Casaleggio sul Corriere. Parte 2 di 7: la partecipazione

Commento la seconda parte della lettera di Casaleggio al Corriere della Sera che parla di partecipazione. Qui trovate la prima parte. Come ho già scritto, ritengo importante commentare queste deliranti teorie perché se nessuno lo fa il rischio è che si dia per scontata la loro validità.

Nel primo articolo abbiamo affrontato il tema della rappresentanza. Oggi quello della tecnologia.

Lo scopo di Casaleggio è quello di promuovere la digitalizzazione dei processi democratici. Lo fa per un duplice vantaggio: l’azienda che presiede, Casaleggio Associati, fornisce ai propri clienti consulenza nel campo tecnologico legato alla rete. Se il pubblico accetta che ci siano vantaggi nel digitalizzare ogni processo, i suoi servizi aumentano di valore. Il secondo motivo è che con l’Associazione Rousseau Casaleggio è direttamente in questo business. Rousseau vende servizi di amministrazione di grandi organizzazioni. Quello è il suo prodotto. Abbiamo già visto come il riferimento, nel suo scritto, a realtà diverse dalla politica, come i sindacati e l’azionariato, non sia casuale.

Il secondo “paradosso” è quello chiamato “luddista con lo smartphone”. Secondo l’Erede, chi sottolinea il rischio di applicare determinate tecnologie al voto lo fa per paura della stessa tecnologia che utilizza per altre cose.

Il paragone viene fatto con i sistemi di pagamento e la prenotazione di voli e treni: ci siamo adattati alle tecnologie per questi servizi, perché non farlo col voto?

Gli errori logici di Casaleggio

La riflessione di Casaleggio è fallace per almeno tre motivi.

Primo, sono paragonati processi – e quindi rischi – diversi. La gestione del mio denaro e la prenotazione di un viaggio sono azioni che riguardano rapporti tra privati. Io e la banca, io e l’azienda di trasporto. Il voto e la partecipazione attengono al mio rapporto con la collettività. Le conseguenze di eventuali problemi tecnici o tecnologici possono avere conseguenze sulla mia persona. Posso accettare il rischio di un disservizio sulla prenotazione di un treno e sulla consultazione dell’estratto conto.

Non si può accettare alcun rischio aggiuntivo rispetto all’esercizio del voto. Non devo nemmeno essere messo nelle condizioni di poterlo accettare, perché le conseguenze degli eventuali “disservizi” ricadono sull’intera collettività.

Secondo: è falso dire che chi teme il voto elettronico lo faccia per paura della tecnologia. È vero l’esatto contrario. Sono esattamente gli esperti di tecnologia – per inciso Casaleggio non è un tecnico, è laureato in economia e commercio ed è un imprenditore – i più critici verso l’uso della tecnologia in questo campo. Proprio perché conoscono i limiti e i rischi sanno che il voto a distanza, soprattutto il voto in rete, è più pericoloso di quello cartaceo. I rischi di brogli, errori anche in buona fede, manipolazioni sono infinitamente più alti, come ho spiegato molte volte. Non è possibile, allo stato attuale della tecnologia, costruire un sistema di voto che sia sicuro in termini di certezza dell’espressione di voto, segretezza e verificabilità. Non si può proprio fare. La rete Internet è peraltro un’infrastruttura commerciale pensata con standard di sicurezza e affidabilità infinitamente inferiori a quelli che sarebbero necessari.

Il medium è determinante per la partecipazione

Terzo: la democrazia, la partecipazione alla vita pubblica, la politica sono attività che implicano relazioni sociali. È stato anche dimostrato, ma è facile intuire come sia falso che il medium sia uno strumento neutro in questo ambito, come sostiene Casaleggio. Lo abbiamo sperimentato tutti: la tecnologia negli ultimi anni ha profondamente mutato le nostre relazioni, la nostra vita sociale. È cambiato il modo in cui ci rapportiamo ai nostri amici, parenti, compagni, in cui troviamo partner sessuali, il modo in cui si formano le nostre idee.

Davide Casaleggio quando afferma che il medium quando si partecipa è un semplice strumento mente sapendo di mentire. Suo padre Gianroberto era il primo a sapere che tramite gli strumenti tecnologici si possa facilmente manipolare le opinioni e orientare il consenso. Lo ha sperimentato per anni quando dirigeva WebEgg, lo ha messo in pratica quando curava il Blog di Grillo e costruiva il movimento.

Lo sosteneva quando parlava, per esempio, delle piattaforme di voto che aveva studiato, come LiquidFeedback. Era troppo complicata, sosteneva, tanto che il Partito Pirata era fallito proprio per la scarsa semplicità dei suoi strumenti di partecipazione. Peraltro, lo stesso Davide Casaleggio ha spiegato nel suo libro “Tu sei Rete” come sia possibile manipolare il consenso tramite le reti sociali.

Per aumentare la partecipazione bisogna semplificare il processo e gli strumenti, a costo della qualità del dibattito e del prodotto culturale. Se aumenta la partecipazione ma scende la qualità, si è solo trovata nuova “manodopera” per il proprio partito. Nel caso del voto, abbassare la qualità equivale ad aumentare la probabilità di manipolazione. Il modo in cui sono formulate le domande, il posizionamento delle opzioni di voto, perfino l’interfaccia, i colori dei pulsanti, le dimensioni dei bottoni, il numero di verifiche richieste ha conseguenze sull’esito della scelta. Il medium, soprattutto nel caso del voto, è tutt’altro che uno strumento neutro.

Qualità e quantità

Peraltro, anche in termini di quantità non è vero che il voto elettronico diminuisca la propensione all’astensione. Lo dimostrano ricerche sull’esperienza Estone, ad esempio.

Insomma, digitalizzare un processo delicato come l’espressione del voto non migliora la qualità del prodotto culturale, politico e sociale né aumenta il numero di attivi nelle scelte. Aumenta solo i rischi di manipolazione del voto, errori e interferenze.

Tant’è che in alcuni paesi la votazione digitale è stata resa incostituzionale (in Germania) e alcuni Stati americani la stanno mettendo al bando.

Solo chi ha interessi commerciali nel settore sostiene che votare online sia bello, efficiente, migliore. Come Casaleggio.