Grillo, Casaleggio, Di Maio e le tre associazioni del M5s

L’avvocato Lorenzo Borrè, che difende molti attivisti del Movimento espulsi dal partito, ha scritto un lungo articolo per spiegare l’assurdità dell’organizzazione del partito di cui si contano ben tre associazioni M5s.

L’abbiamo documentato anche nel nostro libro Il Sistema Casaleggio io e Nicola Biondo: attorno al Movimento c’è un groviglio di soggetti giuridici che serve per confondere elettori e autorità, utile solo a consentire a Casaleggio e Di Maio a tenere le mani su dati e soldi.

Spiega Borrè che ci sono tre associazioni denominate “Movimento 5 Stelle”. Una fondata nel 2009, quella del famoso non-statuto. Una fondata nel 2012 con lo scopo di presentarsi alle politiche del 2013: soci sono Grillo, suo nipote, il suo commercialista. Una, infine, fondata nel 2017 da Davide Casaleggio e Luigi Di Maio.

Vi suggerisco di leggere con attenzione il racconto di Borrè. È molto lungo e complesso, come lo è questa vicenda. In sintesi, Tra il 2009 e il 2018 i vertici del Movimento sfruttano il marchio e gli strumenti di comunicazione a proprio piacimento, in violazione delle norme civili sull’associazionismo. Escludendo candidati, espellendo attivisti, eleggendo consiglieri, deliberando il programma, sfruttando il sito movimento5stelle.it per la propaganda.

Nel tempo, anche grazie all’Avvocato Borrè, la magistratura stabilisce l’illiceità di numerosi di questi comportamenti, che avvengono in violazione soprattutto dei diritti degl’iscritti al primo Movimento, quello fondato nel 2009.

Casaleggio e la gestione dei dati

Aggiungo io: tra il 2016 e il 2017 l’intervento del Garante della Privacy ha stabilito un ulteriore piano di confusione. Davide Casaleggio e Beppe Grillo hanno gestito i dati del Movimento del 2009 come se fossero di proprietà dell’associazione del 2012. Inoltre, nel passaggio all’associazione Rousseau dalla Casaleggio Associati, non vengono avvisati correttamente gli utenti del cambio del titolare del trattamento. Il Garante si rivolge a Casaleggio in qualità di presidente di Casaleggio Associati. Casaleggio replica in qualità di presidente di Rousseau, salvo poi consegnare la documentazione richiesta tramite la casella email certificata proprio di Casaleggio Associati. Un disastro. Infatti Rousseau paga multe prima per 30.000 poi per altri 50.000 euro.

Tra le irregolarità contestate, il Garante rileva il fatto che nessuno ha di fatto l’autorizzazione alla gestione dei dati. A Rousseau viene concessa una mediazione: utilizzare i dati già posseduti per chiedere nuovamente il permesso al trattamento.

Le due associazioni M5s vampirizzate dalla terza

Casaleggio e Di Maio colgono l’occasione, fondano l’associazione Movimento 5 Stelle del 2017. Attraverso il database iscritti del 2009 contattano tutti gli utenti, gli chiedono di aderire al “nuovo” Movimento ed escludono chi non sottoscrive dalla piattaforma Rousseau.

Come spiega Borrè, Casaleggio e Di Maio vampirizzano tutte le realtà precedenti, utilizzando logo e strumenti, lasciando senza possibilità di ottenere giustizia gli espulsi dalle precedenti associazioni. Di Maio diventa capo politico, Casaleggio fa inserire Rousseau nel nuovo statuto per assicurarsi un fiume di denaro dai parlamentari.

Gianroberto Casaleggio e l’ingegneria sociale

Davide Casaleggio, a un evento delle Nazioni Unite organizzato per lui dal governo italiano, ha parlato di digitalizzazione dei processi democratici, campo d’interesse commerciale dell’Associazione Rousseau. Si è dimenticato di parlare dell’ingegneria sociale che gli ha permesso di sperimentare il condizionamento del suo elettorato gli ultimi dodici anni.

Come sempre, si è molto speso a sottolineare i presunti vantaggi, facendo uno spot a spese nostre alle attività di Rousseau, agli eventi da lui organizzati, al modo in cui gestisce il suo partito.

Come sempre, dimentica di parlare dei problemi, questi certi, della partecipazione digitale soprattutto come lui e suo padre la intendevano.

Gianroberto e Davide Casaleggio hanno costruito il Movimento 5 Stelle utilizzando strumenti sempre più – a modo loro – raffinati. Violando le leggi sulla gestione dei dati personali, hanno per anni raccolto e analizzato i dati degli utenti, prima del Blog di Grillo e poi della piattaforma Rousseau.

Manipolare il consenso

Gianroberto Casaleggio, all’inizio degli anni Duemila, aveva studiato il comportamento delle organizzazioni sociali online. Attraverso la rete intranet di WebEgg, l’azienda Telecom che amministrava, ha imparato a manipolare il consenso interno a suo vantaggio, come ci ha raccontato per Supernova il suo ex collaboratore Carlo Baffè. Come? Aveva costituito un piccolo gruppo di persone giovani e che rispondevano solo a lui. Il gruppo si accordava per sperimentare alcune teorie di Casaleggio attraverso il forum interno dell’azienda.

Casaleggio scriveva un post, affermando un concetto. Subito, una persona del gruppo ristretto interveniva per contestare il concetto. Un terzo, sempre del gruppo, replicava contestando il secondo e approvando il primo – Casaleggio. A questo punto, spiega Baffè, nella maggior parte dei casi la discussione si sviluppava coinvolgendo gl’ignari colleghi tendeva verso la conferma del concetto iniziale. Chiamava questo fenomeno “cascata del consenso”. In questo modo, aumentava il consenso attorno a Casaleggio, che migliorava il proprio posizionamento interno e, contemporaneamente, poteva facilmente identificare coloro che tendevano a deviare dalla sua visione.

Allo stesso modo, Casaleggio per anni ha manipolato il consenso attorno al Blog di Beppe Grillo. Applicando lo stesso principio, Casaleggio scriveva il post con il consenso di Grillo, attendeva che arrivasse il primo commento negativo e replicava in modo anonimo con lo pseudonimo “Parsifal”. Cascata del consenso.

Profilare gli utenti per fare ingegneria sociale

Il salto di qualità viene progettato in Casaleggio Associati subito dopo il primo V-Day, nel 2007. Casaleggio ebbe l’idea di associare ad ogni utente che commentava un’icona per ogni evento, iniziativa, battaglia del blog, raccolta firme a cui l’utente-commentatore partecipava. Era possibile perché per ciascuna Casaleggio raccoglieva i dati personali, nome, cognome, email. Ebbe dunque l’intuizione di mettere a sistema i database, incrociando i dati. Gli utenti che partecipavano di più erano quelli con più icone affianco al nome. Profilando così gli utenti, Casaleggio era in grado di riconoscerli velocemente quando commentavano, partecipavano all’iniziativa successiva e così via. Fino alla compilazione delle liste per il Movimento 5 Stelle. Casaleggio arrivò preparato e seppe scegliersi le persone più fedeli nei ruoli chiave, escludendo quelli non allineati.

Lo stesso avvenne, probabilmente ancora succede, grazie alla piattaforma Rousseau. Davide, come ha scoperto il Garante della Privacy, gestendo per intero il processo di registrazione, autenticazione, identificazione, votazione, partecipazione, sa perfettamente chi vota cosa, come interviene sulle proposte di legge, quanto partecipano, quante volte si loggano, quante volte visitano il sito e così via. Una vera e propria profilazione sulla base delle preferenze, delle idee politiche degli utenti della sua piattaforma privata.

Tutto questo viene definito “ingegneria sociale”. Conoscendo i dati, le abitudini, le idee, i comportamenti delle persone se ne possono influenzare le decisioni. Una pratica pericolosa che va contrastata.

Il vincolo di mandato

Una delle balle più clamorose che il Movimento 5 Stelle va ripetendo è che l’introduzione del vincolo di mandato sia sempre stato un loro cavallo di battaglia.

In realtà la genesi di questa – pericolosa – norma è piuttosto singolare. Non ha niente a che fare con una particolare riflessione sulle istituzioni, sull’onorabilità del Parlamento, nemmeno con la democrazia diretta che il Movimento vorrebbe introdurre.

A dire il vero, non ha niente a che fare nemmeno con gli esponenti del Movimento. Non è una riflessione scaturita durante le assemblee, le riunioni, le riflessioni, la vita parlamentare.

A volere il vincolo di mandato fu Gianroberto Casaleggio nel 2013, per gestire un gruppo parlamentare completamente allo sbando, quello formatosi dopo il voto di quell’anno. La prima volta che si parla concretamente di un vincolo è con il regolamento per gli europarlamentari eletti al voto del 2014. Casaleggio voleva un modo per costringere gli eletti a seguire le sue istruzioni. Non era persona da gradire il dialogo, scendeva poco a Roma, non aveva voglia o pazienza di convincere, mediare, discutere. Costrinse i candidati a impegnarsi a versare 150.000 euro in caso avessero abbandonato il Movimento 5 stelle dopo essere stati eletti.

Introdusse questo vincolo anche per il voto al comune di Roma e, ovviamente, per quello politico del 2017.

In realtà, una simile clausola è totalmente inapplicabile. Ci aveva provato pure con Italia dei Valori, ma nessuno è mai riuscito a riscuotere queste multe in virtù dell’articolo 67 della Costituzione, che tutela la libertà degli eletti che rispondono solo agli elettori e alla propria coscienza. Casaleggio lo sapeva: quando Nicola Biondo, all’epoca capo dell’ufficio comunicazione alla Camera, glielo fece notare la risposta fu: “Lo so: basta che lo credano”.

Quando Casaleggio era contro il vincolo di mandato

Non è finita qui. Fino al 2013 Casaleggio era stato un sostenitore dell’articolo 67 della Costituzione, che vieta il vincolo di mandato. Ci sono numerose testimonianze di ciò. Com’è noto, e come abbiamo raccontato in Supernova, Gianroberto Casaleggio è stato il ghostwriter di Beppe Grillo fin dal 2005 quando insieme aprirono il Blog.

Nei vecchi post si possono trovare numerosi esempi di quando quella norma era usata per argomentare contro i parlamentari brutti e cattivi che obbedivano al capo. Quando Gianfranco Fini non si dimise da presidente della Camera. O nel comunicato politico numero quarantacinque, dove si dice che i parlamentari del Movimento risponderanno ai cittadini e alla propria coscienza, e non al partito.

Salvo poi cambiare idea quando al partito, cioè a lui, non questi non obbedivano. E allora l’articolo 67 diventa quella norma che permette agli eletti di “fare il cazzo che gli pare”.

I parlamentari del Movimento, quindi, vogliono una norma pensata per evitare che loro stessi possano svolgere le mansioni per cui sono pagati.

Rousseau e Casaleggio “dirottano” i soldi del M5s

La politica senza soldi, quella che propagandavano Grillo e Casaleggio, è una truffa. Non esiste. Oggi vi spiego come Rousseau e Casaleggio “dirottano” i soldi del M5s, cioè quelli che dovrebbero andare al partito per le sue attività politiche.

In tutto il mondo libero, i partiti si finanziano con fondi pubblici e privati. Nel primo caso, a seconda della legislazione, lo Stato trasferisce denaro sotto forma di rimborsi o veri e propri sostegni economici vincolati alle attività dei partiti. Nel secondo, a volte la legge impone limiti ai finanziamenti privati o impone che siano tutti resi pubblici.

Il Sistema Casaleggio ha elaborato la gestione dei finanziamenti affinché i responsabili politici del partito non possano decidere come sono utilizzati, e il soggetto privato che li gestisce abbia non una ma ben due canali a propria disposizione, uno noto e uno più riservato.

Ma procediamo con ordine.

Il “dirottamento” verso la Rousseau di Casaleggio

Il Movimento da sempre rifiuta i finanziamenti pubblici. Il motivo vero l’abbiamo raccontato in Supernova: in occasione del secondo V-Day nel 2008, Gianroberto Casaleggio avrebbe voluto gestire in autonomia gli eventuali rimborsi referendari. Il comitato, costituito principalmente dagli attivisti romani, si oppose. Il referendum venne di fatto boicottato e i soldi non arrivarono mai. Ma da quel momento Casaleggio e Grillo decisero che gli attivisti non avrebbero mai dovuto avere a disposizione la gestione dei soldi.

Questo principio si tradusse in due norme: la prima prevedeva che i responsabili della comunicazione alla Camera e al Senato fossero nominati da Grillo e Casaleggio. La seconda è più nota: il Movimento avrebbe rinunciato ai finanziamenti pubblici.

Rinunciare ai finanziamenti pubblici ha permesso a Davide Casaleggio, alla morte del padre, di operare una sorta di “dirottamento” dei fondi che sarebbero andati al partito verso la propria associazione privata Rousseau.

Prima fase, Luca Lanzalone scrive il nuovo statuto del Movimento 5 Stelle. L’articolo uno indica proprio l’associazione Rousseau come unico fornitore per la comunicazione, l’organizzazione, la gestione dei processi democratici del partito. Gli eletti sono anche tenuti a versare una quota per finanziare Rousseau, 300 euro al mese.

Seconda fase, il ministro della giustizia Bonafede elabora la legge Salva Casaleggio, che ha “legalizzato” Rousseau equiparando l’associazione a una fondazione politica.

La conseguenza di questo combinato disposto è che solo Casaleggio può disporre dei fondi legati all’attività politica. I parlamentari non possono finanziare altre associazioni o fondazioni. Un privato che volesse sostenere il partito deve versare soldi a Rousseau.

Ma non è finita qui. Il sistema di Rousseau e Casaleggio per deviare il corso del fiume di soldi prevede una terza via.

Il fiume di soldi riservato

Rousseau, per legge – la stessa “salva Casaleggio” – deve comunicare tutti i versamenti sopra i 500€. Questo comporta in primo luogo che solo Casaleggio conosca davvero tutte le persone che finanziano il partito.

Le normative sulla privacy vietano di condividere i nomi dei finanziatori sotto questa quota. Questo però vuol dire che se qualche grande azienda, pubblica o privata, volesse sostenere il Movimento non potrebbe farlo in via riservata. È un fatto positivo, naturalmente.

Ma c’è un terzo canale, più riservato, attraverso il quale un gruppo potrebbe fare attività di lobbying: sponsorizzare le attività di Casaleggio Associati, l’azienda di famiglia di Davide Casaleggio.

È successo? Sì, è successo.

Basta guardare le conferenze organizzate dall’azienda e i suoi sponsor. Poste Italiane è quella che salta certamente all’occhio, ma ci sono anche aziende con interessi nei settori bancario, trasporti, logistica, informatica, pagamenti, editoria, ricerca di lavoro.

Nell’ultimo anno, il primo col Movimento al governo, Casaleggio Associati ha raddoppiato il proprio fatturato e quasi decuplicato l’utile. Chi può dirci se queste aziende finanziano Casaleggio per le sue ricerche o per il suo ruolo politico?

 

Il voto, l’Europa, il Movimento che verrà

Di Maio si è presentato da solo alla conferenza stampa organizzata presso il suo ministero, dopo la pesante sconfitta del voto europeo dello scorso weekend.

Gli va riconosciuto il coraggio di assumersi interamente la responsabilità della sconfitta. Del resto così fa l’amministratore delegato di un’azienda quando i risultati non sono quelli sperati. La proprietà, però, sostituisce il capo azienda quando i risultati non sono più sostenibili, adeguati alle necessità del gruppo. È in quest’ottica che bisogna leggere le dimissioni che alcuni si aspettavano dal capo politico del M5s. Di Maio ha tenuto a precisare che ha sentito Grillo, Fico e Casaleggio e nessuno gli ha chiesto di fare un passo indietro. Dei tre l’unico che avrebbe potuto è l’ultimo, Davide Casaleggio, il dominus del Sistema che io e Nicola Biondo abbiamo raccontato ne Il Sistema Casaleggio.

Il padrone è l’Erede

Per analizzare questa fase del Movimento il primo errore da non commettere è quello di applicare logiche unicamente politiche. Le dinamiche del partito di Casaleggio e Di Maio sono diverse da quelle degli altri soggetti, così come sono diversi gli obiettivi e i ruoli di ciascun attore. Quello di Di Maio non è assimilabile a quello di Salvini o Zingaretti, segretari di partito che rispondono solo alla propria base e alle rispettive assemblee. Di Maio risponde a Casaleggio, il quale amministra il partito come presidente dell’Associazione Rousseau come ha fatto scrivere nello statuto scritto da Lanzalone. Anagrafiche degli iscritti, candidature, comunicazione, soldi: tutto passa da Milano. Il padrone è l’Erede.

Il Movimento è resiliente

Il secondo errore da non commettere è ignorare la resilienza che il Movimento ha saputo dimostrare nel corso di questi dieci anni. Hanno saputo adattare la propria struttura e il proprio passo alle mutevoli circostanze. Questa è una qualità che va riconosciuta, come l’abbiamo riconosciuta, al padrone del vapore Davide Casaleggio. Morto suo padre, ha preso in mano azienda, partito e relazioni e le ha rimodellate secondo le proprie necessità, riuscendo a costruirsi un ruolo inattaccabile e delegando a Di Maio il compito di compattare gli scappati di casa che compongono i gruppi parlamentari e portare il partito a vincere le politiche del 2018. Casaleggio amministra il partito tramite l’associazione Rousseau in totale autonomia, con obiettivi di lungo termine legati al proprio business e alla concezione contorta di democrazia che la sua mente ha prodotto sotto l’effetto degli stupefacenti risultati degli ultimi anni. Ricordiamo la tetra profezia secondo la quale i parlamenti diventeranno inutili, per come li conosciamo oggi.

Se il presidente del Sistema non ha rimosso il suo amministratore delegato è perché, nonostante questo deludente 17%, la presenza di Luigi Di Maio alla guida del ramo d’azienda politico del Sistema è ancora utile. Non nella stessa forma, forse, ma un’alternativa pronta non c’è.

Il Movimento, e in generale il Sistema Casaleggio, hanno già dimostrato di saper cambiare struttura e pelle per migliorare le proprie performance. Nel 2012, in previsione del voto, in gran segreto Grillo e Casaleggio aprirono un’associazione apposita, buttando alle ortiche non-associazione e non-statuto. Poi arrivò il direttorio, utile a spostare l’asse del potere da Milano a Roma. Poi venne sciolto il direttorio, esaurito il suo compito. Nel 2016 arrivò l’Associazione Rousseau, nel 2017 il nuovo statuto di Lanzalone e il nuovo capo politico.

Le posizioni si sono ammorbidite o irrigidite a secondo delle necessità e del contesto. Succederà la stessa cosa pure adesso, il Movimento non sparirà. Dopo l’assemblea dei gruppi si cominceranno a capire i contorni della nuova metamorfosi e, soprattutto, il coraggio e l’effettiva dimensione del gruppetto di avversari che Di Maio dovrà sfidare nel partito. Sarà interessante.

Per seguire questo processo bisogna tenere bene a mente alcuni fattori e alcuni nodi politici, alcuni dei quali verranno sciolti molto in fretta. Vediamo quali, partendo dal tema che ha riguardato questa tornata elettorale: il Parlamento Europeo.

Europa

Il fantomatico nuovo gruppo che Di Maio sognava di costituire al Parlamento Europeo non si farà. Solo uno dei potenziali alleati ha eletto candidati e ne servono almeno 25 da 7 paesi diversi. Il Movimento non può permettersi di non far parte di un gruppo: perderebbe finanziamenti, accesso ai ruoli, tempo di parola. Salvini ha già detto di avere avviato da tempo colloqui con Nigel Farage per portarlo nel proprio gruppo. La scelta per Di Maio è tra il gruppo di Salvini e Le Pen o l’irrilevanza e la perdita di una marea di risorse. Ci sarebbe anche il gruppo dei conservatori di cui fanno parte i Tory britannici (il partito di Theresa May per capirci). Anche questa ipotesi è però difficile perché a ottobre, se la Brexit avverrà, i parlamentari britannici non ci saranno più. In ogni caso, l’unico approdo possibile per il Movimento è a destra e, anche allo scopo di puntellare il governo, quello più logico sembra il gruppo di Salvini di cui farà parte pure Nigel Farage.

Tenuta del governo e della legislatura

Continuo a pensare che la legislatura finirà alla sua scadenza naturale, nel 2023. Lo penso ancora di più adesso, dopo il voto europeo.

Anzitutto, le camere le scioglie il capo dello Stato, non Salvini o Di Maio. Se cade il governo non finisce automaticamente la legislatura. Prima, il Presidente della Repubblica deve verificare che non esista un’altra maggioranza in Parlamento. Un Parlamento composto per il 60% da persone che aspettano il settembre 2022, quando matureranno il diritto al trattamento pensionistico. Voi rinuncereste a 1500 euro al mese a partire dai 65 anni?

È chiaro che adesso Salvini abbia un deterrente in più nei confronti del Movimento: un eventuale voto anticipato favorirebbe lui, senza contare che Di Maio e i suoi – tutti parlamentari alla seconda legislatura – non si possono ricandidare come ha ricordato settimana scorsa Casaleggio. Ciononostante, non so quanto a Salvini convenga rischiare che si formino maggioranze diverse. In questa situazione, può facilmente esercitare un controllo maggiore sull’azione di governo, imporre la propria agenda, i propri temi e costruire il campo per le prossime scadenze politiche, a cominciare dall’elezione del prossimo presidente della Repubblica nel febbraio del 2022. In ogni caso, quando Matteo Salvini vorrà mettere in crisi il governo dovrà pronunciare una sola parola: “Casaleggio”. Quello sarà il segnale.

Le defezioni che possono mettere a rischio la maggioranza, in queste condizioni, possono arrivare verosimilmente dal gruppo di senatori di seconda nomina del Movimento 5 Stelle. Sono quelli che hanno meno da perdere (non sarebbero comunque ricandidati) e più da guadagnare (niente restituzioni, visibilità in prospettiva magari di un cambio di casacca). Occhi puntati lì, quindi. Ma niente paura: prima di mettere in crisi la legislatura c’è pronta la pattuglia di Fratelli d’Italia. Soprattutto se si dovesse saldare il rapporto con la Lega in europa, per Salvini non sarebbe difficile convincere Di Maio e Casaleggio ad accogliere i nuovi alleati. Questo punto lo approfondiamo fra un attimo.

Non credo sia verosimile – per ora – un’ipotesi alfaniana, cioè Di Maio e i suoi che formano un gruppo autonomo per non far cadere il governo, uscendo dal Movimento. Anche perché non ci sarebbero i numeri in Senato: ai senatori di prima nomina Casaleggio può garantire la ricandidatura, uscire dal Movimento sarebbe un salto nel buio. Mai dire mai, comunque.

La diretta conseguenza di tutto ciò è che d’ora in poi, pur di mantenere lo status quo, Di Maio e i suoi cederanno su qualsiasi cosa. Hanno già salvato il ministro dell’Interno da un processo, ceduto sul Tap, il terzo valico, il Muos, gli F35. Cederanno anche sul Tav. Prima di tornare a vendere lattine a San Paolo – professione peraltro rispettabilissima – Di Maio si venderà pure le mutande.

Nemmeno i cosiddetti dissidenti credo vogliano la testa di Di Maio: sono preoccupati per la loro. Tutti hanno l’interesse a far durare la legislatura e per farlo serve che tutti gli incarichi, dai ministeri alla segreteria politica, siano svolti bene.

Il Movimento da domani

L’assemblea dei gruppi prevista mercoledì 29 maggio aprirà la guerra civile. Io avevo previsto che sarebbe accaduto con un risultato sotto il 21%, e il 17% lo è di molto. Vedremo quanto è forte la fronda, o le fronde. Sembrano esserci vari livelli di contrasto alla leadership: dai più agguerriti ai più comprensivi (come il senatore Paragone) tutti hanno messo nel mirino il capo politico. Ma chi veramente vuole cambiare le cose facendo chiarezza dovrebbe partire dalla testa, da cui di solito il pesce puzza: il ruolo di Davide Casaleggio e dell’associazione Rousseau. Se nessuno lo farà saremo di fronte a una banale spartizione di potere.

È comunque abbastanza evidente che Di Maio non può continuare a gestire da solo il partito, i due ministeri e il comitato delle rendicontazioni. Un organo, quest’ultimo, non previsto da nessuno statuto che raccoglie tutte le restituzioni dai parlamentari prima che queste siano destinate ai fondi scelti di volta in volta (spesso, in realtà, ai comitati elettorali). Vedremo quale sarà la soluzione che verrà elaborata, ma l’unico fatto certo è che lo Statuto prevede che la carica di capo politico duri cinque anni. L’unico che può decidere di cambiare davvero è Casaleggio, che però prima dovrebbe costruire un’alternativa. È per questo che lui e Di Maio hanno tolto dalle mani dell’assemblea la decisione, chiedendo il voto su Rousseau, piattaforma – come certifica il Garante della Privacy – non trasparente, insicura, manipolabile. La sua investitura arriva da Casaleggio-Rousseau ed è lì che cerca la conferma, con il solito quesito per gli attivisti che già suggerisce l’ovvia risposta (“Vuoi confermare Luigi Di Maio come capo politico?”). Oggi è arrivata poi la Cassazione: Beppe Grillo ha detto che Luigi va bene, i gonzi sanno cosa rispondere.

Di Maio, inoltre, da capo politico può governare la riorganizzazione del partito da un punto di forza, potendo prevedere ruoli e percorsi per sé e i suoi dopo l’esperienza di governo, quando non potranno più ricandidarsi.

In quest’ottica, va ricordato un fatto: il Movimento non è un’entità indipendente. Fa parte di un sistema di potere, come ogni partito. Ha una sua constituency e ha il suo proprietario di fatto con interessi propri. Questo sistema, come già visto, ha dimostrato di saper cambiare velocemente pelle, struttura, rappresentanti e sponsor. Lo saprà fare anche adesso. Non sono finiti. L’equilibrio da trovare sarà tra il futuro dei nuovi volti del Movimento che aspettano il proprio turno, gli interessi di Casaleggio e quelli del gruppo dirigente attuale che ancora deve capire cosa farà dopo questa esperienza di governo.

In termini generali, Casaleggio può tranquillamente pianificare la prossima legislatura all’opposizione, far maturare nuovi dirigenti e tornare in area di governo successivamente.

Il sistema proporzionale vigente, però, lascia spazio a parecchie sfumature. Questo governo è un’anomalia: dal dopoguerra non era mai successo che una maggioranza fosse composta da due soli soggetti. Non potrà reggere a lungo, questa situazione. Se veramente il Movimento aderirà al gruppo di Salvini in europa, l’area di governo attuale sarà quella definitiva per Casaleggio e compagnia. Quella, peraltro, in cui si trovano meglio per cultura (si fa per dire) personale. Consolidare i rapporti adesso significa porre le basi per una stabile area politica per le legislature a venire. Le regole del Movimento vietano le ricandidature, ma gl’incarichi governativi non sono elettivi. Di Maio farà di tutto per normalizzare i rapporti con la Lega senza darlo troppo a vedere. Dovrà lasciarlo accadere, facendo intendere la possibilità di carriere per tutti. Questo sarebbe il punto di caduta che potrebbe accontentare tutti e che permetterebbe di liberare il movimento dagli ultimi scocciatori che lo vorrebbero forza battagliera di opposizione.

Alessandro Di Battista

Due righe su Di Battista: l’ex deputato ha il coraggio di un leone morto e le capacità politiche come quelle tecnologiche di Casaleggio. È un agitatore buono per l’opposizione. Se torna lui, saprete che da Milano hanno scelto la ritirata.

Guida pratica per l’opposizione

Infine, l’opposizione. Come si combatte un sistema simile? Dalla testa. Trattare con Di Maio, parlare di Di Maio, pensare a Di Maio è precisamente ciò che permette al sistema di reggere.

Il segretario di un partito parte con un handicap: è sostituibile, a differenza di Casaleggio. Il Movimento può permettersi di sbagliare perché i vertici politici sono sostituibili, i parlamentari devono la loro carriera passata e futura a Casaleggio. Basterebbe costringere il Movimento a interrogarsi sul ruolo di Casaleggio per demolire il castello di carte che questo si è costruito intorno. Basterebbe chiedere alle autorità preposte d’indagare gl’interessi di Milano, le influenza esercitata da Davide, le promesse, le garanzie, i clienti. Il Movimento è il tassello di un sistema di potere: o lo conosci e lo combatti o sei parte di esso, non ci sono alternative.

Stadio: il Sistema Casaleggio nasce a Roma

È notizia di queste ora che la sindaca di Roma Virginia Raggi è indagata per la vicenda dello stadio di Tor di Valle, per la quale furono già arrestati Luca Parnasi e Luca Lanzalone.

Lanzalone, ricordiamolo, è quell’avvocato che dopo aver collaborato con l’amministrazione 5 Stelle di Livorno venne mandato a Roma per seguire importanti dossier. Tra cui, appunto, quello dello Stadio. Lanzalone è anche colui che, materialmente, scrive il nuovo statuto del Movimento 5 Stelle. Quello statuto che, all’articolo uno, assegna all’associazione Rousseau di Davide Casaleggio il compito di gestire il partito. In virtù di questo articolo, Casaleggio tramite Rousseau raccoglie e amministra milioni di euro per conto del Movimento, in totale autonomia.

In questo contesto, è davvero singolare che si sia persa traccia di una notizia: a febbraio 2017, quando ancora non si sapeva chi fosse Lanzalone, ci fu un incontro importante. Era il periodo in cui si doveva decidere la sorte del progetto stadio, il periodo del Francesco Totti di “famo sto stadio”, dell’hashtag #unostadiofattobene… insomma, grande pressione, grande incertezza. A risolvere la situazione scendono a Roma Beppe Grillo e, guarda un po’, Davide Casaleggio. Le cronache dell’epoca parlano di “vertice risolutivo”, Casaleggio viene accompagnato da Loquenzi e Casalino (all’epoca capi della comunicazione del partito). Ma Casaleggio che c’entra?

Possibile che non ci si ricordi di questo dettaglio così decisivo?

Casaleggio è il dominus del partito, ne gestisce l’amministrazione, i soldi, i processi democratici. Suo padre e Beppe Grillo avevano siglato un “contratto” con i candidati al comune di Roma che imponevano il via libera preliminare “dello staff” per qualsiasi atto di alta amministrazione. Cosa ci faceva Davide Casaleggio al “vertice risolutivo” sulla vicenda dello Stadio della Roma?  Qualcuno si sta occupando di capirlo?

Non ha un amico

Si prova sincera pietà umana per Beppe Grillo. Contestato alla Oxford Union perché non era stato avvisato da coloro di cui si circonda del tipo di pubblico che avrebbe trovato, contestato al suo stesso spettacolo di spettatori paganti, impossibilitato perfino a lavorare.

Ieri, letta la formulazione del quesito su cui si vota oggi sulla piattaforma Rousseau, a cui evidentemente non ha partecipato, ha cercato di fare casino con un tweet. Solo che nessuno se l’è filato. I giornali parlano di “contestazione ironica”, nessun parlamentare ha commentato. Lui fa di tutto per farsi notare, ma niente…

La verità, detta in maniera molto diretta, chiara e comprensibile, è che Grillo non conta un cazzo nel Movimento 5 Stelle. Non più. È passato dall’espellere i suoi seguaci più attivi, preparati, promettenti con un ps. sul suo Blog a essere ignorato perfino dagli attivisti del partito che ha fondato. Per un semplice motivo: non ci sono più gli attivisti. Ci sono i fan delle pagine Facebook dei parlamentari, che si apprestano a negare l’autorizzazione a procedere per uno della KASTA, oggi loro amico.

Ma, ripeto, si prova sincera pietà umana per un anziano attore che non riesce più a lavorare, costretto a interrompere lo spettacolo in una città una volta molto accogliente da un gruppetto d’invasati no vax a cui risponde, lui stesso: “io non conto un cazzo, non sono il capo di niente”.

Serena pensione, vecchio amico. Serena pensione.

Il conflitto d’interessi

Qualche giorno fa Beppe Grillo ha detto che mi sono arrabbiato perché volevo violare le regole del Movimento contro il conflitto d’interessi.

Questo articolo su Open del bravo David Puente spiega bene l’episodio a cui si riferisce Grillo e perché ciò che dice non è vero.

M’interessa però il concetto di conflitto d’interessi, perché Grillo fa bene a preoccuparsene.

Il figlio del suo amico Gianroberto Casaleggio, Davide, che gli ha scippato il partito due anni fa è infatti titolare di un gigantesco conflitto d’interessi, che spiega bene il nervosismo del povero Beppe che hanno descritto le cronache.

Davide, infatti, con l’aiuto dei propri avvocati si è assicurato una posizione a vita nel Movimento 5 Stelle, irremovibile, non sottoposta ad alcun controllo democratico.

È presidente dell’Associazione Rousseau, che amministra il Movimento e si comporta come se fosse la sua tesoreria, ma pure di Casaleggio Associati e dell’Associazione Gianroberto Casaleggio. Gestendo queste realtà in maniera coordinata, può assicurare una comunicazione coerente sulle iniziative politiche, commerciali e culturali, avvantaggiando la propria società e il proprio partito.

Ricorda molto da vicino un altro caso di conflitto d’interesse che l’Italia conosce bene, vero?

Credo sia il caso di approfondire meglio questo tema, cosa ne pensate? Cosa vorreste sapere su Davide Casaleggio? Scrivetelo nei commenti.

Sono un mafioso?

Tre anni fa, in settembre, io e Nicola Biondo iniziammo una raccolta fondi per finanziare il nostro libro Supernova.

Decidemmo infatti di raccogliere le nostre memorie sul nostro lavoro con Casaleggio Associati e il Movimento 5 Stelle, ricostruendo la storia del partito di Grillo e Casaleggio dal nostro punto di vista privilegiato.

Quella raccolta fondi ci permise di pubblicare il nostro lavoro, prima un eBook, poi l’edizione cartacea grazie a Ponte alle Grazie.

Non pretendiamo di stare simpatici a tutti, soprattutto agli attivisti del Movimento. Non è però tollerata la diffamazione nei nostri confronti.

Nel commentare la nostra iniziativa, il Sig. Stefano Simeoni mi dava del pagliaccio per l’intervista rilasciata in aprile di quell’anno a La Stampa, aggiungendo – cosa decisamente non accettabile – che “magari fra qualche anno scopriremo la mafia dietro queste voci“, riferendosi a me, Nicola e Jacopo Iacoboni.

Nessuno dei tre, ovviamente, è mafioso né ha rapporti con mafiosi né ha simpatie per i mafiosi. Io e Nicola, quindi, abbiamo deciso di sporgere querela, assistiti dall’Avvocato Valerio Vartolo, che ringraziamo di cuore.

In settimana ci è stato comunicato che il giudice ha rinviato a giudizio il Sig. Simeoni, che l’8 maggio dovrà rispondere del reato di diffamazione.

Oltre che per tutelare la nostra onorabilità, la nostra decisione di spendere tempo e soldi per questo procedimento ha una ragione precisa: la Rete non può essere zona franca. Diffamare in Rete è grave, se non di più, che farlo altrove.

Si tratta di una battaglia culturale che va combattuta con ogni mezzo lecito. Abbiamo scelto quello del diritto per contribuire a stabilire un principio: la legge si applica online come offline.

In altri casi, quando non ero direttamente coinvolto, ho invitato i miei lettori a segnalare alcuni account Twitter, come quello di Marione: anche questi sistemi funzionano. Marione è stato formalmente sospeso definitivamente da Twitter, anche se riapre continuamente il suo canale con altri nomi. Tuttavia, ogni qual volta vìola le regole del social network, viene sospeso. È comunque un ottimo risultato.

Ovviamente vi terremo costantemente aggiornati sugli sviluppi.

Operazione Pizzarotti

Il tempo, si sa, è galantuomo e Federico Pizzarotti ha fama di essere persona paziente.

Il sindaco di Parma, noto per aver abbandonato il Movimento 5 Stelle dopo anni di mobbing da parte dei dirigenti, sta costruendo quella che sembrerebbe avere il sapore dolce di una sonora rivincita.

L’anno scorso, infatti, insieme ad altri amministratori locali ha fondato “Italia in Comune“, un partito che si propone di raccogliere l’esperienza e il pragmatismo dei sindaci, senza precludersi alleanze con altre forze politiche.

Così pare si stiano materializzando gl’incubi peggiori di Grillo, Di Maio e Casaleggio.

Italia in Comune ha infatti annunciato la costituzione di una lista che appoggerà la candidatura del sindaco PD di Cagliari, Zedda, a governatore della Sardegna.

Ha pure siglato un’intesa coi Verdi per una lista comune per il Parlamento Europeo: una sfida diretta proprio al Movimento 5 Stelle, che coi Verdi aveva cercato più volte un’intesa spinta soprattutto dagli attuali europarlamentari, soprattutto Dario Tamburrano.

Con la Lega di Salvini che sta prosciugando il campo a destra e Pizzarotti quello a sinistra, Di Maio potrebbe restare senza gruppo politico al Parlamento Europeo. A quel punto la scelta sarebbe l’inutilità o la resa: l’alternativa sarebbe, infatti, l’adesione al gruppo di Salvini e Le Pen.

Sarà una campagna elettorale oltremodo divertente.