La democrazia diretta è un pacco

Sta succedendo qualcosa che Di Maio e compagni si aspettavano, ma probabilmente non così in fretta e non così violentemente: cominciano ad avere difficoltà a presentarsi sui territori cui hanno promesso di cambiare tutto, senza poi cambiare niente.

Ormai è uno schema: a Taranto, avevano promesso di riconvertire l’ILVA e invece hanno confermato sostanzialmente gli accordi dei precedenti esecutivi; in Salento il governo Conte ha stabilito che non ha intenzione di fermare il gasdotto TAP per evitare la certezza di sanzioni e, ieri, i comitati hanno bruciato – gesto inquietante e irricevibile – una bandiera del Movimento 5 Stelle; a Roma l’esasperazione ha portato in piazza del Campidoglio migliaia di persone, senza bandiere di partito.

Proprio a Roma il Movimento ha cominciato a perdere la testa: il sindaco Raggi ha risposto alle proteste con un post molto arrogante sostenendo che fosse una manifestazione del Partito Democratico mascherata.

A seguire, il presidente del Consiglio Conte ha dichiarato, con riferimento al TAP, che “chi nega il rischio di sanzioni non sa le cose“.

Oggi, Luigi Di Maio arriva a minacciare i compagni, o meglio i sottoposti, di partito per i “cedimenti” nella fede che inizia a vedere.

Presto si dovrà prendere una decisione anche sul TAV in Val di Susa da dove già settimane fa erano arrivati segnali d’insofferenza.

Da questi episodi, a cui se ne aggiungeranno certamente decine di altri, possiamo capire un fatto che mina la stessa ragione sociale del Movimento: la disintermediazione. La retorica della democrazia diretta e partecipata grazie alla quale il M5s ha raccolto il 32% dei voti alle scorse elezioni promuove il rifiuto dell’analisi di situazioni complesse: si richiede il voto promettendo di eseguire ordini, non di prendere decisioni.

La differenza è fondamentale. Dimostrare di essere in grado di trovare il miglior compromesso per governare problemi complicati dominati da centinaia di variabili, e su questa base chiedere il voto, è un lavoro lungo e difficile. Ottenere consenso promettendo la propria sottomissione al volere dell’elettore è più facile, per evidenti motivi. Però, più si allarga il bacino elettorale più la menzogna diventa indispensabile: più elettori prometti di accontentare, meno diventa probabile riuscire a farlo per via delle contraddizioni che, inevitabilmente, sorgono.

A Taranto, non si possono promettere ad un tempo posti di lavoro e chiusura dell’ILVA, per dirne una.

Il Movimento 5 Stelle ha sempre raccolto consensi promettendo di accontentare comitati locali e urlatori assortiti invece di porsi come interlocutore credibile per trovare un compromesso accettabile, ma se guardiamo la storia degli ultimi dieci anni di “battaglie” del Blog di Grillo e del M5s questa strategia non ha portato a nulla. Niente stop alla base militare di Aviano. Niente stop al MUOS in Sicilia. Niente stop al quartiere Milano City Life. Niente stop al passante di Mestre. Niente risanamento del Comune di Roma. Niente. Niente. Niente.

L’unica cosa che, dopo dieci anni, è possibile affermare con certezza sulla base dei risultati concreti è che la democrazia diretta di Casaleggio è un pacco.

Hackerare la democrazia

 

Il concetto che ha dato il titolo a questo articolo non è mio (non voglio dirvi subito di chi è per creare un po’ di hype, lo saprete fra qualche mese), ma spiega benissimo il tema che le nostre democrazie devono affrontare, e alla svelta.

Davide Casaleggio è presidente di Casaleggio Associati, l’azienda di famiglia che si occupa di tecnologia, comunicazione, strategie aziendali, ma anche presidente dell’Associazione Rousseau, alla quale il primo partito di governo ha delegato la propria amministrazione.

È anche presidente di una (piccola?) associazione culturale fondata nel nome di suo padre Gianroberto Casaleggio, che organizza cene di finanziamento durante l’anno e un grosso evento con numerose conferenze e numerosi ospiti ogni anno a Ivrea (Sum).

Casaleggio gestisce tutte le attività attraverso queste entità che assolvono a specifiche funzioni, parla ed è riconosciuto leader del Movimento 5 Stelle ma non ha alcun ruolo formale in seno ad esso e, a leggere gli statuti, non esiste procedura per rimuoverlo dal proprio ruolo.

Questa condizione gli permette di amministrare attività, relazioni, potere, influenza in totale autonomia.

La struttura che hanno costruito Gianroberto e Davide Casaleggio, attraverso la quale acquisire potere, consenso, dati e relazioni, è un pericolo per i nostri sistemi istituzionali? Siamo preparati a gestire un nuovo modello organizzativo in cui è formalmente legale l’accentramento dell’amministrazione del partito, del consenso, delle relazioni, dei processi democratici, ma il titolare di questi poteri non è sottoposto ad alcun controllo democratico?

L’eredità avvelenata di Gianroberto Casaleggio

 

Non so come finirà la pantomima del decreto fiscale e della finanziaria ma riconosco lo schema e le paranoie che stanno guidando le scelte politiche e comunicative di Luigi Di Maio.

Sono le stesse incapacità e paranoie che aveva Gianroberto Casaleggio infuse fin dal principio nella sua creatura politica, nella sua macchina comunicativa.

La paranoia degli infiltrati, la cultura del sospetto, il timore del sabotaggio; e la totale incapacità di trattare, mediare, confrontare le posizioni per giungere a un compromesso.

Casaleggio, afflitto da un ciclopico complesso d’inferiorità, pur essendo colto e intelligente, non ammetteva, non concepiva che qualcuno potesse giungere a conclusioni diverse dalla sua avendo a disposizione gli stessi elementi da valutare. Rifiutava la possibilità di ammettere un errore. Quando colto in fallo, quando minacciato da eventi non previsti, la sua reazione era spesso scomposta: espulsioni, divieti, i famigerati “Ps.” in fondo ai post del blog di Beppe Grillo.

Con lui non si poteva trattare, non era in grado di trattare, non voleva cercare compromessi.

Questo clima lugubre di terrore ha sempre aleggiato nei gruppi parlamentari del Movimento e, ora, domina gli animi di ministri e sottosegretari con l’ansia da prestazione governativa.

Incapace di trovare soluzioni, Casaleggio si rifugiava nella comunicazione: era irrilevante la conseguenza di una decisione, l’obiettivo era comunicare il messaggio.

Questo è la chiave per decifrare quel che sta succedendo in questi giorni, soprattutto in vista di “Italia 5 Stelle”, l’incontro nazionale in programma a Roma il prossimo weekend: i nodi si scioglieranno nel modo migliore possibile funzionale alla comunicazione all’elettorato che i parlamentari incontreranno fra pochi giorni.

Casaleggio: dopo la semina, il raccolto

Un fatto è sempre più chiaro, dettaglio dopo dettaglio, notizia dopo notizia: Davide Casaleggio sta capitalizzando l’ingente investimento che fece suo padre Gianroberto per costruire il Movimento 5 Stelle e il potere che ha lasciato in dote al figlio.

Padre e figlio hanno caratteri diversi, diversi approcci e diversi obiettivi. Diverse agende. Ma vivono anche in due momenti storici differenti.

Gianroberto voleva sedersi al tavolo e, per farlo, si è fatto strada a spallate digitali e insulti usando Grillo come ariete. Ha perseguito il suo obiettivo coi suoi metodi, come un mulo, senza deviazioni, senza cedimenti nelle sue convinzioni. Con reazioni il più delle volte sproporzionate rispetto ai problemi che gli si ponevano davanti. Casaleggio ha investito una montagna di denaro sottraendolo ai profitti della sua azienda pur di sedersi al tavolo.

Davide si è trovato a un passo da quel tavolo e poi ci si è seduto davvero. Quando Gianroberto è morto, il Movimento si avvicinava alle elezioni del 2018 col vento in poppa: per il salto di qualità servivano pragmatismo, strategia e il consolidamento delle relazioni coltivate nel corso degli anni.

Il modo con cui è stato ristrutturato il potere della struttura di Casaleggio, come sono state consolidate le relazioni interne ed esterne, come sono stati messi in sicurezza i ruoli, rispondono a quell’esigenza e al carattere di Davide.

È vero: nei dieci-dodici anni in cui al timone c’era Gianroberto, i Casaleggio non si sono arricchiti con la politica: hanno investito. Ora quell’investimento viene messo a frutto.

Era necessario ufficializzare le responsabilità, formalizzare la suddivisione delle attività commerciali da quelle politiche e normalizzare i rapporti con la stampa. L’intervista ai soci di Casaleggio Associati sull’ultimo numero di Panorama, ad esempio, rientra perfettamente in questo schema.

Dopo la semina, il raccolto.

Il metodo Casaleggio, il potere ai tempi di Casaleggio, è una storia che va studiata e approfondita, perché è un racconto ancora in divenire.

Dobbiamo parlare di Laura Castelli

Tutte le stranezze del sottosegretario che fu nostra fonte


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Ci eravamo lasciati, quando si stava costituendo il governo Conte, con la rivelazione della notizia che l’On. Laura Castelli è stata nostra fonte per diversi anni, mentre stavamo scrivendo Supernova. Il libro racconta la nascita e lo sbarco in parlamento del Movimento 5 Stelle per come l’abbiamo vissuto io e Nicola Biondo, che abbiamo collaborato con Gianroberto Casaleggio tra il 2007 e il 2014. Gli anni successivi, fino al 2016, ci sono stati raccontati appunto da Laura Castelli. Le calunnie di Casalino nei confronti dei parlamentari con i giornalisti, la scalata di Luigi Di Maio e Davide Casaleggio.

Ebbene, quando abbiamo rivelato questi contatti ci aspettavamo provvedimenti da parte del Movimento, dato che un suo esponente aveva palesemente violato le regole scritte e non scritte e di lealtà nei confronti dei compagni di partito. Invece nulla: Castelli non è diventata ministro, ma ha ottenuto il sottosegretariato al ministero delle finanze.

Ci siamo chiesti come sia possibile, cosa sappia e su chi per non aver subìto conseguenze. Non abbiamo una risposta definitiva, ma ecco quanto abbiamo ricostruito.

Castelli ci rivela che al vertice del gruppo parlamentare arrivavano da Milano dei DHL con “le richieste dei Garanti”. Da Milano, quindi da Casaleggio. Le richieste riguardavano il “cambio delle regole” su:

  • rotazione capigruppo
  • utilizzo soldi (dei gruppi parlamentari nda)
  • allentamento dei 2 mandati

È seguendo questa rivelazione che emergono particolari inquietanti.

Supernova è ora in libreria e su Amazon

Il Movimento dal 2013 al 2016 fa ruotare le cariche all’interno dei gruppi parlamentari. Al gruppo della Camera questa pratica cessa quando Laura Castelli diventa tesoriere. Tra i malumori dei colleghi, rimane in quella carica anche l’anno successivo.

Il bilancio del 2016 va per la prima volta in passivo: le spese superano le entrate. Poco male, i soldi in cassa ci sono ed è l’anno del referendum costituzionale. Aumentano a dismisura, però, le spese per i servizi in salita del 375%. Da notare che, a differenza del gruppo al Senato, alla Camera non viene pubblicato il dettaglio delle spese inferiori ai 10.000 euro. Non si sa come mai.

Possiamo ricostruire un aumento del 22% per la spesa di comunicazione in carico alla società Web Side Story, che dal 2013 affianca il gruppo. Viene espressamente indicato nella nota che accompagna il rendiconto. Ricordiamoci di questo dettaglio, tornerà utile più avanti.

Nel 2017, altre stranezze.

Come abbiamo detto Castelli non lascia il suo ruolo di tesoriere, che conserverà fino alla liquidazione del gruppo a fine legislatura. Non solo: il bilancio, ancora oggi, non è pubblicato sul sito tirendiconto.it. Lo conosciamo perché qualcuno l’ha passato all’AdnKronos, che l’ha pubblicato.

Ebbene, nel bilancio 2017 aumentano ulteriormente le spese per la comunicazione, del 38%, circa 90.000 euro. Però, a differenza di tutti i documenti precedenti, sparisce la Web Side Story: si parla più genericamente di società di comunicazione esterne. Sparisce anche il dettaglio delle spese, che fino ad allora riportava almeno quelle superiori ai 10.000 euro.


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Certamente è un caso, ma curiosamente questi aumenti di costi per la comunicazione coincidono temporalmente con la costituzione dell’Associazione Rousseau di Davide Casaleggio e con il ritorno all’utile di Casaleggio Associati. Dico curiosamente perché è singolare proprio il rapporto tra il Movimento 5 Stelle e l’Associazione Rousseau: grazie allo Statuto scritto da Luca Lanzalone, Rousseau è il fornitore dei servizi di comunicazione e democrazia diretta, ma non è previsto nessun contratto per queste attività, solo un contributo volontario da parte dei parlamentari. Da segnalare che a bilancio Rousseau espone alcune decine di migliaia di euro di “crediti diversi”.

Per meglio capire i flussi di denaro e per escludere, come immagino sia interesse di tutti i soggetti coinvolti, rapporti economici tra il Movimento e le realtà legate a Casaleggio, sarebbe opportuno che il partito pubblicasse i dati mancanti: i flussi di cassa inferiori ai 10.000 euro, soprattutto quelli relativi al bilancio 2017 che mancano completamente.


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Gli errori de L’Espresso

Esagerare non aiuta, esattamente come minimizzare. Ecco perché l’Espresso sbaglia.


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Il 3 settembre scorso Emiliano Fittipaldi ha pubblicato un lungo articolo sulla propaganda di Lega e Movimento 5 Stelle.

Scrivo questo mio per sottolineare alcuni errori e alcune mancanze, consapevole che possa sembrare strano da parte mia. Non voglio che questo sia letto come un “attacco” a l’Espresso o a Fittipaldi. Eppure, è pericoloso tanto sottovalutare quanto sopravvalutare le risorse e le capacità degli uffici stampa dei partiti di governo: restare fuori fuoco significa non riuscire a individuare le giuste contromisure, a mio avviso.

Ecco dunque i passaggi non convincenti.

Quelli che contano davvero si contano su una mano, ma gli addetti e i collaboratori esterni sono centinaia e lavorano 24 ore su 24 senza concedersi pause.

Il numero di “centinaia” di persone è inverosimile. Se anche ipotizzassimo il minimo deducibile, ossia due centinaia di persone, e se queste venissero pagate 1200 euro netti al mese sarebbe una spesa di oltre sei milioni di euro all’anno. Non risultano dai bilanci dei due partiti (la Lega peraltro, com’è noto, ha 49 milioni di problemi da risolvere) né da quelli dell’associazione Rousseau. Tanto più che nel resto del pezzo si fa sempre riferimento a “poche decine di persone”.

Se Fittipaldi ha qualche dettaglio in più, sarebbe opportuno che lo rendesse noto.


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…piattaforme conquistate con software sofisticati che moltiplicano i messaggi promozionali e monitorano minuto per minuto il “sentiment” degli utenti…

Questo messaggio sta passando nel sentire comune: si pensa che gli uffici comunicazione abbiano nel tempo sviluppato tecnologie sofisticate che gli permettono chissà quali analisi dei dati. Più verosimilmente, stanno utilizzando meglio di altri gli strumenti a disposizione di tutti: chiunque può accedere agli strumenti di analisi di Google, Facebook, Twitter e sviluppare qualche servizio che integri i flussi di dati non è nulla di tecnicamente “sofisticato”. Non credo si faccia un buon servizio al pubblico dipingendoli come “invincibili”. Anche perché la situazione è perfino peggiore: ha ragione Morisi quando dice che le condivisioni e l’engagement sono, almeno adesso, organiche, cioè ad opera di utenti per lo più reali.

Non è da escludere l’uso di botnet su Twitter in alcuni momenti (lo stesso Morisi, un giorno, s’è lasciato scappare che non sono più necessarie, lapsus che forse conferma il loro utilizzo in passato), o la creazione account fasulli per “animare” la conversazione, ma per affermarlo va provato.

…la Casaleggio Associati ha abbandonato “l’uno vale uno” e investe ogni sforzo strategico su pochissimi soggetti politici

Questo è un peccato veniale, ma è sempre opportuno ricordare che Casaleggio Associati non si occupa più formalmente del Movimento. Hanno opportunamente schermato le attività dietro l’Associazione Rousseau, che condivide con l’azienda parte del personale (Davide Casaleggio, Pietro Dettori che è passato da una all’altra) e la sede. La scatola cinese che hanno creato per appropriarsi dei milioni di euro che gli versano i parlamentari è, a mio avviso, più interessante che la retorica di epoca berlusconiana del partito-azienda. Di nuovo: è peggio di così: è un inganno ingegnerizzato, che vale la pena di raccontare.

Morisi “forza” l’algoritmo di Facebook per far apparire la faccia e le ruspe di Salvini anche sulle pagine di persone che mai avrebbero visitato la sua

“Forzare l’algoritmo” è una frase affascinante, ma tecnicamente priva di senso. Non si tratta di forzare nulla, ma di intuirne il funzionamento seguendo linee guida che, peraltro, è la stessa Facebook (meno Google, ma è noto quando ci sono aggiornamenti e si può intuire come cambieranno i risultati delle ricerche) a suggerire strategie per massimizzare visualizzazioni ed engagement. Non sono supergeni, non dipingeteli come tali: sono solo cialtroni ben organizzati.

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Ma in realtà è Pietro l’artefice principale del successo mediatico del M5S: ha curato per anni il blog di Grillo, ha realizzato i siti moltiplicatori di notizie (e di bufale) come “La Fucina” e “Tze-Tze”

Si riferisce a Pietro Dettori. Qui è proprio sbagliato cronologicamente, almeno per quanto riguarda Tze-Tze, a cui Casaleggio ha iniziato a lavorare nel 2009 (ne sono testimone). La Fucina, invece, inizialmente è stata usata come raccoglitore di notizie sensazionalistiche dopo l’interruzione del rapporto di Casaleggio Associati col gruppo GEMS, per il quale curava il sito “Cadoinpiedi”. Pietro, probabilmente, ha gestito i due siti per un periodo, ma non li ha certo ideati.

Dettori ha costruito quasi da solo il nuovo hub del partito sui social, lavorando sugli algoritmi per diffondere il verbo attraverso decine di siti ufficiali e ufficiosi

Questa potrebbe essere una notizia: se Fittipaldi è a conoscenza di alcuni siti ufficiosi gestiti da Dettori sarebbe utilissimo sapere quali sono e come si può provare che facciano capo a Dettori. È di nuovo un’accusa grave che va dimostrata.

“Qualcuno racconta persino che sia stato proprio Dettori — dopo il gran rifiuto di Sergio Mattarella a nominare il no euro Paolo Savona come ministro dell’Economia — a suggerire ai vertici l’ipotesi da fine mondo, quella dell’avvio dell’iter di impeachment del presidente della Repubblica.”

Non “qualcuno”: io e Nicola Biondo da Supernova, grazie a fonti che ce l’hanno raccontato.


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Casaleggio Associati promette contatti e relazioni a chi la sponsorizza

Tocca tornare sul conflitto di Interessi di Davide Casaleggio, alla luce delle notizie emerse in questi giorni, visto che la sua azienda, Casaleggio Associati, promette condivisione di contatti e relazioni per chi gentilmente sponsorizza le sue indagini di mercato.

Riassunto: la scorsa settimana Casaleggio era a cena, tra gli altri, con Luca Lanzanone, arrestato il giorno seguente ai domiciliari nell’ambito dell’inchiesta sullo Stadio della Roma, #unaretatafattabene insomma.

Lanzalone è un avvocato di fiducia in ambienti 5 Stelle ed è, tra l’altro, colui che avrebbe scritto materialmente il nuovo statuto del MoVimento 5 Stelle, che assegna all’Associazione privata Rousseau — presidente sempre il nostro Casaleggio — la gestione della comunicazione (Blog delle Stelle) e della democrazia (piattaforma Rousseau) del Movimento. Per svolgere questi compiti, il regolamento M5s prevede che parlamentari e consiglieri regionali versino 300 euro al mese ciascuno, tra i 5 e i 9 milioni di euro nell’arco di una legislatura.

Casaleggio ieri, nel rispondere imbarazzato alla domanda di un giornalista, ha fatto intendere che i due si fossero trovati in quel ristorante quasi per caso. Purtroppo il Fatto Quotidiano e Repubblica, tra gli altri, hanno documentato come quella fosse in effetti una cena di finanziamento organizzata da un’altra entità della galassia Casaleggio: l’Associazione Gianroberto Casaleggio, i cui soci sono ignoti ma il presidente si conosce: sempre Davide. Alla cena, non la prima invero, erano presenti imprenditori, collaboratori del Movimento, parlamentari. Almeno un socio di Casaleggio Associati, a guardare il suo account Instagram, si trovava a Roma quel giorno quindi è presumibile che fosse anche lui presente.

Un bel groviglio di interessi mediatici, politici, imprenditoriali attavolato a due passi dal Senato della Repubblica per parlare di lavoro, sviluppo economico, welfare. Mancava solo il ministro competente.

Come abbiamo raccontato in Supernova, i Casaleggio non sono nuovi all’utilizzo delle proprie relazioni a vantaggio ora della propria azienda, ora del Movimento o di qualche cliente.

Sarebbe opportuno che saltasse fuori la lista degli invitati, per un motivo preciso. Tra le varie attività di Casaleggio Associati c’è l’ormai noto rapporto annuale sull’e-commerce, presentato quest’anno a Milano e a Roma. Ebbene, visitando la pagina web dell’evento, si scopre che agli sponsor del rapporto di quest’anno viene offerta — come benefit, carte vincenti” — il networking e i contatti che l’azienda può fornire, senza ben specificare quali. Per caso tra gli invitati a quella cena c’era qualcuno dei finanziatori dei convegni di quest’anno, che sarebbe potuto così entrare in contatto e in relazione anche con i politici che hanno rapporti con Casaleggio?

Due parole su Davide Casaleggio

Di meschini, sciacalli e bugiardi

Foto: Huffingtonpost.it

Ieri, l’Ereditiere Davide Casaleggio ha confermato di aver cacciato di proposito Jacopo Iacoboni dalla convention di Ivrea, dandogli del meschino e ricordando l’ultimo comunicato stampa di suo padre, Gianroberto Casaleggio, che lo chiamava sciacallo e smentiva le ricostruzioni del giornalista. Tenete a mente questo dettaglio, ci torniamo fra un attimo.

Vi racconto intanto un episodio su Davide che mi riguarda.

Siamo nel 2009 e io sono un dipendente di Casaleggio Associati. Ad aprile, un mio parente stretto — già malato — si aggrava. La situazione era tale per cui chiesi a un collega di poterlo sostituire in un viaggio aziendale a Roma, dove vive quel ramo della mia famiglia, per poterlo salutare, cosa che grazie a quel collega potei fare.

Informai, inoltre, tutti i miei capi che entro poco tempo avrei potuto avere bisogno di qualche giorno di ferie, facendo intendere l’imminente possibile funerale. Per qualche motivo che ignoro, la cosa irritò Davide. Il mio caro mancò a metà maggio.

Quel fine settimana chiesi tre giorni di ferie, sempre informando tutti i soci via mail e Davide di persona la domenica, visto che entrambi ci trovavamo a Torino alla fiera del Libro.

Spensi quindi il telefono e andai di nuovo a Roma.

Per scrupolo, la mattina del funerale controllai la posta. In replica alla mia richiesta formale di ferie, mi viene chiesto di tornare a Milano la mattina seguente entro le 10 per improrogabili impegni. Rispondo che l’unico modo sarebbe stato, per motivi organizzativi, lasciare la cerimonia funebre. Cosa che feci.

Davide mi rispose quindi privatamente ammettendo che il problema non era lavorativo, ma che non avevo risposto a una sua telefonata che mi fece mentre mi trovavo nella camera mortuaria. Del resto, quale momento più opportuno per telefonare a un proprio dipendente, se non quando sai che sta piangendo un parente defunto.

Tornato al lavoro, infatti, non ebbi consegne al di fuori della routine per 10 giorni. Non c’era nessuna urgenza.

Questo è il modo in cui capitava venissero trattati i dipendenti di Davide, che lo sappiano coloro che pensano di fare accordi con queste persone. Se non sbaglio c’è una parola precisa per definire questo genere di atteggiamento da parte delle aziende nei confronti dei loro dipendenti.

Ma non è tutto.

Tornato in ufficio Davide insinuò che non avessi mai avuto alcun parente malato o morto. A quel punto mi recai nello studio di Gianroberto — col quale avevo un ottimo rapporto e che era il presidente dell’azienda— e gli raccontai tutta la vicenda dall’inizio alla fine, pretendendo le scuse di suo figlio, che era anche suo socio.

Mi disse: “Ti chiedo io scusa per lui e per conto dell’azienda. Davide fatica a nascondere la gelosia nei confronti delle persone con cui vado d’accordo. Ti assicuro che gli farò pesare tutto il mio disagio per quanto accaduto e, di nuovo, ti chiedo scusa”.

Mi è tornato in mente questo episodio proprio a causa della citazione di quel suo ultimo comunicato. Gianroberto smentiva con forza, dandogli addirittura dello sciacallo, la ricostruzione di Iacoboni secondo cui Davide avrebbe assunto il controllo delle attività relative al Movimento di lì a breve.

È da notare che non si trova una sola dichiarazione di Gianroberto Casaleggio sul figlio. Nessuno, o quasi, sapeva in quel momento chi fosse. La notizia era quindi clamorosa, se confermata, come poi si è incaricata di fare la Storia.

Tutti coloro che andavano d’accordo con Gianroberto, in un modo o nell’altro sono stati allontanati. Io me ne andai a un anno da quell’episodio (continuando però a lavorare con Gianroberto, sentendolo settimanalmente). Così fece il mio collega David. Lo stesso è capitato a Matteo Ponzano, Nicola Biondo e Filippo Pittarello.

Eppure, mai Gianroberto aveva parlato di suo figlio in relazione al M5S. Mai aveva fatto sapere di voler fondare l’associazione Rousseau, costituita mentre Roberto è sul letto di morte a poche ore dal suo trapasso, consentendo a Davide, aiutato dai suoi avvocati, di diventarne il dominus.

Lui, un figlio di cui Gianroberto era costretto a scusarsi coi propri dipendenti, che raramente il padre presentava ai suoi uomini di fiducia, che quasi nessuno, prima di quel momento, conosceva tra i parlamentari M5S. L’unico riferimento pubblico a questo suo figlio è quel comunicato di smentita di Iacoboni. L’ultima cosa che Gianroberto ha voluto fare nella sua vita, dalla clinica in cui si era fatto registrare come Gianni Isolato, è negare con forza di voler lasciare la sua creatura politica, frutto del lavoro di vent’anni, a suo figlio, che invece riuscirà a ereditarla con un atto notarile per soli trecento euro.

Proprio il comportamento coerente che ci si aspetta da una persona lucida nelle sue ultime ore di vita. Quello che tutti noi penseremmo di fare se fossimo consapevoli di aver poco tempo prima del commiato da questa Terra: un atto notarile e un comunicato stampa per negarlo.

Se fossi Iacoboni, andrei fiero di essere chiamato meschino da un soggetto come Davide Casaleggio.

L’inizio della fine

Supernova , il libro-verità che ho scritto insieme a Nicola Biondo sulla nostra esperienza ai vertici del MoVimento 5 Stelle, si conclude con una facile profezia: questa è una storia che va a finire male.

È notizia dell’11 gennaio 2018 — anche se nell’ambiente si sapeva da settimane — che Grillo ha deciso di riprendersi il suo dominio, il suo Blog beppegrillo.it, e darlo in gestione a qualcuno esterno e lontano dalla Casaleggio Associati.

Che Grillo e Casaleggio (Gianroberto) fossero ai ferri corti lo raccontammo a settembre 2016 svelando al pubblico il capitolo “L’ultima telefonata”. Fu un terremoto: fummo ricoperti di insulti e ingiurie da esponenti del MoVimento, amici, giornalisti, ex colleghi. Ma mai una smentita.

Scrivere queste righe, com’è stato scrivere Supernova, è un po’ come fare i conti con me stesso, che ho delle responsabilità — quota parte — per come sono andate, o non sono andate, le cose nel MoVimento. Ma voglio pensare che Beppe, con cui ho condiviso alcune delle esperienze più memorabili della mia vita, pur non facendosi mai più sentire abbia letto i miei interventi pubblici a partire da quello di aprile 2016 sulla Stampa.

In quell’intervista a Jacopo Iacoboni (di cui esce in questi giorni il suo libro sul M5S, “L’Esperimento”), rilasciata all’indomani della morte di Gianroberto Casaleggio, dissi che il MoVimento delle origini era fallito e che stava per essere scalato. L’intervista si concludeva con queste parole:

«Beppe avrà un ruolo decisivo i prossimi mesi. So che di recente si chiede anche lui se la nostra gente volesse tutto questo. È molto dubbioso lui per primo sul M5S di oggi. Gli manderei un consiglio: pensa bene di chi fidarti, guarda il blog adesso, pieno di pubblicità, ricordati di quando mi chiedevi di convincere Roberto a togliere tutti i bottoni “compra” che non ti piacevano. Quello non è piu il Blog, è un asset aziendale. E nessuno voleva un Movimento così».

Scelse, in quel momento, di fidarsi di Davide Casaleggio, il figlio dell’amico scomparso diventato capo della sua azienda e, di conseguenza, deus ex machina del MoVimento. Lo fece, credo, anche perché non aveva altra scelta in quel momento di smarrimento.

Tuttavia, le cose da subito presero una brutta piega. Davide, con la sua fredda lucidità, inziò il golpe il giorno stesso la morte del padre, durante l’orazione funebre che divenne un messaggio ai politici presenti: “Io solo posso interpretare il volere di mio padre”.

Mentre iniziava a scatenarsi La Rivolta, Davide fondava l’associazione Rousseau e vi trasferiva le attività del blog e del MoVimento di cui prima si occupava la Casaleggio Associati, insieme a un suo dipendente, Pietro Dettori, facendo rifiatare i conti in rosso della s.r.l.

Grillo gli diede di fatto un solo compito: fare ordine nella confusione di ruoli della s.r.l., del Blog, del MoVimento, delle varie associazioni collegate, del personale, delle cause giudiziarie. Lo fece nonostante uno dei funzionari del MoVimento, quello a lui certamente più vicino, era consapevole delle limitate capacità di Davide e dei suoi soci e certamente glielo fece presente.

Ora il tempo è scaduto: gli evidenti limiti di Davide nella capacità di gestione e risoluzione dei problemi sono esplosi con il provvedimento del Garante della privacy che ha gridato forte e chiaro “il re è nudo!”. Davide non ha risolto nessuno dei problemi di Grillo e del MoVimento, ma solo alcuni di quelli della sua azienda. I soggetti giuridici che ruotano intorno al MoVimento sono aumentati, le cause di ex attivisti espulsi si sono moltiplicate, delle regole e dello spirito iniziale del MoVimento non c’è più traccia. E c’è la spada di Damocle di multe salatissime, probabilmente in capo anche a Grillo, titolare del trattamento dei dati personali degli iscritti che Davide Casaleggio e l’Associazione Rousseau non sono stati capaci di tutelare.

Le intrusioni informatiche di quest’estate prima e il provvedimento del Garante poi, hanno definitivamente messo in luce l’inadeguatezza di Davide nel portare a termine i compiti che gli aveva assegnato Beppe, soprattutto se confrontati con la maestria con cui Casaleggio Associati ha tratto profitto fino all’ultimo giorno dalle pubblicità presenti sul Blog — “un prodotto con scopo di lucro” come ha dichiarato recentemente Casaleggio, così come l’Associazione Rousseau ha raccolto centinaia di migliaia di euro di donazioni grazie alla popolarità del marchio beppegrillo.it e si appresta a raccogliere i contributi dei futuri parlamentari M5S.

Avevamo ragione io e Nicola: Grillo era veramente incazzato e l’ha dimostrato a modo suo nel corso degli ultimi mesi. Non facendosi vedere, presenziando solo quando poteva, pubblicamente, scaricarsi delle responsabilità come nominare capo politico Di Maio, insufflando nelle orecchie dei parlamentari vicini, come Roberto Fico, parole che, però, non hanno sortito gli effetti di un tempo sulla truppa, ridotta ormai a un manipolo di disertori. Il golpe e la scalata sono riusciti. Di Maio si è preso il MoVimento, lo ha reso un partito stringendo un accordo di ferro con Davide, che ora segue come un’ombra lui e non più Beppe.

Il vecchio capo se ne va. Come sempre negando di farlo, come nel racconto di Dino Buzzati “I sette piani”. Un passo dopo l’altro, negando che la situazione peggiori di piano in piano. Ormai non può nemmeno più esprimersi usando il suo stesso blog: deve scrivere ai tanto odiati giornali per parlare. Grillo scrive al Fatto. Casaleggio al Corriere.

Scrive Grillo: “Stanno articolando questa stupidaggine con una sola costante: sono io che abbandono loro, non loro che abbandonano me”. Un pizzino.

Curioso. Questa storia finisce com’era iniziata: il MoVimento doveva essere come la “Lega” di Bossi, ma “buona” — diceva Gianroberto Casaleggio, leghista della primissima ora — non come “quelli là”, che prima gridavano “Roma ladrona” e poi andavano al governo col “vecchio sistema”. Il MoVimento doveva governare da solo, costi quel che costi, altrimenti opposizione a vita.

Proprio come Bossi, fallito il progetto, Beppe viene messo da parte, scavalcato da arrivisti senza scrupoli che per soldi e potere piscierebbero sulla tomba dei propri genitori pronti, ovviamente, a stringere accordi di governo anche con la Lega.

E se ne va.

Non so se il “nuovo Blog” avrà successo, ma spero che le persone di cui si circonderà Beppe siano all’altezza della sua mente vulcanica e della sua curiosità, talenti che è delittuoso sprecare com’è stato fatto negli ultimi anni. Spero che si diverta almeno la metà di quanto ci siamo divertiti in quegli incredibili anni tra il 2006 e il 2010.

Buona fortuna, Beppe. E grazie lo stesso.

L’ultima telefonata

La voce è un grido e il grido è un “Vaffanculo”.

Solo che non c’è una folla acclamante davanti, e non c’è una piazza.

C’è un uomo e quell’uomo è Beppe Grillo. E l’invito ad andare a quel paese è rivolto a lui. Al telefono. Da Gianroberto Casaleggio.

Ironia del destino, si direbbe. La storia dell’amicizia tra il comico e il manager si conclude com’era iniziata quella del MoVimento 5 stelle.

“Vaffanculo! Non ti voglio più sentire”: queste sono le ultime parole che Grillo ascolta dal Samurai, guerriero ormai stanco e giunto alla fine della sua battaglia contro un male che lo sta uccidendo. E infatti pochi giorni dopo Casaleggio morirà in una stanza dell’Istituto auxologico italiano di via Mosè Bianchi a Milano, vicino alla sua casa che si trova in zona Fiera, dove è ricoverato, registrato sotto il nome falso, da lui stesso inventato, di Gianni Isolato.

La morte di Casaleggio, dopo quell’ultima telefonata, senza la possibilità di un ultimo chiarimento, un riavvicinamento, devasta Beppe Grillo. I suoi amici, le persone a lui più vicine — poche, in realtà, davvero poche, quelle del MoVimento — lo descrivono come un uomo distrutto e smarrito.

Piange, Beppe Grillo. L’uomo che ha fatto ridere l’Italia, poi l’ha fatta arrabbiare, l’inventore del più grande esperimento di partecipazione dal basso mai fatto in Europa, adesso, piange.

Piange per l’amico Gianroberto. Piange per le parole che non si sono detti, o per quelle di troppo. “Negli ultimi tempi Gianroberto si era come incattivito. A volte stentavo a riconoscerlo. Mi spiace sia finita così…” commenta con i suoi.

Ma piange soprattutto, perché sa: senza il Samurai adesso diventa tutto più difficile. Grillo è davvero solo.

Quell’ultima telefonata è uno dei passaggi più rilevanti e drammatici della storia del MoVimento: testimonia quello che il MoVimento già non è più, spiega cosa sta diventando, descrive il rimpianto di Beppe per quello che sarebbe dovuto essere.

È il paradigma di un nuovo assestamento strutturale che la “dirigenza” del MoVimento, nel silenzio totale degli iscritti che poco o nulla sanno, sta perseguendo, e di cui Grillo da tempo si lamenta, ricordando con nostalgia i primi anni del Blog, i primi successi politici, piccoli ma autentici.

La partita è in corso. Ed è la vera partita, la madre di tutte le battaglie, all’interno del MoVimento 5 stelle. Altro che Virginia Raggi, i problemi a Roma o in altre parti d’Italia, le inchieste, le gaffe di Di Maio…

La posta, è enorme. Chi ha le mani sul MoVimento può controllare gli iscritti al Blog, che compongono un database sterminato, determinante per una piccola azienda di marketing digitale, e allo stesso tempo indispensabile per chi voglia guidare il MoVimento.

Sui rapporti stretti, a volte simbiotici, tra i due fondatori si è scritto molto, ma pochi, pochissimi, sanno che negli ultimi mesi di vita Casaleggio non ha informato Grillo di alcuni passaggi fondamentali: la nascita del Blog delle stelle, per esempio, e quella del portale Rousseau. Da Genova la cosa è stata presa male, perché in questo modo non è più il Blog di Beppe Grillo al centro delle attenzioni; il motore propulsore del MoVimento, la sua comunicazione, non passano più da quel portale, ma migrano altrove. Il Samurai Casaleggio sceglie di esternalizzare una serie di servizi, guardando oltre il vecchio sodale, tutelando da una parte la sua azienda, dall’altra accontentando le richieste dei parlamentari che vogliono a tutti i costi un loro spazio che non sia all’ombra del Blog di Grillo.

E questo ovviamente al comico genovese non va giù.

Perché da tempo lui stesso si trova a disagio.

Gli “girano le scatole” — come lui stesso dice — per quello che si va delineando nella marcia verso il potere della sua creatura.

Prima di salire sul palco di Imola alla Festa nazionale dei 5 stelle, nell’Ottobre del 2015, confessa ad alcuni parlamentari: “Non credo sia questo che la nostra gente vuole, io non mi riconosco in questa roba…”

Si cala lo stesso la maschera delle serate migliori ma con il microfono in mano assesta delle bordate spaventose sui MeetUp sempre in guerra e sui parlamentari. Uno in particolare: Luigi Di Maio. “Adesso è una macchina da guerra. Ma quando lo abbiamo preso in provincia di Napoli, parlava come Bassolino…” è la battuta più perfida che dedica al deputato campano. Il Samurai gli fa eco: “Non ci faremo imporre il candidato Presidente del Consiglio dalle tv.”

Solo che Grillo, fuori dal palco, nel MoVimento, conta sempre meno, soprattutto nella sua gestione quotidiana, ormai sempre più accentrata a Roma. E diminuisce progressivamente anche il peso di Casaleggio, che delega, stremato, sempre più la gestione manageriale al figlio Davide.

I fondatori del MoVimento perdono progressivamente tutti i loro riferimenti tra i parlamentari. Rimane soltanto la fedele deputata Carla Ruocco, stimata da Grillo e dal Samurai.

Era stata lei qualche mese prima, nel Gennaio del 2015, ad andare su tutte le furie dopo la Notte dell’onestà a Roma, l’iniziativa dei 5 stelle contro la corruzione e per tenere alta l’attenzione sui fatti emersi dall’inchiesta Mafia Capitale. “D’ora in poi possiamo fare a meno di Beppe” dicono Di Maio e Di Battista, facendo il bilancio dell’iniziativa. E che Beppe non fosse ospite gradito su quel palco era così noto che, all’inizio, in scaletta non compariva nemmeno il suo nome. Lui si prende comunque la scena e, per chiarire i termini della questione, manda a quel paese Renzi, con il quale Di Maio sta in quel periodo flirtando su legge elettorale e altri temi.

“Siete degli ingrati” urla Ruocco inviperita — mentre Fico rimane basito e senza parole — di fronte alle parole dei nuovi leader, parole che le sembrano ingenerose nei confronti del fondatore. A cui ovviamente riferisce l’accaduto.

Poche ore dopo la morte di Casaleggio, è sempre Carla Ruocco a manifestare ad alcuni suoi colleghi tutta la solitudine sua e di Grillo. “Lui è morto, Beppe è isolato e io rimango in mezzo a quei ragazzini cattivi…”. Il riferimento è chiaro.

E in questa storia, di isolato, come abbiamo detto, non c’è solo il nome finto con il quale Casaleggio si registra in clinica. Isolato ormai è Grillo. Lasciando tutto nelle mani di altri, Casaleggio ha di fatto permesso la scalata al MoVimento 5 stelle, consentendo, pur forse non volendo arrivare a questo, che altri lo facessero progressivamente fuori dalla creatura che lui stesso aveva ideato e fondato.

Qualcuno vuole mettere pressione a Grillo perché molli. E così viene fuori che Grillo sarebbe intenzionato a lasciare il simbolo al direttorio.

In molti chiamano il fondatore per avere conferma. Ma Beppe li rassicura: “Non ci penso nemmeno, state tranquilli”.

E così l’ultima spallata a Grillo viene sventata. Ma la resa dei conti è solo rimandata.

Nel frattempo, la cabina di regia del MoVimento vive momenti di grande confusione. Non c’è una guida, non c’è uno statuto. Non si sa neanche quanti siano gli iscritti. Le loro identità sono note solo ai gestori tecnici del Blog e della piattaforma Rousseau.

La domanda è: a chi appartengono gli iscritti del MoVimento? All’associazione MoVimento 5 stelle o all’azienda nei cui server sono contenuti tutti quei dati? E chi li gestirà in futuro quando sarà pronto un nuovo statuto del MoVimento con precisi incarichi?

Da un lato, per la Casaleggio conoscere il comportamento sulla piattaforma e sul Blog degli iscritti ha un enorme valore commerciale. In questo caso, vale la massima molto nota nel settore: quando un servizio online è gratis, significa che il prodotto sei tu.

Dall’altro, sapere come la pensino gli iscritti di un certo territorio, su un determinato tema, o perfino gli stessi parlamentari, è un vantaggio competitivo non indifferente sia verso l’interno che verso l’esterno, per chiunque voglia guidare il partito: Di Maio, se vuole prendere in mano le redini del MoVimento, deve avere accesso a quei dati. Sapere chi, nel gruppo parlamentare, ha votato pro o contro il direttorio, pro o contro l’abolizione del reato di clandestinità, pro o contro le unioni civili, per esempio, farebbe la differenza.