Gianroberto, Asimov e Cambridge Analytica

Cosa c’entrano Gianroberto Casaleggio e Asimov? Una curiosità saltata fuori durante la mia chiacchierata con Michele Boldrin mi è tornata alla mente di nuovo leggendo il nuovo libro di Christopher Wylie, il whistleblower di Cambridge Analytica.

Quando il Movimento Cinque Stelle ancora era nella mente di Gianroberto Casaleggio, mi disse che aveva in mente una struttura. Una “cornice di regole” la chiamava, simile alle tre leggi della robotica inventate da Asimov.

Vale la pena ricordarle.

  1. Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno.
  2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non vadano in contrasto alla Prima Legge.
  3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché la salvaguardia di essa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge.

Inizialmente, non voleva decidere nulla circa l’orientamento politico, ma selezionare personale politico sulla base di regole semplici, autoesplicative, inviolabili. All’interno della cornice, succedesse pure qualsiasi cosa.

Cosa c’entra tutto questo con Cambridge Analytica? Nel suo nuovo libro, Mindf*ck, Wylie racconta il suo primo incontro col finanziatore del progetto, a New York. Quello che pensava l’investitore avesse in mente era un sistema per simulare le società, riprodurle in digitale, prevederne i comportamenti e trarne profitto.

Racconta che, in quel momento, non potè fare a meno di pensare ad Hari Seldon e al Ciclo delle Fondazioni. Romanzi a cui anche Casaleggio si era ispirato nell’immaginare il Movimento e a cui era molto legato. Il protagonista inventa una nuova scienza, la psicostoriografia, che permette di modellizzare, prevedere, addirittura indirizzare la Storia. Qualcosa di simile pensava di fare Gianroberto.

Chissà che diavolo d’incontri faceva quando viaggiava negli Stati Uniti.

Lega e M5s alleati al Parlamento Europeo

Settimana scorsa, il 10 ottobre 2019, c’è stato un voto molto importante al Parlamento Europeo. Una una risoluzione sulle interferenze russe in europa che inizialmente prevedeva una commissione d’inchiesta su cui Lega e M5s hanno votato insieme. Ora vi ricordo il perché.

Intanto, la risoluzione è una condanna molto circostanziata nei confronti di quei partiti che hanno flirtato con i Russi durante le ultime campagne referendarie o elettorali. Si parla del Front National della Le Pen, della Lega di Salvini e del comitato Leave.EU che ha promosso la Brexit.

C’era un passaggio che prevedeva l’istituzione di una specifica commissione parlamentare d’inchiesta che, però, è stato rimosso grazie a un emendamento dei Conservatori. L’emendamento è stato votato da Lega e M5s che sono stati determinanti per farlo passare.

I motivi per cui il Movimento ha votato con la Lega sono almeno due.

Il primo è abbastanza chiaro: il Movimento, lo ha detto pure Di Maio all’ultimo Italia 5 Stelle, è disposto ad allearsi di nuovo con chiunque nei prossimi dieci anni pur di restare al governo. Anche con la Lega, che quindi non va irritata.

I russi e il Movimento

Però c’è un altro fatto che riguarda Casaleggio. O meglio una serie di fatti. Perché la commissione d’inchiesta sarebbe stata per lui pericolosa se si fosse spinta fino a indagare le sue relazioni con Steve Bannon o con i siti di propaganda russi da cui ha pescato a piene mani tra il 2014 e il 2017.

Bannon l’ha incontrato a Roma nel giugno del 2018. In quei giorni nasceva il primo governo Conte con la Lega, benedetto proprio dall’ex consigliere di Donald Trump. Di cos’hanno parlato, se di politica, business o entrambe le cose non è dato sapere.

Ma quell’incontro avviene dopo anni di frequentazioni, digitali e fisiche, del mondo di Casaleggio e del Movimento col partito di Putin. Di Battista e Di Stefano che presenziano al congresso di Russia Unita. Di Battista che propone al Movimento di farsi aiutare dall’ambasciatore russo per la campagna referendaria. Episodi che abbiamo raccontato in Supernova, documentati e mai smentiti.

Oppure il fatto che, dal 2014, Grillo e il Blog (gestito da Casaleggio) fanno un’inversione di 180° e cominciano a diffondere notizie provenienti da RT e Sputnik, due siti di propaganda russa in lingua italiana (e altre). Perché? Gratis o a pagamento? E l’avvicinamento politico segue o precede quello commerciale?

Tutte cose che una commissione avrebbe forse potuto spiegare, ma è meglio che nessuno sappia. Per ora.

È partita la fase tre del Movimento di Casaleggio

Sabato è partita la Fase tre del movimento di Casaleggio. La prima può essere identificata con i V-Day e le prime liste civiche; la seconda con lo sbarco in Parlamento e il governo con Salvini. La terza è stata formalizzata sabato e domenica scorsi.

Ogni passaggio di fase si può identificare con un fatto molto preciso e circostanziato: i vertici, Grillo e Casaleggio (prima Gianroberto e ora Davide), si liberano di zavorre che sono inutili per proseguire il percorso.

È una tecnica ben rodata ideata da Gianroberto Casaleggio ai tempi del Blog di Beppe Grillo: all’epoca, ogni tanto scriveva un post molto divisivo. Poteva essere sbilanciato a destra o a sinistra e serviva per allontanare chi non era intenzionato e seguire ciecamente la strada tracciata. Un giorno pubblicò un post razzista, che parlava dell’invasione dei “Rom della Romania” – peraltro la locuzione è specificatamente di Davide: mi disse che serviva per “liberarci di un po’ di questi sinistrorsi che infestano i commenti”.

Linguaggio familiare vero? L’invasione ricorda Salvini, no? E il termine “infestare” lo usa Trump con riferimento alle persone di colore.

Dalla fase uno alla fase due

Il primo passaggio di fase, lo abbiamo raccontato in Supernova, avvenne tra il 2012 e il 2013. Partito di Casaleggio si preparava per lo sbarco in Parlamento e serviva fare pulizia. Approfittando della vicenda di Giovanni Favia, che in uno sfogo registrato fuori onda denunciava quello che oggi conosciamo come il Sistema Casaleggio, Grillo fece un video ridicolo, contraddittorio e feroce: “fuori dalle palle chi pensa che io non sia democratico”. Alcuni se ne andarono prima del voto, altri furono espulsi dai gruppi parlamentari con una epurazione di massa mai vista prima nel primo anno di legislatura.

Dopo il voto europeo del 2014 i tempi erano maturi e il famoso “Direttorio” prese il controllo del partito, sottraendolo a Gianroberto, malato e fragile, con l’aiuto del figlio Davide che manovrava nell’ombra, costruendosi un ruolo e un’organizzazione con l’eredità.

Il primo cambio di fase è coinciso anche con la creazione di un’associazione Movimento 5 Stelle parallela rispetto alla prima (la vecchia “non-associazione”) da parte di Grillo, il suo commercialista e il suo avvocato-nipote.

Dal Direttorio, Luigi Di Maio prende di fatto il controllo del partito e alla fine del 2017 inizia il secondo passaggio di fase, che Di Maio e Casaleggio hanno formalizzato nel weekend passando alla fase tre del Movimento.

La fase tre

Anche in questo caso c’è una nuova struttura, un’altra associazione “Movimento 5 Stelle” fondata stavolta da Di Maio e Casaleggio, che affianca l’Associazione Rousseau. Lo statuto, scritto da Luca Lanzalone, mette all’articolo uno la creatura di Davide come unico fornitore possibile per la comunicazione.

Sabato è arrivata pure l’inizio dell’epurazione, in modalità che ricordano un po’ le minacce corleonesi: “mando il mio saluto ad Alessandro [Di Battista]. Gli ex ministri assenti sbagliano a non venire”, ha detto il padrone della baracca, Davide. Un messaggio chiaro: adesso siamo noi lo Stato. E si fa come dico io, chi non è d’accordo fuori dalle palle (cit).

Domenica Di Maio ha chiarito meglio gli obiettivi: stare al governo sempre, in ogni caso. Il che ha perfettamente senso: è il modo migliore per Casaleggio per ottenere vantaggi, come l’invito all’ONU per pubblicizzare le sue attività di poche settimane fa.

La Fase Tre, come dicevo, è iniziata: è quella in cui il Sistema Casaleggio governa, gli altri fanno da gregari e Casaleggio nomina i suoi ai vertici dello Stato. Di Maio, vedrete, resterà sulla scena: è con lui che Casaleggio ha l’accordo che gli permette di drenare soldi dai parlamentari lasciando a secco il partito.

Brexit e Sistema Casaleggio: tutto nasce in via Morone

La Brexit nasce in Via Morone: è un side-effect del Sistema Casaleggio, diventato modello per la nuova democrazia populista digitale.

Non lo dico io: lo dice Arron Banks, il principale finanziatore del comitato Leave.EU e del neonato Brexit Party di Nigel Farage.

I rapporti tra i due mondi nascono nel 2014, quando il Movimento 5 Stelle deve scegliere dove posizionarsi nel Parlamento Europeo. La scelta di Gianroberto Casaleggio era già fatta da tempo, anche se pochi lo sapevano: Nigel Farage, lo UKIP. Il partito che come unico punto programmatico aveva l’uscita del Regno Unito dalla UE.

Le trattative le conducono Grillo e, soprattutto, Davide Casaleggio la cui madre è inglese. Nasce il Gruppo per l’Europa della Libertà e della Democrazia Diretta. Un sistema, di fatto, per consentire ai parlamentari dei due partiti e di qualche altro piccolo alleato di ottenere soldi e tempo di parola.

I Casaleggio, però, cementano il rapporto con Farage e il suo staff che nel 2015 va in visita presso la Casaleggio Associati, via Morone 6, Milano.

All’incontro partecipano, oltre al politico inglese, uno stratega del partito, Raheem Kassam, e la futura CEO del comitato Leave.EU Liz Bilney.

Quell’incontro è cruciale: viene loro spiegato da Casaleggio come hanno utilizzato la rete, i dati, la profilazione degli utenti per costruire il Movimento 5 Stelle. Con questi consigli e l’aiuto di Cambridge Analytica Leave.EU, fondato da Banks, vincerà il referendum del 2016.

Arron Banks, dopo l’incontro di Milano, ricevette un report che lo convinse della necessità di usare il metodo Casaleggio per manipolare il consenso. Ma non solo.

Quel report dev’essere tornato utile anche tre anni dopo, nel gennaio 2019, quando insieme a Nigel Farage fonda il Brexit Party pochi mesi prima del voto europeo. Dice Banks al The Guardian che hanno costruito il partito come “copia carbone” del M5s, del Sistema Casaleggio. Una società legalmente registrata, non un vero e proprio partito, per mantenere il controllo di ogni processo. Perché, spiega, “se hai stretto controllo sulla struttura, i matti non ti possono scalare”.

Con la Brexit, il Sistema Casaleggio ha fatto scuola nel mondo, non c’è dubbio. Il problema è che forse il mondo ancora non se n’è accorto.

Come Casaleggio profila (illegalmente?) gli utenti

Chi vuole togliere a Casaleggio la proprietà di Rousseau forse non si rende conto della macchina da soldi di cui si sta parlando. O forse sì, e allora sono stupidi abbastanza da credere che Casaleggio sia disposto a rinunciarvi. Casaleggio grazie a Rousseau raccoglie soldi dai parlamentari e profila gli utenti grazie ai loro dati, materia prima preziosissima.

L’8 di ottobre 2019 era il decennale della fondazione dello scomparso Movimento 5 Stelle (quello di oggi è, sia politicamente che formalmente, un’altra cosa). Un gruppo di sedicenti attivisti guidati dal consigliere regionale Barillari ha pubblicato quel giorno un documento chiamato la Carta di Firenze 2019.

Al primo punto c’è, tra le altre, la richiesta che la piattaforma Rousseau diventi di esclusiva proprietà del Movimento 5 Stelle. Ora è posseduta e gestita dall’omonima Associazione, a sua volta di proprietà di Davide Casaleggio e tre suoi tirapiedi.

È ingenuo, se non idiota, pensare che Casaleggio possa rinunciare alla proprietà di Rousseau.

L’investimento

Anzitutto, la piattaforma è il frutto dell’investimento di dodici anni prima di Casaleggio Associati, quasi fallita per portare avanti questo progetto, poi dell’Associazione.

Quando Davide Casaleggio ha spostato l’ha spostata dall’azienda verso l’associazione, ha cominciato a pretendere dai parlamentari un contributo per lo sviluppo e la manutenzione. Questo gli consente di drenare quasi 8 milioni di euro a legislatura, sebbene pare che molti parlamentari si stiano rifiutando di pagare il servizio.

Gestire un flusso di denaro del genere permette di gestire potere, a cui Casaleggio difficilmente rinuncerà.

Questi soldi hanno permesso di costruire un prodotto che presto potrebbe diventare profittevole. Non a caso Casaleggio è andato a promuoverlo alle Nazioni Unite: l’obiettivo è chiaramente piazzare la sua merce all’estero.

C’è altro: i dati.

Come Casaleggio profila gli utenti

Anche se Casaleggio lo nega, tramite Rousseau e il Blog delle Stelle (prima quello di Beppe Grillo) ha costruito negli anni e alimenta tutt’ora un database di utenti a cui sono associati specifici comportamenti.

Non solo tramite il voto: qualsiasi azione all’interno del sito e della piattaforma gli consente di tracciare un profilo, un “modello” di comportamento sia per ciascun iscritto che generale.

Rousseau gestisce molte attività: raccolte fondi, proposte di legge, organizzazione di eventi. Quando un iscritto partecipa, quell’azione consente a Casaleggio di capire a quale “stimolo” ha risposto per compierla. Gli utenti si coinvolgono meglio inviando loro una mail? Un SMS? Un titolo è più efficace di un altro? Quante volte gli utenti aprono le email, quante volte cliccano sui link proposti? Chi accede più spesso alla piattaforma è poi più propenso a fare una donazione? L’entità della donazione a quali comportamenti è correlata?

Peraltro, come conferma la Privacy Policy, la navigazione sui siti di Rousseau è monitorata tramite Google Analytics, Facebook e Twitter. Davide sa tutto dei suoi utenti.

La prova è pure abbastanza visibile nei commenti del Blog Delle Stelle. Accanto al nome di molti utenti sono presenti delle iconcine. Era una vecchia idea di Gianroberto Casaleggio, che gli ha consentito negli anni di profilare, individuare facilmente gli utenti più “fedeli”. A ogni logo corrisponde un evento a cui quell’utente ha partecipato: Il V-Day, Woodstock 5 Stelle, una campagna di donazioni e, da poco, anche l’iscrizione a Rousseau. Gli utenti sono tutti accuratamente profilati e controllati.

Sono informazioni preziosissime che hanno un valore commerciale. Conoscere il comportamento e le reazioni degli utenti sulla base di specifiche azioni, consente di creare dei modelli applicabili ad altri mercati o con altri clienti. Se domani Casaleggio decidesse di permettere l’utilizzo di Rousseau a partiti esteri, potrebbe vendere un servizio affinato negli anni sulla base della profilazione degli utenti prima del Blog di Grillo e ora di Rousseau / Blog delle Stelle. Un vantaggio competitivo importante.

La Cambridge Analytica italiana

Vi ricorda qualcosa? Rousseau adesso e Casaleggio Associati prima stanno facendo la stesso cosa che ha fatto Cambridge Analytica. La società inglese ha utilizzato i dati raccolti per profilare gli utenti con lo scopo di proporre pubblicità politiche personalizzate. I dati, peraltro, erano illecitamente raccolti, una circostanza che ricorda il modo in cui venivano gestiti dalle parti di Via Morone, per il quale Rousseau è stata multata due volte per un totale di 80.000 euro.

L’utilizzo che fa Casaleggio dei dati che profila è forse più inquietante: Rousseau viene utilizzata per prendere decisioni fondamentali che riguardano la vita pubblica del nostro Paese. Dal salvataggio di Salvini dai processi alla formazione dei governi. Saper prevedere come reagiranno gli utenti a un certo stimolo, una domanda posta in un certo modo, una comunicazione inviata in un certo momento gli permette di orientare le decisioni più importanti.

Inoltre, se volesse utilizzare questi dati per migliorare l’offerta della propria società, Casaleggio Associati, noi non lo sapremmo mai. Non ci sarebbe bisogno di un passaggio effettivo di dati: Davide conosce bene i risultati delle analisi che conduce in Rousseau e non servono azioni per trasferire questa conoscenza fuori dall’associazione verso l’azienda.

Resta da capire se sia lecito aggregare i dati di profilazione di servizi diversi (Rousseau, Il Blog delle Stelle, gli eventi organizzati, le donazioni) per alimentare il database di un ente commerciale che ne può estrarre modelli derivati.

Di certo, tutto questo Casaleggio non lo consegnerà gratuitamente a Barillari.

Casaleggio sul Corriere. Parte 3 di 7: le organizzazioni

Torniamo a commentare la lettera di Davide Casaleggio al Corriere della Sera. Lo faccio perché il Corriere ha deciso di pubblicarla senza commenti, senza controdeduzioni, senza repliche: se nessuno si occupa di confutare punto per punto le tesi di Casaleggio, il rischio è che vengano prese per buone.

Nel mio piccolo, ho già scritto del primo e del secondo paradosso che secondo Casaleggio staremmo vivendo. Oggi ci occupiamo del terzo, chiamato del “delegante a sua insaputa”.

Il tema è l’organizzazione del consenso e la struttura dei partiti. Secondo Casaleggio c’è una contraddizione nel contestare che il M5s usi Rousseau per votare su tutto e difendere la struttura organizzativa dei partiti. La migliore organizzazione, infatti, sarebbe quella che consegna il potere decisionale al maggior numero di persone possibile.

Anche in questo caso, il ragionamento di Casaleggio parte da presupposti sbagliati, almeno due: che partecipazione coincida con voto e che le decisioni prese da un maggior numero di persone siano automaticamente decisioni migliori.

Tralasciamo il fatto che l’Erede lamenta il fatto che i partiti hanno di solito solo l’1% d’iscritti rispetto ai propri elettori, problema che sarebbe risolto con la tecnologia che aumenterebbe la partecipazione. Questo non è vero mai, almeno finora. Nemmeno per il suo Movimento: gli iscritti sono circa centomila, gli elettori undici milioni. L’1%.

Partecipazione non è (solo) voto

Detto questo, Casaleggio sbaglia nel ridurre la partecipazione al solo voto. Partecipare alla vita politica della propria comunità vuol dire molto di più. Significa discutere, conoscere, studiare, incontrare le persone, vivere la comunità. Il voto è, o dovrebbe essere, solo l’atto finale di un percorso deliberativo. Soprattutto, quando si chiama qualcuno al voto ci si dovrebbe assicurare che chi viene interpellato sia stato adeguatamente formato e informato sul tema in discussione.

Questo è uno dei motivi per cui abbiamo inventato la rappresentanza: non per limiti geografici, come sostiene Casaleggio, ma perché affidiamo le scelte a qualcuno incaricato di approfondire i problemi e trovare soluzioni. Soprattutto, ad assumersi la responsabilità delle decisioni.

Il modello Rousseau, la democrazia diretta, non contempla il concetto di responsabilità. Tutti votano su tutto e nessuno si assume la responsabilità di nulla. Infatti, anche i voti del Movimento su Rousseau sono sempre ratifiche delle decisioni prese dai capi, che quindi non sbagliano mai. E se non sbagliano mai allora perché cambiarli? È un circolo vizioso che tende ad accrescere il potere di chi conquista il vertice dell’organizzazione.

La qualità delle decisioni

Inoltre, le decisioni prese su temi specifici non sono necessariamente migliori se l’intera base viene coinvolta. Maggiore è il numero di persone, minore tende a essere la competenza media sul tema su cui si è chiamati a decidere.

Infatti, anche quando lo Stato acconsente a chiamare l’intero corpo elettorale a prendere una decisione specifica, lo fa con limiti molto stringenti e tramite processi che assicurino la massima e migliore informazione possibile sull’argomento.

Il modo in cui Casaleggio e Rousseau hanno dimostrato di voler utilizzare i loro iscritti prevede, anzi, che le votazioni arrivino a sorpresa, senza il tempo necessario ad approfondire l’argomento in discussione, con quesiti scritti nella maggior parte dei casi per orientare verso la scelta preferita dai vertici. Infatti, puntualmente, quella scelta è sempre risultata vincente.

Grillo, Casaleggio, Di Maio e le tre associazioni del M5s

L’avvocato Lorenzo Borrè, che difende molti attivisti del Movimento espulsi dal partito, ha scritto un lungo articolo per spiegare l’assurdità dell’organizzazione del partito di cui si contano ben tre associazioni M5s.

L’abbiamo documentato anche nel nostro libro Il Sistema Casaleggio io e Nicola Biondo: attorno al Movimento c’è un groviglio di soggetti giuridici che serve per confondere elettori e autorità, utile solo a consentire a Casaleggio e Di Maio a tenere le mani su dati e soldi.

Spiega Borrè che ci sono tre associazioni denominate “Movimento 5 Stelle”. Una fondata nel 2009, quella del famoso non-statuto. Una fondata nel 2012 con lo scopo di presentarsi alle politiche del 2013: soci sono Grillo, suo nipote, il suo commercialista. Una, infine, fondata nel 2017 da Davide Casaleggio e Luigi Di Maio.

Vi suggerisco di leggere con attenzione il racconto di Borrè. È molto lungo e complesso, come lo è questa vicenda. In sintesi, Tra il 2009 e il 2018 i vertici del Movimento sfruttano il marchio e gli strumenti di comunicazione a proprio piacimento, in violazione delle norme civili sull’associazionismo. Escludendo candidati, espellendo attivisti, eleggendo consiglieri, deliberando il programma, sfruttando il sito movimento5stelle.it per la propaganda.

Nel tempo, anche grazie all’Avvocato Borrè, la magistratura stabilisce l’illiceità di numerosi di questi comportamenti, che avvengono in violazione soprattutto dei diritti degl’iscritti al primo Movimento, quello fondato nel 2009.

Casaleggio e la gestione dei dati

Aggiungo io: tra il 2016 e il 2017 l’intervento del Garante della Privacy ha stabilito un ulteriore piano di confusione. Davide Casaleggio e Beppe Grillo hanno gestito i dati del Movimento del 2009 come se fossero di proprietà dell’associazione del 2012. Inoltre, nel passaggio all’associazione Rousseau dalla Casaleggio Associati, non vengono avvisati correttamente gli utenti del cambio del titolare del trattamento. Il Garante si rivolge a Casaleggio in qualità di presidente di Casaleggio Associati. Casaleggio replica in qualità di presidente di Rousseau, salvo poi consegnare la documentazione richiesta tramite la casella email certificata proprio di Casaleggio Associati. Un disastro. Infatti Rousseau paga multe prima per 30.000 poi per altri 50.000 euro.

Tra le irregolarità contestate, il Garante rileva il fatto che nessuno ha di fatto l’autorizzazione alla gestione dei dati. A Rousseau viene concessa una mediazione: utilizzare i dati già posseduti per chiedere nuovamente il permesso al trattamento.

Le due associazioni M5s vampirizzate dalla terza

Casaleggio e Di Maio colgono l’occasione, fondano l’associazione Movimento 5 Stelle del 2017. Attraverso il database iscritti del 2009 contattano tutti gli utenti, gli chiedono di aderire al “nuovo” Movimento ed escludono chi non sottoscrive dalla piattaforma Rousseau.

Come spiega Borrè, Casaleggio e Di Maio vampirizzano tutte le realtà precedenti, utilizzando logo e strumenti, lasciando senza possibilità di ottenere giustizia gli espulsi dalle precedenti associazioni. Di Maio diventa capo politico, Casaleggio fa inserire Rousseau nel nuovo statuto per assicurarsi un fiume di denaro dai parlamentari.

Il voto su Rousseau non è segreto né sicuro

Il 31 agosto 2019, prima del voto sul governo M5s-PD, Casaleggio pubblica sul sito dell’Associazione Rousseau – il Blog delle Stelle – quelle che chiama 10 “fake news” da sfatare sulla sua piattaforma. In questo articolo commentiamo la terza e la quarta, perché il voto su Rousseau non è segreto né sicuro.

Questa serie di articoli – qui il primo – torneranno utili al prossimo voto rilevante sulla piattaforma casaleggese.

Ebbene, Casaleggio nega che bug o errori possano consentire a un utente di votare più volte e che il voto sia riconducibile al singolo utente. Come? Ci sono due tabelle in cui vengono registrate distintamente la partecipazione a un voto e la scelta operata. Per questo solo fatto, spiega, non si può risalire alle preferenze degli attivisti. Inoltre, un solo accoppiamento voto-votante è possibile, ci spiega.

Il fatto che non sia più possibile collegare voto e votante sembra rispondere a una precisa richiesta del Garante della Privacy.

Rousseau segreto, sicuro, verificabile?

Purtroppo non conosciamo il codice di Rousseau né l’architettura del database perché Rousseau li mantiene gelosamente segreti. Dobbiamo fidarci di quello che ci dice Casaleggio, che notoriamente ha un rapporto diciamo conflittuale con la realtà. Questo significa che potrebbero esserci errori di programmazione che nemmeno lui conosce. Questo è molto probabile: Rousseau è una piattaforma proprietaria, sviluppata da un numero ristretto di tecnici e non c’è una procedura codificata per segnalare problemi o bug e tracciarne la risoluzione. Un pessimo modo di gestire un progetto informatico.

Ammettiamo però che incidentalmente dica il vero e – come ipotesi di scuola – che non ci siano errori di programmazione o disservizi durante il voto. Questa soluzione non risolve comunque il problema della segretezza del voto, anzi aggiunge quello della certezza e quello della verificabilità del voto. Infatti, ci sono decine di altri modi per ricollegare il voto al votante. Attraverso i registri, per esempio, che potrebbero essere tutti in ordine cronologico. Sapendo l’ordine dei voti e dei votanti è immediato risalire all’autore di ogni singola preferenza.

Seguiamo comunque il paragone col voto cartaceo che utilizza Casaleggio.

Quando mi reco al seggio, vengo identificato col mio documento e viene segnato sul registro che ho votato per evitare che lo possa fare due volte. Mi viene consegnata una scheda vidimata a cui viene applicato un contrassegno, mi reco in cabina, voto, esco, la scheda viene inserita nell’urna. Alla chiusura dei seggi le schede vengono contate pubblicamente in presenza dei testimoni, rappresentanti di lista e chiunque desideri assistere.

Grazie a questo processo il voto è segreto (nessuno vede la mia preferenza, la mia scheda non è riconoscibile), ma pure certo e verificabile. Certo, perché ho la sicurezza che non venga modificato: la scheda inserita nell’urna rivedrà la luce solo quando la scatola è aperta e i voti conteggiati. Verificabile, perché posso, se voglio, assistere allo spoglio e al conteggio delle schede. Anche in caso di errore, o perfino di manomissione del voto di un singolo seggio, essendo i seggi migliaia ho la ragionevole certezza che – in generale – il processo sia sicuro.

Col voto a distanza, soprattutto quello in rete, una volta che ho fatto clic non so cosa succede. Da lì in poi devo necessariamente fidarmi. Fidarmi delle decine di macchine che il mio segnale attraversa per arrivare al server. Del server stesso.. Dei programmatori. Degli amministratori di sistema. Del sistema di conteggio. Ci sono decine di momenti del processo che possono essere compromessi. Inoltre, la centralizzazione del sistema di voto comporta che una singola manomissione possa compromettere o manomettere l’esito dell’intera consultazione. Non c’è, in questo momento, tecnologia che possa garantire un voto remoto in termini di segretezza, certezza e verificabilità. Semplicemente, non esiste.

Il traffico sul server

Nel post in questione, Rousseau sostiene che l’aggiornamento dei server consenta ora una maggiore sicurezza e velocità delle operazioni di voto. Cita una serie di dati statistici relativi all’ultima operazione di voto prima di quell’articolo, con l’intento di dimostrare che la piattaforma possa gestire un elevato traffico durante le operazioni di voto.

Non c’è dubbio che rispetto a qualche anno fa l’infrastruttura sia migliorata. Ciò detto il solo fatto di poter aumentare le risorse disponibili ovviamente non garantisce affatto che non ci siano stati “errori nel processare i voti”. I sistemi che Casaleggio cita spesso come sicuri e di nuova implementazione, nell’area voto, sono tutt’altro che immuni da problemi di sicurezza. Keycloak, per esempio, presenta numerose falle conosciute. Va in oltre ricordato un fatto statistico: il 70% delle violazioni di sicurezza non sono note. Vale a dire che in 7 casi su 10, chi subisce un attacco informatico non sa di subirlo.

Ci possono essere inoltre attacchi di tipologia non ancora conosciuta.

Insomma, il voto su Rousseau non è affatto segreto, sicuro, immune dagli attacchi o più efficiente del voto cartaceo.

Gianroberto Casaleggio e l’ingegneria sociale

Davide Casaleggio, a un evento delle Nazioni Unite organizzato per lui dal governo italiano, ha parlato di digitalizzazione dei processi democratici, campo d’interesse commerciale dell’Associazione Rousseau. Si è dimenticato di parlare dell’ingegneria sociale che gli ha permesso di sperimentare il condizionamento del suo elettorato gli ultimi dodici anni.

Come sempre, si è molto speso a sottolineare i presunti vantaggi, facendo uno spot a spese nostre alle attività di Rousseau, agli eventi da lui organizzati, al modo in cui gestisce il suo partito.

Come sempre, dimentica di parlare dei problemi, questi certi, della partecipazione digitale soprattutto come lui e suo padre la intendevano.

Gianroberto e Davide Casaleggio hanno costruito il Movimento 5 Stelle utilizzando strumenti sempre più – a modo loro – raffinati. Violando le leggi sulla gestione dei dati personali, hanno per anni raccolto e analizzato i dati degli utenti, prima del Blog di Grillo e poi della piattaforma Rousseau.

Manipolare il consenso

Gianroberto Casaleggio, all’inizio degli anni Duemila, aveva studiato il comportamento delle organizzazioni sociali online. Attraverso la rete intranet di WebEgg, l’azienda Telecom che amministrava, ha imparato a manipolare il consenso interno a suo vantaggio, come ci ha raccontato per Supernova il suo ex collaboratore Carlo Baffè. Come? Aveva costituito un piccolo gruppo di persone giovani e che rispondevano solo a lui. Il gruppo si accordava per sperimentare alcune teorie di Casaleggio attraverso il forum interno dell’azienda.

Casaleggio scriveva un post, affermando un concetto. Subito, una persona del gruppo ristretto interveniva per contestare il concetto. Un terzo, sempre del gruppo, replicava contestando il secondo e approvando il primo – Casaleggio. A questo punto, spiega Baffè, nella maggior parte dei casi la discussione si sviluppava coinvolgendo gl’ignari colleghi tendeva verso la conferma del concetto iniziale. Chiamava questo fenomeno “cascata del consenso”. In questo modo, aumentava il consenso attorno a Casaleggio, che migliorava il proprio posizionamento interno e, contemporaneamente, poteva facilmente identificare coloro che tendevano a deviare dalla sua visione.

Allo stesso modo, Casaleggio per anni ha manipolato il consenso attorno al Blog di Beppe Grillo. Applicando lo stesso principio, Casaleggio scriveva il post con il consenso di Grillo, attendeva che arrivasse il primo commento negativo e replicava in modo anonimo con lo pseudonimo “Parsifal”. Cascata del consenso.

Profilare gli utenti per fare ingegneria sociale

Il salto di qualità viene progettato in Casaleggio Associati subito dopo il primo V-Day, nel 2007. Casaleggio ebbe l’idea di associare ad ogni utente che commentava un’icona per ogni evento, iniziativa, battaglia del blog, raccolta firme a cui l’utente-commentatore partecipava. Era possibile perché per ciascuna Casaleggio raccoglieva i dati personali, nome, cognome, email. Ebbe dunque l’intuizione di mettere a sistema i database, incrociando i dati. Gli utenti che partecipavano di più erano quelli con più icone affianco al nome. Profilando così gli utenti, Casaleggio era in grado di riconoscerli velocemente quando commentavano, partecipavano all’iniziativa successiva e così via. Fino alla compilazione delle liste per il Movimento 5 Stelle. Casaleggio arrivò preparato e seppe scegliersi le persone più fedeli nei ruoli chiave, escludendo quelli non allineati.

Lo stesso avvenne, probabilmente ancora succede, grazie alla piattaforma Rousseau. Davide, come ha scoperto il Garante della Privacy, gestendo per intero il processo di registrazione, autenticazione, identificazione, votazione, partecipazione, sa perfettamente chi vota cosa, come interviene sulle proposte di legge, quanto partecipano, quante volte si loggano, quante volte visitano il sito e così via. Una vera e propria profilazione sulla base delle preferenze, delle idee politiche degli utenti della sua piattaforma privata.

Tutto questo viene definito “ingegneria sociale”. Conoscendo i dati, le abitudini, le idee, i comportamenti delle persone se ne possono influenzare le decisioni. Una pratica pericolosa che va contrastata.

Casaleggio sul Corriere. Parte 2 di 7: la partecipazione

Commento la seconda parte della lettera di Casaleggio al Corriere della Sera che parla di partecipazione. Qui trovate la prima parte. Come ho già scritto, ritengo importante commentare queste deliranti teorie perché se nessuno lo fa il rischio è che si dia per scontata la loro validità.

Nel primo articolo abbiamo affrontato il tema della rappresentanza. Oggi quello della tecnologia.

Lo scopo di Casaleggio è quello di promuovere la digitalizzazione dei processi democratici. Lo fa per un duplice vantaggio: l’azienda che presiede, Casaleggio Associati, fornisce ai propri clienti consulenza nel campo tecnologico legato alla rete. Se il pubblico accetta che ci siano vantaggi nel digitalizzare ogni processo, i suoi servizi aumentano di valore. Il secondo motivo è che con l’Associazione Rousseau Casaleggio è direttamente in questo business. Rousseau vende servizi di amministrazione di grandi organizzazioni. Quello è il suo prodotto. Abbiamo già visto come il riferimento, nel suo scritto, a realtà diverse dalla politica, come i sindacati e l’azionariato, non sia casuale.

Il secondo “paradosso” è quello chiamato “luddista con lo smartphone”. Secondo l’Erede, chi sottolinea il rischio di applicare determinate tecnologie al voto lo fa per paura della stessa tecnologia che utilizza per altre cose.

Il paragone viene fatto con i sistemi di pagamento e la prenotazione di voli e treni: ci siamo adattati alle tecnologie per questi servizi, perché non farlo col voto?

Gli errori logici di Casaleggio

La riflessione di Casaleggio è fallace per almeno tre motivi.

Primo, sono paragonati processi – e quindi rischi – diversi. La gestione del mio denaro e la prenotazione di un viaggio sono azioni che riguardano rapporti tra privati. Io e la banca, io e l’azienda di trasporto. Il voto e la partecipazione attengono al mio rapporto con la collettività. Le conseguenze di eventuali problemi tecnici o tecnologici possono avere conseguenze sulla mia persona. Posso accettare il rischio di un disservizio sulla prenotazione di un treno e sulla consultazione dell’estratto conto.

Non si può accettare alcun rischio aggiuntivo rispetto all’esercizio del voto. Non devo nemmeno essere messo nelle condizioni di poterlo accettare, perché le conseguenze degli eventuali “disservizi” ricadono sull’intera collettività.

Secondo: è falso dire che chi teme il voto elettronico lo faccia per paura della tecnologia. È vero l’esatto contrario. Sono esattamente gli esperti di tecnologia – per inciso Casaleggio non è un tecnico, è laureato in economia e commercio ed è un imprenditore – i più critici verso l’uso della tecnologia in questo campo. Proprio perché conoscono i limiti e i rischi sanno che il voto a distanza, soprattutto il voto in rete, è più pericoloso di quello cartaceo. I rischi di brogli, errori anche in buona fede, manipolazioni sono infinitamente più alti, come ho spiegato molte volte. Non è possibile, allo stato attuale della tecnologia, costruire un sistema di voto che sia sicuro in termini di certezza dell’espressione di voto, segretezza e verificabilità. Non si può proprio fare. La rete Internet è peraltro un’infrastruttura commerciale pensata con standard di sicurezza e affidabilità infinitamente inferiori a quelli che sarebbero necessari.

Il medium è determinante per la partecipazione

Terzo: la democrazia, la partecipazione alla vita pubblica, la politica sono attività che implicano relazioni sociali. È stato anche dimostrato, ma è facile intuire come sia falso che il medium sia uno strumento neutro in questo ambito, come sostiene Casaleggio. Lo abbiamo sperimentato tutti: la tecnologia negli ultimi anni ha profondamente mutato le nostre relazioni, la nostra vita sociale. È cambiato il modo in cui ci rapportiamo ai nostri amici, parenti, compagni, in cui troviamo partner sessuali, il modo in cui si formano le nostre idee.

Davide Casaleggio quando afferma che il medium quando si partecipa è un semplice strumento mente sapendo di mentire. Suo padre Gianroberto era il primo a sapere che tramite gli strumenti tecnologici si possa facilmente manipolare le opinioni e orientare il consenso. Lo ha sperimentato per anni quando dirigeva WebEgg, lo ha messo in pratica quando curava il Blog di Grillo e costruiva il movimento.

Lo sosteneva quando parlava, per esempio, delle piattaforme di voto che aveva studiato, come LiquidFeedback. Era troppo complicata, sosteneva, tanto che il Partito Pirata era fallito proprio per la scarsa semplicità dei suoi strumenti di partecipazione. Peraltro, lo stesso Davide Casaleggio ha spiegato nel suo libro “Tu sei Rete” come sia possibile manipolare il consenso tramite le reti sociali.

Per aumentare la partecipazione bisogna semplificare il processo e gli strumenti, a costo della qualità del dibattito e del prodotto culturale. Se aumenta la partecipazione ma scende la qualità, si è solo trovata nuova “manodopera” per il proprio partito. Nel caso del voto, abbassare la qualità equivale ad aumentare la probabilità di manipolazione. Il modo in cui sono formulate le domande, il posizionamento delle opzioni di voto, perfino l’interfaccia, i colori dei pulsanti, le dimensioni dei bottoni, il numero di verifiche richieste ha conseguenze sull’esito della scelta. Il medium, soprattutto nel caso del voto, è tutt’altro che uno strumento neutro.

Qualità e quantità

Peraltro, anche in termini di quantità non è vero che il voto elettronico diminuisca la propensione all’astensione. Lo dimostrano ricerche sull’esperienza Estone, ad esempio.

Insomma, digitalizzare un processo delicato come l’espressione del voto non migliora la qualità del prodotto culturale, politico e sociale né aumenta il numero di attivi nelle scelte. Aumenta solo i rischi di manipolazione del voto, errori e interferenze.

Tant’è che in alcuni paesi la votazione digitale è stata resa incostituzionale (in Germania) e alcuni Stati americani la stanno mettendo al bando.

Solo chi ha interessi commerciali nel settore sostiene che votare online sia bello, efficiente, migliore. Come Casaleggio.