strettissimo giro di tirapiedi. In qualche modo ci sarà la possibilità per un gruppo di persone di continuare l’attività politica. Le opzioni sono tante, ma se guardiamo quanto accade a livello locale, la svolta più probabile è che si costituiscano liste “civiche” per non “disperdere l’esperienza maturata” nei dieci anni di Parlamento, costituita da Di Maio, aperta solo ai suoi stretti collaboratori, con la benedizione di Casaleggio (che magari potrebbe sperimentare il subaffitto di Rousseau a un’altra realtà oltre al Movimento).

Chi sente di poter essere fuori, teme per il proprio futuro. Michele Giarrusso, per esempio, non sembra tipo che il “moderato” Di Maio possa portarsi dietro, così come Gianluigi Paragone, che peraltro, in base al codice di comportamento, dovrebbe subire l’allontanamento dal Movimento, non avendo votato la fiducia.

Casaleggio non teme affatto una scissione né vede con preoccupazione il fatto che ci siano parlamentari che lasciano il Movimento per altri lidi. Ci sono centinaia, migliaia di persone in attesa del proprio giro di giostra, disposti a noleggiare un seggio parlamentare per trecento euro al mese.

Meglio il voto? Il disastro dell’accordo PD-M5s

Onestamente, non so se sarebbe stato meglio il voto. Non so, come non può saperlo nessuno, se i sondaggi che premiavano la Lega disegnavano davvero un esito elettorale ineluttabile. Ovviamente, non lo sapremo mai.

Siamo in un sistema elettorale proporzionale, il che significa che fare accordi con gli avversari politici è l’unico modo per mettere insieme una maggioranza di governo.

Siamo anche molto vicini a due scadenze, nel 2022: a febbraio si voterà il nuovo Capo dello Stato; a novembre il 60% dei parlamentari – quelli di prima nomina – maturano il diritto alla pensione. Un assegno di 1200 a partire dai 65 anni di età.

È del tutto evidente, quindi, che questo Parlamento cercherà in ogni modo di arrivare alla fine della legislatura.

Non come avevo pensato. Io immaginavo che la maggioranza Lega-M5s avrebbe retto, con magari l’innesto di Fratelli d’Italia. Avevo sottovalutato che il delirio di onnipotenza di Salvini unito al fatto che non regge molto bene l’alcol l’avrebbe portato a rompere con Di Maio.

Resta il fatto che, come avevo suggerito, almeno per questo giro ha prevalso lo spirito di sopravvivenza del parlamento.

Però.

C’è modo e modo di fare gli accordi

Il Movimento 5 Stelle nasce in un momento in cui l’avversario, il Potere era il PD. Il neonato PD. Dal giorno zero, l’obiettivo è stato il Partito Democratico. Era il partito al governo, era pure il concorrente del principale cliente di Gianroberto Casaleggio, L’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro.

Una delle argomentazioni di propaganda più efficaci era la seguente: Berlusconi aveva governato ed era sopravvissuto agli scandali grazie al PD. Il ritorno al governo nel 2008 la prova definitiva. Il discorso alla Camera di Luciano Violante, secondo il quale durante i governi di centrosinistra il fatturato di Mediaset era aumentato di 25 volte, la confessione.

Avanti veloce fino a 4-5 settimane fa: si sprecavano, da parte di molti attuali ministri e sottosegretari, giuramenti solenni: “mai un governo con il Movimento 5 Stelle”.

Il segretario del Partito Democratico, Nicola Zingaretti, ha vinto il congresso su questa piattaforma, lamentando quanto fosse avvilente doverlo ripetere. Lo ripeteva il 2 settembre all’incontro di AreaDem, la corrente di Franceschini. Che ora propone di costruire col M5s una “casa comune, coi sassi che ci siamo lanciati” negli ultimi anni.

Renzi, lo scorso anno aveva fatto saltare l’ipotesi di un governo col Movimento, oggi ne è l’artefice.

Si va verso una legge proporzionale pura (ne parleremo, ma il referendum che propone Salvini è perfettamente inutile: il parlamento legifererà non appena depositato il quesito, per annullare la consultazione). È inevitabile che il Movimento cercherà alleanze. Mi voglio rovinare: forse ha pure senso che il Partito Democratico cerchi strategicamente di scardinare le alleanze avversarie. Ma c’è modo e modo.

L’alternativa

Mi si chiede quale sarebbe stata l’alternativa. Meglio il voto? Non lo so: non decidono i leader di partito, ma il Parlamento e il Capo dello Stato se ci sono altre maggioranze o si deve tornare alle urne. Ma, ripeto, c’è modo e modo di costruire gli accordi.

Sarebbe stato meglio che tutti, da Renzi ai sottosegretari che spergiuravano che mai avrebbero governato con Casaleggio, avessero chiesto scusa, allegando spiegazioni un filo più credibili che fermare i barbari e l’aumento dell’IVA. Non perché i leghisti non siano pericolosi, ma perché si sta facendo un’alleanza con chi li ha resi tali: Casaleggio che li ha traghettati a Palazzo Chigi.

Anche perché i sondaggi premiavano il ministro alco-leghista ben prima del Papeete. Ben prima che Zingaretti diventasse segretario. O dicevano cazzate prima, o ne hanno fatta una ora.

Poi, visto che una simile richiesta è pervenuta dal M5s, si poteva pretendere che l’interlocutore non fosse Di Maio. Per una questione di principio: se cambio di stagione dev’essere, lo si fa cambiando dirigenti. Fatto così, è una resa incondizionata, non un accordo.

Infine, avrei preteso la rigorosa osservanza delle prassi Costituzionali e una totale chiarezza sul ruolo di Casaleggio. Se il Movimento doveva chiedere conferma dell’indirizzo politico ai propri aderenti, l’avrebbe dovuto chiedere prima di salire al Colle, per il rispetto che si deve al Quirinale e alla Costituzione.

Il Paese in mano a Casaleggio. Era meglio il voto?

In questo modo, invece, si è legittimato – anzi lo hanno proprio dichiarato i dirigenti che hanno condotto la trattativa – una struttura partitica personale, il cui proprietario ha il dichiarato scopo di superare il Parlamento.

Come si è legittimato definitivamente Berlusconi come interlocutore la scorsa legislatura, dopo aver fatto finta di avversarlo per vent’anni, così ora si è legittimato Casaleggio dopo aver fatto finta di avversarlo per dieci. A partire dallo stesso Renzi, che pochi mi mesi fa mi citava per denunciare la legge Salva Casaleggio del ministro Bonafede.

Tutto ciò non è accaduto: i dirigenti del Partito Democratico si sono arresi. Della vocazione maggioritaria di Veltroni non v’è più traccia e si cercando accordi locali. Il PD ha cambiato il proprio ruolo storico nell’arco di dieci giorni perché un ministro in ferie alzava troppo il gomito.

Io lo scrivo qui, perché resti agli atti: Casaleggio è più pericoloso di Salvini. Il suo metodo è più lento, ma l’allergia per la democrazia è perfino peggiore. Persegue interessi esclusivamente personali e commerciali, come Berlusconi. Il Movimento 5 Stelle è il ramo d’azienda politico del suo business; il “capo politico” è il suo amministratore delegato. È scritto negli statuti. Il partito è suo, la comunicazione è sua, i processi democratici sono suoi, le iscrizioni sono sue.

Come ho già detto, non so se sarebbe stato meglio il voto, ma so che accordarsi con il Movimento significa consegnare il Paese a Casaleggio. Che presto passerà all’incasso.

 

Il voto, l’Europa, il Movimento che verrà

Di Maio si è presentato da solo alla conferenza stampa organizzata presso il suo ministero, dopo la pesante sconfitta del voto europeo dello scorso weekend.

Gli va riconosciuto il coraggio di assumersi interamente la responsabilità della sconfitta. Del resto così fa l’amministratore delegato di un’azienda quando i risultati non sono quelli sperati. La proprietà, però, sostituisce il capo azienda quando i risultati non sono più sostenibili, adeguati alle necessità del gruppo. È in quest’ottica che bisogna leggere le dimissioni che alcuni si aspettavano dal capo politico del M5s. Di Maio ha tenuto a precisare che ha sentito Grillo, Fico e Casaleggio e nessuno gli ha chiesto di fare un passo indietro. Dei tre l’unico che avrebbe potuto è l’ultimo, Davide Casaleggio, il dominus del Sistema che io e Nicola Biondo abbiamo raccontato ne Il Sistema Casaleggio.

Il padrone è l’Erede

Per analizzare questa fase del Movimento il primo errore da non commettere è quello di applicare logiche unicamente politiche. Le dinamiche del partito di Casaleggio e Di Maio sono diverse da quelle degli altri soggetti, così come sono diversi gli obiettivi e i ruoli di ciascun attore. Quello di Di Maio non è assimilabile a quello di Salvini o Zingaretti, segretari di partito che rispondono solo alla propria base e alle rispettive assemblee. Di Maio risponde a Casaleggio, il quale amministra il partito come presidente dell’Associazione Rousseau come ha fatto scrivere nello statuto scritto da Lanzalone. Anagrafiche degli iscritti, candidature, comunicazione, soldi: tutto passa da Milano. Il padrone è l’Erede.

Il Movimento è resiliente

Il secondo errore da non commettere è ignorare la resilienza che il Movimento ha saputo dimostrare nel corso di questi dieci anni. Hanno saputo adattare la propria struttura e il proprio passo alle mutevoli circostanze. Questa è una qualità che va riconosciuta, come l’abbiamo riconosciuta, al padrone del vapore Davide Casaleggio. Morto suo padre, ha preso in mano azienda, partito e relazioni e le ha rimodellate secondo le proprie necessità, riuscendo a costruirsi un ruolo inattaccabile e delegando a Di Maio il compito di compattare gli scappati di casa che compongono i gruppi parlamentari e portare il partito a vincere le politiche del 2018. Casaleggio amministra il partito tramite l’associazione Rousseau in totale autonomia, con obiettivi di lungo termine legati al proprio business e alla concezione contorta di democrazia che la sua mente ha prodotto sotto l’effetto degli stupefacenti risultati degli ultimi anni. Ricordiamo la tetra profezia secondo la quale i parlamenti diventeranno inutili, per come li conosciamo oggi.

Se il presidente del Sistema non ha rimosso il suo amministratore delegato è perché, nonostante questo deludente 17%, la presenza di Luigi Di Maio alla guida del ramo d’azienda politico del Sistema è ancora utile. Non nella stessa forma, forse, ma un’alternativa pronta non c’è.

Il Movimento, e in generale il Sistema Casaleggio, hanno già dimostrato di saper cambiare struttura e pelle per migliorare le proprie performance. Nel 2012, in previsione del voto, in gran segreto Grillo e Casaleggio aprirono un’associazione apposita, buttando alle ortiche non-associazione e non-statuto. Poi arrivò il direttorio, utile a spostare l’asse del potere da Milano a Roma. Poi venne sciolto il direttorio, esaurito il suo compito. Nel 2016 arrivò l’Associazione Rousseau, nel 2017 il nuovo statuto di Lanzalone e il nuovo capo politico.

Le posizioni si sono ammorbidite o irrigidite a secondo delle necessità e del contesto. Succederà la stessa cosa pure adesso, il Movimento non sparirà. Dopo l’assemblea dei gruppi si cominceranno a capire i contorni della nuova metamorfosi e, soprattutto, il coraggio e l’effettiva dimensione del gruppetto di avversari che Di Maio dovrà sfidare nel partito. Sarà interessante.

Per seguire questo processo bisogna tenere bene a mente alcuni fattori e alcuni nodi politici, alcuni dei quali verranno sciolti molto in fretta. Vediamo quali, partendo dal tema che ha riguardato questa tornata elettorale: il Parlamento Europeo.

Europa

Il fantomatico nuovo gruppo che Di Maio sognava di costituire al Parlamento Europeo non si farà. Solo uno dei potenziali alleati ha eletto candidati e ne servono almeno 25 da 7 paesi diversi. Il Movimento non può permettersi di non far parte di un gruppo: perderebbe finanziamenti, accesso ai ruoli, tempo di parola. Salvini ha già detto di avere avviato da tempo colloqui con Nigel Farage per portarlo nel proprio gruppo. La scelta per Di Maio è tra il gruppo di Salvini e Le Pen o l’irrilevanza e la perdita di una marea di risorse. Ci sarebbe anche il gruppo dei conservatori di cui fanno parte i Tory britannici (il partito di Theresa May per capirci). Anche questa ipotesi è però difficile perché a ottobre, se la Brexit avverrà, i parlamentari britannici non ci saranno più. In ogni caso, l’unico approdo possibile per il Movimento è a destra e, anche allo scopo di puntellare il governo, quello più logico sembra il gruppo di Salvini di cui farà parte pure Nigel Farage.

Tenuta del governo e della legislatura

Continuo a pensare che la legislatura finirà alla sua scadenza naturale, nel 2023. Lo penso ancora di più adesso, dopo il voto europeo.

Anzitutto, le camere le scioglie il capo dello Stato, non Salvini o Di Maio. Se cade il governo non finisce automaticamente la legislatura. Prima, il Presidente della Repubblica deve verificare che non esista un’altra maggioranza in Parlamento. Un Parlamento composto per il 60% da persone che aspettano il settembre 2022, quando matureranno il diritto al trattamento pensionistico. Voi rinuncereste a 1500 euro al mese a partire dai 65 anni?

È chiaro che adesso Salvini abbia un deterrente in più nei confronti del Movimento: un eventuale voto anticipato favorirebbe lui, senza contare che Di Maio e i suoi – tutti parlamentari alla seconda legislatura – non si possono ricandidare come ha ricordato settimana scorsa Casaleggio. Ciononostante, non so quanto a Salvini convenga rischiare che si formino maggioranze diverse. In questa situazione, può facilmente esercitare un controllo maggiore sull’azione di governo, imporre la propria agenda, i propri temi e costruire il campo per le prossime scadenze politiche, a cominciare dall’elezione del prossimo presidente della Repubblica nel febbraio del 2022. In ogni caso, quando Matteo Salvini vorrà mettere in crisi il governo dovrà pronunciare una sola parola: “Casaleggio”. Quello sarà il segnale.

Le defezioni che possono mettere a rischio la maggioranza, in queste condizioni, possono arrivare verosimilmente dal gruppo di senatori di seconda nomina del Movimento 5 Stelle. Sono quelli che hanno meno da perdere (non sarebbero comunque ricandidati) e più da guadagnare (niente restituzioni, visibilità in prospettiva magari di un cambio di casacca). Occhi puntati lì, quindi. Ma niente paura: prima di mettere in crisi la legislatura c’è pronta la pattuglia di Fratelli d’Italia. Soprattutto se si dovesse saldare il rapporto con la Lega in europa, per Salvini non sarebbe difficile convincere Di Maio e Casaleggio ad accogliere i nuovi alleati. Questo punto lo approfondiamo fra un attimo.

Non credo sia verosimile – per ora – un’ipotesi alfaniana, cioè Di Maio e i suoi che formano un gruppo autonomo per non far cadere il governo, uscendo dal Movimento. Anche perché non ci sarebbero i numeri in Senato: ai senatori di prima nomina Casaleggio può garantire la ricandidatura, uscire dal Movimento sarebbe un salto nel buio. Mai dire mai, comunque.

La diretta conseguenza di tutto ciò è che d’ora in poi, pur di mantenere lo status quo, Di Maio e i suoi cederanno su qualsiasi cosa. Hanno già salvato il ministro dell’Interno da un processo, ceduto sul Tap, il terzo valico, il Muos, gli F35. Cederanno anche sul Tav. Prima di tornare a vendere lattine a San Paolo – professione peraltro rispettabilissima – Di Maio si venderà pure le mutande.

Nemmeno i cosiddetti dissidenti credo vogliano la testa di Di Maio: sono preoccupati per la loro. Tutti hanno l’interesse a far durare la legislatura e per farlo serve che tutti gli incarichi, dai ministeri alla segreteria politica, siano svolti bene.

Il Movimento da domani

L’assemblea dei gruppi prevista mercoledì 29 maggio aprirà la guerra civile. Io avevo previsto che sarebbe accaduto con un risultato sotto il 21%, e il 17% lo è di molto. Vedremo quanto è forte la fronda, o le fronde. Sembrano esserci vari livelli di contrasto alla leadership: dai più agguerriti ai più comprensivi (come il senatore Paragone) tutti hanno messo nel mirino il capo politico. Ma chi veramente vuole cambiare le cose facendo chiarezza dovrebbe partire dalla testa, da cui di solito il pesce puzza: il ruolo di Davide Casaleggio e dell’associazione Rousseau. Se nessuno lo farà saremo di fronte a una banale spartizione di potere.

È comunque abbastanza evidente che Di Maio non può continuare a gestire da solo il partito, i due ministeri e il comitato delle rendicontazioni. Un organo, quest’ultimo, non previsto da nessuno statuto che raccoglie tutte le restituzioni dai parlamentari prima che queste siano destinate ai fondi scelti di volta in volta (spesso, in realtà, ai comitati elettorali). Vedremo quale sarà la soluzione che verrà elaborata, ma l’unico fatto certo è che lo Statuto prevede che la carica di capo politico duri cinque anni. L’unico che può decidere di cambiare davvero è Casaleggio, che però prima dovrebbe costruire un’alternativa. È per questo che lui e Di Maio hanno tolto dalle mani dell’assemblea la decisione, chiedendo il voto su Rousseau, piattaforma – come certifica il Garante della Privacy – non trasparente, insicura, manipolabile. La sua investitura arriva da Casaleggio-Rousseau ed è lì che cerca la conferma, con il solito quesito per gli attivisti che già suggerisce l’ovvia risposta (“Vuoi confermare Luigi Di Maio come capo politico?”). Oggi è arrivata poi la Cassazione: Beppe Grillo ha detto che Luigi va bene, i gonzi sanno cosa rispondere.

Di Maio, inoltre, da capo politico può governare la riorganizzazione del partito da un punto di forza, potendo prevedere ruoli e percorsi per sé e i suoi dopo l’esperienza di governo, quando non potranno più ricandidarsi.

In quest’ottica, va ricordato un fatto: il Movimento non è un’entità indipendente. Fa parte di un sistema di potere, come ogni partito. Ha una sua constituency e ha il suo proprietario di fatto con interessi propri. Questo sistema, come già visto, ha dimostrato di saper cambiare velocemente pelle, struttura, rappresentanti e sponsor. Lo saprà fare anche adesso. Non sono finiti. L’equilibrio da trovare sarà tra il futuro dei nuovi volti del Movimento che aspettano il proprio turno, gli interessi di Casaleggio e quelli del gruppo dirigente attuale che ancora deve capire cosa farà dopo questa esperienza di governo.

In termini generali, Casaleggio può tranquillamente pianificare la prossima legislatura all’opposizione, far maturare nuovi dirigenti e tornare in area di governo successivamente.

Il sistema proporzionale vigente, però, lascia spazio a parecchie sfumature. Questo governo è un’anomalia: dal dopoguerra non era mai successo che una maggioranza fosse composta da due soli soggetti. Non potrà reggere a lungo, questa situazione. Se veramente il Movimento aderirà al gruppo di Salvini in europa, l’area di governo attuale sarà quella definitiva per Casaleggio e compagnia. Quella, peraltro, in cui si trovano meglio per cultura (si fa per dire) personale. Consolidare i rapporti adesso significa porre le basi per una stabile area politica per le legislature a venire. Le regole del Movimento vietano le ricandidature, ma gl’incarichi governativi non sono elettivi. Di Maio farà di tutto per normalizzare i rapporti con la Lega senza darlo troppo a vedere. Dovrà lasciarlo accadere, facendo intendere la possibilità di carriere per tutti. Questo sarebbe il punto di caduta che potrebbe accontentare tutti e che permetterebbe di liberare il movimento dagli ultimi scocciatori che lo vorrebbero forza battagliera di opposizione.

Alessandro Di Battista

Due righe su Di Battista: l’ex deputato ha il coraggio di un leone morto e le capacità politiche come quelle tecnologiche di Casaleggio. È un agitatore buono per l’opposizione. Se torna lui, saprete che da Milano hanno scelto la ritirata.

Guida pratica per l’opposizione

Infine, l’opposizione. Come si combatte un sistema simile? Dalla testa. Trattare con Di Maio, parlare di Di Maio, pensare a Di Maio è precisamente ciò che permette al sistema di reggere.

Il segretario di un partito parte con un handicap: è sostituibile, a differenza di Casaleggio. Il Movimento può permettersi di sbagliare perché i vertici politici sono sostituibili, i parlamentari devono la loro carriera passata e futura a Casaleggio. Basterebbe costringere il Movimento a interrogarsi sul ruolo di Casaleggio per demolire il castello di carte che questo si è costruito intorno. Basterebbe chiedere alle autorità preposte d’indagare gl’interessi di Milano, le influenza esercitata da Davide, le promesse, le garanzie, i clienti. Il Movimento è il tassello di un sistema di potere: o lo conosci e lo combatti o sei parte di esso, non ci sono alternative.

Cari rider, parlate con Casaleggio

Il sindacato dei “rider”, i fattorini che consegnano cibo a domicilio tramite servizi come Deliveroo, UberEats, JustEat, cerca da mesi di ottenere dal governo soluzioni al problema dei propri rappresentati. In breve, si chiedono nuove regole per l’inquadramento lavorativo.

Non entro nel merito della questione, ma voglio segnalare un errore di metodo: cari rider, sbagliate interlocutore.

Non cercate Di Maio ma Davide Casaleggio, il presidente dell’Associazione Rousseau che raccoglie milioni di euro dai parlamentari del Movimenti per gestire le anagrafiche, gli strumenti di comunicazione, le liste di candidati del partito attraverso l’omonima piattaforma. Casaleggio, ci raccontano le recenti cronache, è il fondatore del nuovo Movimento governativo e ne è di fatto amministratore unico secondo l’articolo 1 dello Statuto del partito attraverso la sua associazione privata Rousseau di cui è presidente e tesoriere. Non c’è peraltro modo di sostituirlo in questo ruolo: non risponde al partito, risponde solo a sé stesso. Di Maio passa, Casaleggio resta.

Ma non è per questo che dovreste parlare con l’Erede. Mentre voi cercate il tavolo con il governo nella persona del ministro Di Maio, con scarsi risultati, una delle aziende principali che rappresentano la vostra controparte parla – eccome – con l’amministratore unico del partito del ministro. Deliveroo è infatti sponsor dell’azienda di Casaleggio per il suo studio sull’economia digitale.

Non è Di Maio che comanda, ne Movimento. La domanda è: Di Maio è libero nelle decisioni che prende su questo argomento? Si pone il problema del suo collega fondatore che ha rapporti commerciali con una delle aziende che deve regolamentare? Si consulta con Casaleggio? E se lo facesse, i consigli che riceve che interessi servono?

Sono queste le domande che dovreste porre e dovreste chiedere di porre a Di Maio e Casaleggio.

Il voto su Salvini non è una svolta

Due giorni fa ho spiegato quali sono state le difficoltà tecniche di Rousseau, perché non sono risolvibili e soprattutto cosa dovrebbero chiedersi parlamentari e attivisti del Movimento: cosa ci fa Casaleggio coi soldi se la piattaforma fa così schifo?

Oggi vediamo quali sono le conseguenze politiche del voto che ha evitato il processo a Salvini, l’alleato di governo del partito di Di Maio. O meglio, cosa certifica quel voto: perché l’esito è un punto d’arrivo, non una svolta inaspettata.

Almeno non per chi da parecchi anni, ormai, vede il M5s per quello che è: il ramo d’azienda politico di un Sistema gestito da Davide Casaleggio. Il M5s è stato scalato, trasformato e modellato sulla base di un’agenda completamente diversa da quella di suo padre.

Se prendiamo per valido l’esito del voto, 60% a favore del salvacondotto a Matteo Salvini, significa che non solo il partito ma pure la sua base è stata rimodellata. Ripeto, non che sia una novità. Io e Nicola Biondo nel nostro libro Supernova abbiamo descritto per filo e per segno il processo di mutazione.

È un processo iniziato subito dopo lo sbarco in Parlamento nel 2013 che si è concluso nel 2017 dopo la morte di Gianroberto Casaleggio. Il partito è stato scalato da un gruppetto di giovani arrivisti, con l’aiuto decisivo di un paio di funzionari di partito che, da Milano, hanno agevolato e guidato la transizione.

A cominciare dalla costituzione del Direttorio: già lì era chiaro dove si andava a parare.

Il voto su Rousseau che permette a Salvini di evitare il processo è l’esito naturale del percorso. Non è vero che i parlamentari siano scollati dalla base: gl’iscritti e soprattutto gli elettori sono in perfetta sintonia, almeno la maggioranza di loro (inteso sia i parlamentari che gl’iscritti). Sono stati sempre selezionati affinché fossero plasmabili a seconda della necessità del momento. Gli attivisti non esistono più, esistono solo i fan delle pagine Facebook. I follower dei canali Twitter.

Il volto del Movimento Cinque Stelle non è più Beppe Grillo, ma il senatore Giarrusso. Membro della giunta per le autorizzazioni a procedere, ieri ha votato per parare le chiappe a Salvini. Uscito dall’aula ha mostrato ai parlamentari PD il segno delle manette, riferendosi al padre di Renzi agli arresti. Una sintesi perfetta: noi al potere salviamo gli amici, voi finite in galera.

Il voto su Rousseau ha pure rassicurato Di Maio e Casaleggio riguardo un altro aspetto della mutazione che stanno apportando al Movimento. Da giorni sono annunciate novità rispetto all’organizzazione. Si parla di una segreteria politica, di una rete territoriale. Il timore che la base non digerisse il passaggio è svanito. I supporter approveranno qualsiasi cosa. Ratificheranno qualsiasi decisione. Adesso che la linea Di Maio – Casaleggio è stata confermata, anche la resistenza interna non ha più ragione d’essere. Il voto su Salvini era un voto su chi comanda: comandano Casaleggio e il suo amministratore delegato Di Maio. Fine.

Chi segue me o chi ha letto Supernova sa bene che il rapporto con la Lega nasce lontano nel tempo. Leghista della prima ora era Gianroberto Casaleggio. Incontri più o meno segreti si sono svolti durante tutta la scorsa legislatura. La propaganda, i temi, le alleanze internazionali hanno sempre più chiaramente svelato che gli elettorati e gli eletti si piacciono. Sono simili e compatibili.

Il prossimo passo saranno le elezioni europee. Il Movimento 5 Stelle non ha trovato alleati per formare un gruppo. I quattro che ha presentato (destracce e fascistame vario) non sono sufficienti, ammesso che riescano a eleggere dei parlamentari. Mi sbilancio e prevedo che la scelta sarà tra il gruppo con la Lega e l’irrilevanza. E Di Maio sceglierà la prima.

Guai sulla piattaforma Rousseau: sono finiti gli hacker!

Dichiaro fin da subito che l’idea di usare “ciofeca” per definire la piattaforma Rousseau di Davide Casaleggio è di Nicola Biondo. Quindi nel caso denunciate lui: se qualcuno chiederà l’autorizzazione a procedere, a quel punto mi autodenuncio anche io.

Ciò detto, ieri si è tentato di svolgere la votazione sulla Ciofeca per stabilire se il Movimento debba o meno concedere l’autorizzazione a procedere nei confronti del ministro Salvini.

Secondo l’amministratore unico della Ciofeca, gl’iscritti – o chi per loro – hanno deciso (30.948 contro 21.469) che Salvini non andrà processato. Non che sia importante: nessuno sa se questi risultati siano veri o falsi. O meglio lo sa solo uno: Davide Casaleggio.

Infatti, il codice della Ciofeca non è pubblico, lo conoscono solo Casaleggio e i suoi tecnici. Questo impedisce, ovviamente, qualsiasi verifica sul buon funzionamento del sistema di voto e di conseguenza ogni verifica sulla correttezza del risultato.

Inoltre, per tutta la giornata ci sono stati problemi tecnici: prima è stato rinviato il voto di un’ora, dalle 9 alle 10. Alla fine è iniziato alle 11 e si è concluso alle 21.30. Il buon David Puente, su Open, ha documentato la giornata. Le operazioni di voto per ogni singola persona potevano durare anche ore. Non tutti hanno ricevuto conferma dell’avvenuta votazione. Una parlamentare, Elena Fattori, si è lamentata di non riuscire nemmeno a collegarsi.

In effetti, nelle prime ore della mattinata, ci sono stati parecchi errori del sistema che ospita la piattaforma. Perché?

Anzitutto, possiamo escludere che ci siano state violazioni esterne: sono finiti gli hacker. Infatti, come accade quando non si sa che pesci pigliare, spesso in passato è stato usato l’attacco esterno contro il voto per giustificare quelli che oggi sappiamo essere altro. Per la precisione gravi carenze nello sviluppo e nella gestione dei sistemi. I tecnici che hanno sviluppato e che amministrano Rousseau semplicemente non sono capaci di farlo. Non sono proprio in grado.

Il punto è questo: se sai quanti utenti sono iscritti devi dimensionare la struttura per sopportare un voto di tutti gl’iscritti contemporaneamente. Se non lo fai e il server (per semplificare) è sottodimensionato, si crea un collo di bottiglia e ci sono i casini di ieri sulla Ciofeca.

A dimostrazione, per cercare di sgorgare la fogna, sono stati quasi subito rimossi alcuni fondamentali controlli di sicurezza, come l’autenticazione a doppio fattore (un SMS con un codice oltre alla password per poter accedere) e il messaggio di conferma dell’avvenuta votazione.

La domanda è: ma che cavolo ci fa Casaleggio col fiume di denaro che gestisce tramite Rousseau invece di sviluppare una Ciofeca che funzioni?

Domani facciamo qualche considerazione politica facendo finta che questo voto abbia un qualsivoglia valore.

Operazione Pizzarotti

Il tempo, si sa, è galantuomo e Federico Pizzarotti ha fama di essere persona paziente.

Il sindaco di Parma, noto per aver abbandonato il Movimento 5 Stelle dopo anni di mobbing da parte dei dirigenti, sta costruendo quella che sembrerebbe avere il sapore dolce di una sonora rivincita.

L’anno scorso, infatti, insieme ad altri amministratori locali ha fondato “Italia in Comune“, un partito che si propone di raccogliere l’esperienza e il pragmatismo dei sindaci, senza precludersi alleanze con altre forze politiche.

Così pare si stiano materializzando gl’incubi peggiori di Grillo, Di Maio e Casaleggio.

Italia in Comune ha infatti annunciato la costituzione di una lista che appoggerà la candidatura del sindaco PD di Cagliari, Zedda, a governatore della Sardegna.

Ha pure siglato un’intesa coi Verdi per una lista comune per il Parlamento Europeo: una sfida diretta proprio al Movimento 5 Stelle, che coi Verdi aveva cercato più volte un’intesa spinta soprattutto dagli attuali europarlamentari, soprattutto Dario Tamburrano.

Con la Lega di Salvini che sta prosciugando il campo a destra e Pizzarotti quello a sinistra, Di Maio potrebbe restare senza gruppo politico al Parlamento Europeo. A quel punto la scelta sarebbe l’inutilità o la resa: l’alternativa sarebbe, infatti, l’adesione al gruppo di Salvini e Le Pen.

Sarà una campagna elettorale oltremodo divertente.

La fronda di Fico

La confusione di alcuni giornali su quanto accade nel Movimento 5 Stelle ha raggiunto livelli esilaranti.

Il Giornale scrive che Grillo sarebbe pronto a fondare un nuovo Movimento insieme a Fico, un gruppo di altri parlamentari e i MeetUp. L’idea sarebbe quella di “separare le proprie strade da quelle di Casaleggio e Di Maio”. Anche con Di Battista i rapporti sarebbero “al minimo storico”.

A distanza di poche ore, il Corriere della Sera vede una scissione: Grillo e Di Battista contro il resto del mondo.

A costo di essere noioso e ripetitivo: nel Movimento 5 Stelle non c’è nessuna fronda, nessuna scissione in corso. Grillo e Fico contano zero, anche se fosse vero che non sopportano più Di Maio e Casaleggio (più che probabile).

Il Sistema Casaleggio ha messo al sicuro il know how e soprattutto i soldi da molto tempo. A Grillo è rimasto il ruolo del tutto inutile di “Garante”. Di Maio è il capo, Casaleggio la cassa per la gestione di tutto ciò che abbia valore, cioè donazioni e dati. Tutto il resto è solo chiacchiericcio, utile alla campagna elettorale, a fare visite sui siti dei quotidiani e a illudere quei babbei degli attivisti che ancora pensano di contare qualcosa.

 

La Bestia siete voi

Voglio fare un paio di riflessioni sulla comunicazione di Salvini e Di Maio.

La prima è che il Movimento rincorre. Da settimane lo stile dei parlamentari, soprattutto del ministro del Lavoro, sui social network replica quello di Salvini e Morisi. Soprattutto durante le vacanze natalizie è stato un fiorire di cuoricini, bacioni, piste da sci, bambini, piatti tipici.

Morisi è più bravo di Casaleggio e di Casalino. Almeno lo è stato fino ad ora, visto che anche i dati di “coinvolgimento” dei profili del capo della Lega non stanno andando benissimo. Questo è uno dei motivi, peraltro, per cui anche l’azione politica è a rimorchio dei leghisti: sanno imporre l’agenda, sia che si tratti di scemate sia di temi sensibili. Chiusa la manovra, infatti, si è tornati subito a parlare d’immigrazione.

La seconda è sulla cosiddetta “Bestia”, il sistema che Luca Morisi e il suo staff utilizzerebbero per gestire la comunicazione del “Capitano” Salvini. La riflessione è la seguente: la Bestia non esiste, siete voi.

La Bestia è stata descritta mesi fa da Rolling Stone come un sofisticato strumento informatico che permetterebbe il monitoraggio in tempo reale dei profili e del “sentiment” della Rete. Venne descritto un sistema simile, anni fa, in relazione alla comunicazione del Movimento.

La verità è probabilmente più semplice: l’agenzia di Morisi non fa che utilizzare le decine di strumenti di analisi e automazione disponibili a tutti, gratis o quasi. Non c’è nessun sofisticatissimo strumento, solo intuizioni e implementazioni efficaci.

La Bestia siete voi perché la comunicazione online di queste persone si basa sulla ripetizione del messaggio da parte degli utenti, che così lo propagano. Mandare a quel paese Salvini su Twitter e Facebook ha il solo effetto di moltiplicare le persone (quelle a voi connesse) che vedranno quel messaggio. Siete voi, che commentate, riportate, v’indignate (giustamente) per i post fuori contesto di Salvini, la sua manovalanza.

In questo modo si ha il doppio effetto di parlare molto della merenda del ministro e poco del fatto che al ministero ci passa mezza giornata ogni tanto facendo danni.

Così, perché lo sappiate.