Il vincolo di mandato

Una delle balle più clamorose che il Movimento 5 Stelle va ripetendo è che l’introduzione del vincolo di mandato sia sempre stato un loro cavallo di battaglia.

In realtà la genesi di questa – pericolosa – norma è piuttosto singolare. Non ha niente a che fare con una particolare riflessione sulle istituzioni, sull’onorabilità del Parlamento, nemmeno con la democrazia diretta che il Movimento vorrebbe introdurre.

A dire il vero, non ha niente a che fare nemmeno con gli esponenti del Movimento. Non è una riflessione scaturita durante le assemblee, le riunioni, le riflessioni, la vita parlamentare.

A volere il vincolo di mandato fu Gianroberto Casaleggio nel 2013, per gestire un gruppo parlamentare completamente allo sbando, quello formatosi dopo il voto di quell’anno. La prima volta che si parla concretamente di un vincolo è con il regolamento per gli europarlamentari eletti al voto del 2014. Casaleggio voleva un modo per costringere gli eletti a seguire le sue istruzioni. Non era persona da gradire il dialogo, scendeva poco a Roma, non aveva voglia o pazienza di convincere, mediare, discutere. Costrinse i candidati a impegnarsi a versare 150.000 euro in caso avessero abbandonato il Movimento 5 stelle dopo essere stati eletti.

Introdusse questo vincolo anche per il voto al comune di Roma e, ovviamente, per quello politico del 2017.

In realtà, una simile clausola è totalmente inapplicabile. Ci aveva provato pure con Italia dei Valori, ma nessuno è mai riuscito a riscuotere queste multe in virtù dell’articolo 67 della Costituzione, che tutela la libertà degli eletti che rispondono solo agli elettori e alla propria coscienza. Casaleggio lo sapeva: quando Nicola Biondo, all’epoca capo dell’ufficio comunicazione alla Camera, glielo fece notare la risposta fu: “Lo so: basta che lo credano”.

Quando Casaleggio era contro il vincolo di mandato

Non è finita qui. Fino al 2013 Casaleggio era stato un sostenitore dell’articolo 67 della Costituzione, che vieta il vincolo di mandato. Ci sono numerose testimonianze di ciò. Com’è noto, e come abbiamo raccontato in Supernova, Gianroberto Casaleggio è stato il ghostwriter di Beppe Grillo fin dal 2005 quando insieme aprirono il Blog.

Nei vecchi post si possono trovare numerosi esempi di quando quella norma era usata per argomentare contro i parlamentari brutti e cattivi che obbedivano al capo. Quando Gianfranco Fini non si dimise da presidente della Camera. O nel comunicato politico numero quarantacinque, dove si dice che i parlamentari del Movimento risponderanno ai cittadini e alla propria coscienza, e non al partito.

Salvo poi cambiare idea quando al partito, cioè a lui, non questi non obbedivano. E allora l’articolo 67 diventa quella norma che permette agli eletti di “fare il cazzo che gli pare”.

I parlamentari del Movimento, quindi, vogliono una norma pensata per evitare che loro stessi possano svolgere le mansioni per cui sono pagati.