Il comma Rousseau della #salvacasaleggio

Stiamo entrando nel vivo dell’analisi della legge Bonafede salva Casaleggio. Ne abbiamo parlato settimana scorsa per la prima volta. Poi ci ha risposto il ministro Di Maio. In seguito siamo tornati sul tema spiegando come la norma risolva il problema della natura dell’Associazione Rousseau e aiuti a tenere riservata l’identità dei suoi finanziatori.

Parliamo adesso del rapporto tra Movimento 5 Stelle e Associazione Rousseau.

Dobbiamo fare un salto indietro di un paio d’anni. Siamo nel 2016: Gianroberto Casaleggio, fondatore del Movimento 5 Stelle, è malato e ha pochi giorni di vita. Fino a quel momento, lo sviluppo della piattaforma Rousseau e l’amministrazione dei processi democratici del partito erano stati gestiti dalla sua azienda, Casaleggio Associati. La società non raccoglie direttamente fondi, anzi perde un sacco di soldi a causa degli oneri che derivano dall’amministrazione del partito.

Pochi giorni prima della morte del fondatore, lui e il figlio Davide fondano, davanti a un notaio, l’Associazione Rousseau.

Poche settimane dopo la morte di Casaleggio, Davide annuncia che tutte le attività passeranno da Casaleggio Associati a Rousseau e inizia a raccogliere soldi tramite il blog di Beppe Grillo. Attenzione: non per il Movimento ma per Rousseau.

Quando, nel 2017, viene riscritto lo Statuo del M5s, Luca Lanzalone scrive un articolo dedicato interamente a Rousseau che diventa l’unico soggetto titolato a gestire i processi democratici tramite l’omonima piattaforma. Il successivo regolamento impone ai parlamentari un contributo all’Associazione di trecento euro al mese.

Ma se qualcuno cambiasse idea?

C’è il rischio che la gestione Casaleggio non piaccia più. La piattaforma è tecnicamente inadeguata e pericolosa per la sicurezza dei dati in essa contenuta. Casaleggio, inoltre, coi fondi raccolti ha iniziato a promuovere iniziative non direttamente legate al partito né da esso mai deliberate. Qualcuno, nel Movimento, potrebbe mettere in discussione il ruolo di Rousseau e Casaleggio. Qualcuno potrebbe decidere di riportare la raccolta fondi in capo al partito, o fondare un altro soggetto che rivendichi il diritto di occuparsene oppure fare concorrenza a Rousseau. Nove milioni di euro a legislatura sono tanti.

Così, ecco il comma Rousseau: “…[una sola associazione]”. La norma prevede infatti che ciascun partito possa essere legato a una e una sola associazione e fondazione. Fine delle minacce a Casaleggio: sostituirlo è impossibile, per legge. Se qualcuno, nel gruppo parlamentare, pensava di poter cambiare gestione ora la legge glielo vieta, e non più solo lo Statuto del Movimento.

Luca Parnasi ha finanziato l’Associazione Rousseau?

Torniamo a parlare della salva Casaleggio. Breve riassunto: il ministro Bonafede ha presentato la legge anticorruzione che contiene alcuni commi cuciti addosso all’associazione Rousseau e a Davide Casaleggio. Queste norme, infatti, cristallizzando e legittimano per legge la singolare amministrazione del Movimento 5 Stelle, di fatto in mano proprio a Rousseau.

Di Maio, settimana scorsa, ha pubblicato un video in cui rispondeva alle nostre osservazioni, senza però affrontarne nemmeno una.

La prima riguarda la natura dell’Associazione Rousseau e la sua legittimità ad amministrare il partito e raccogliere soldi a suo nome da parlamentari e simpatizzanti.

Proprio la raccolta dei fondi riguarda un altro comma della legge: viene abbassato il limite per cui è necessario comunicare il donatore a questi soggetti (fondazioni e, ora, anche associazioni) da 5000 a 500 euro.

Apparentemente sembra una norma di trasparenza. In realtà da un lato consegna un vantaggio competitivo al Movimento e a Rousseau, visto che la maggior parte delle donazioni è inferiore a quella cifra a differenza dagli altri soggetti politici. Dall’altro mette al riparo lo stesso Casaleggio dalle domande indiscrete dei parlamentari, visto che oltre alla privacy ci sarà anche questa legislazione a proteggere l’identità dei donatori.

Attenzione però: in questo modo solo Davide Casaleggio (e i suoi dipendenti) potranno conoscere in effetti chi sostiene finanziariamente il Movimento. È un’informazione determinante per conoscere chi sono i portatori d’interessi del primo partito di governo ed è un’informazione che sarà nella sola disponibilità di un soggetto privato, non sottoposto a controllo democratico, che dispone di quei fondi del tutto autonomamente.

È chiaro che questa informazione rafforza enormemente, per legge, l’influenza di Casaleggio sul partito. Ad esempio, è l’unico a sapere se quelle decine e decine di “L.P.” tra i donatori a Rousseau siano o meno, facciamo un esempio di scuola, Luca Parnasi. Sarebbe interessante saperlo perché Parnasi è indagato insieme a Lanzalone per la vicenda dello Stadio della Roma, e Lanzalone è colui che ha scritto lo Statuo del Movimento.

Se questa lobby abbia o meno sostenuto finanziariamente il Movimento 5 Stelle tramite l’Associazione Rousseau lo sa solo Davide Casaleggio. Grazie alla legge salva Casaleggio sarà sempre così.

Rousseau legittimata per legge grazie alla #salvacasaleggio

La scorsa settimana ho scritto un articolo per spiegare come nella legge anticorruzione di Bonafede si nascondano delle norme salva Casaleggio. Il ministro Di Maio ha replicato con un video su Facebook con alcune bugie e nessuna spiegazione sugli aiuti all’Assocazione Rousseau e Davide Casaleggio previsti dal provvedimento. Il Movimento, però, ha pure rimandato di una settimana l’inizio della discussione in Aula.

Non tutto è chiaro tra i pentastellati: il motivo della reazione del ministro è la difficoltà crescente a spiegare il ruolo di Casaleggio e la sua legittimità di raccogliere e gestire in autonomia una marea di soldi, quasi nove milioni di euro a legislatura. Può farlo grazie a un articolo del nuovo Statuo del M5s, scritto lo scorso anno da Luca Lanzalone, che stabilisce la delega all’associazione Rousseau dell’amministrazione dei processi democratici del partito e, di conseguenza, nel regolamento viene prevista una quota per ogni eletto di 300€ al mese da conferire per lo scopo all’associazione di Casaleggio.

Questi soldi, più quelli raccolti tra i simpatizzanti, vengo utilizzati anche per altro, come ad esempio la Rousseau Open Academy, iniziativa di Casaleggio mai deliberata dagli organi del partito.

Tra i parlamentari, comprensibilmente, comincia ad esserci un po’ d’insofferenza: per quale motivo dev’essere proprio Davide Casaleggio tramite un’associazione privata? Perché non può farlo direttamente il partito, visto che peraltro il portale Rousseau è un colabrodo che mette a rischio i dati degli utenti?

È qui che interviene il primo punto della norma salva Casaleggio. L’articolo 9 della legge Bonafede dice che “sono equiparate ai partiti e movimenti politici le fondazioni, le associazioni e i comitati la composizione dei cui organi direttivi sia determinata in tutto o in parte da deliberazioni di partiti o movimenti politici ovvero che abbiano come scopo sociale l’elaborazione di politiche pubbliche”. Come Rousseau.

Viene legittimata per legge ed equiparata ad una fondazione politica l’associazione privata di Casaleggio, fondata insieme al padre mentre quest’ultimo era sul proprio letto di morte.

Viene legittimata per legge la successione dinastica dell’amministrazione del primo partito al governo dell’Italia.

Il primo passaggio cui ne seguiranno altri, come vedremo nei prossimi giorni, per blindare l’associazione Rousseau come amministratore del partito e mettere al riparo Casaleggio, e i soldi che raccoglie in nome e per conto del Movimento 5 Stelle, dai dubbi dei parlamentari.

#SalvaCasaleggio: Di Maio #sparaballe

C’è una notizia riguardo alla legge salva Casaleggio che il Movimento 5 Stelle chiama ironicamente spazza corrotti: la discussione è slittata a settimana prossima, mentre sarebbe dovuta iniziare oggi 12 novembre.

Evidentemente le nostre considerazioni hanno colto nel segno visto che lo stesso Di Maio ha sentito l’esigenza di replicare direttamente a me e Nicola Biondo, pur senza nominarci. Purtroppo, nel farlo, il ministro ha infilato una balla dietro l’altra che vale la pena sottolineare. Nei prossimi giorni, poi, approfondiremo più nel dettaglio in cosa questo provvedimento favorisce Davide Casaleggio e l’Associazione Rousseau.

Nella sua video replica (intorno al minuto 8) il ministro, curiosamente, afferma come prima cosa che la norma di Bonafede non aiuti in alcun modo Casaleggio Associati. Interessante, perché nessuno ha mai parlato dell’azienda di Casaleggio: a noi pareva di aver capito che non si occupasse più del Movimento 5 Stelle. C’è qualcosa che Di Maio sa e noi no?

Prosegue dicendo che dopo il nostro articolo sono addirittura andati a leggere la norma che avevano scritto (giuro, non è uno scherzo: dice proprio così), sottolineando come grazie a questa legge anche Rousseau dovrà rendicontare le spese “come però già ha fatto”. Noi, però, non abbiamo parlato di rendicontazioni, ma di altri problemi che vengono risolti a Casaleggio e Rousseau. Perché Di Maio non ne parla? Perché sono problemi che riguardano soprattutto la titolarità di Rousseau a raccogliere i soldi e l’impossibilità, se fosse approvata la legge, che qualcun altro anche all’interno del Movimento possa detronizzare l’erede del fondatore.

Il problema del ministro è interno, coi suoi: il suo potere si tiene a quello di Davide Casaleggio e Di Maio deve poter giustificare il motivo per cui, ad esempio, nessuno dal Movimento possa decidere la destinazione d’uso dei quasi 9 milioni di euro raccolti da Rousseau in una legislatura.

Il comma che Di Maio rivendica, quello che legittima Rousseau a lavorare per il Movimento, è proprio quella che blinda Casaleggio nel suo ruolo e il ministro lo sa bene.

L’aver fatto slittare l’inizio della discussione può voler dire che qualche domanda sul ruolo di Rousseau cominci a circolare, tra i parlamentari pentastellati: per questo, come contributo al dibattito interno, i prossimi giorni approfondiremo ciascuno dei quattro regali a Casaleggio raccontati settimana scorsa.

“Balle Mortali” di Roberto Burioni

Devo parlarvi del nuovo libro di Roberto Burioni. Il virologo dell’ospedale San Raffaele di Milano è noto per la sua opera di divulgazione scientifica iniziata su Facebook quasi per caso.

“Balle Mortali” è un saggio chiaro e rigoroso. È un libro necessario per almeno due motivi che spiegherò più avanti. Racconta una serie, per me straziante, di episodi in cui pazienti che invece di curarsi hanno seguito i profeti del pensiero magico, come lo definisce Piero Angela: santoni e truffatori che si approfittano della fragilità dei pazienti promettendo cure miracolose che, ovviamente, non funzionano mai. O altri che hanno rifiutato l’evidenza della trasmissione di determinate malattie, negandosi le precauzioni che la scienza consiglia e finendo per morire, quando avrebbero potuto vivere.

Ricorda, Burioni, due episodi che riguardano il nostro Paese: la vicenda Di Bella e quella Vannoni. Due casi spaventosamente gravi, che hanno coinvolto la pubblica amministrazione, piegata sotto la spinta dell’opinione pubblica vigliaccamente manipolata, al volere di truffatori che sono riusciti – e a volte ancora riescono – perfino a imporre cure inesistenti a carico del servizio sanitario nazionale.

Credo che questo libro, che segue “Il vaccino non è un’opinione” e “La congiura dei somari”, sia necessario, come dicevo, per due motivi. Primo, cerca di ricordare qual è il pericolo nel contrarre alcune malattie che oggi sono, erroneamente, considerate innocue. Non è certo piacevole ricordare il rischio di ammalarsi gravemente, ma è giusto che si conoscano i rischi che si corrono nell’ascoltare i ciarlatani.

Il secondo motivo attiene più in generale all’opera divulgativa di Burioni. Per qualche motivo per troppo tempo si è trascurata l’importanza della divulgazione scientifica fin dall’infanzia, si è arretrati lasciando terreno ai cialtroni interessanti a spremere soldi a pazienti fragili e spaventati. Può sembrare una sfida impari: dimostrare una verità complessa e spiacevole è chiaramente più difficile che inventarsene una semplice e confortevole. Però l’attenzione di ogni singola persona resta limitata e ogni minuto speso a educarsi è un minuto sottratto all’ignoranza.

Ogni lettore di Burioni è un lettore sottratto a Di Bella ospitato sul sito di Casaleggio LaFucina, fino a qualche anno fa.

Il bias cognitivo di Carlo Calenda

Sabato scorso Carlo Calenda, ex ministro dello Sviluppo Economico, è incappato in un incidente social sul tema dei videogiochi.

In sintesi, ha fatto sapere che in casa sua i “giochi elettronici” non entrano perché sono “una delle cause dell’incapacità di leggere, giocare e sviluppare il ragionamento“. Vi suggerisco caldamente di leggere, in merito, l’articolo di Nicolò Carboni che, tra le altre cose, ricorda che la percezione di Calenda sia stata smentita ormai da decenni. Al contrario, “spesso il gaming permette la comprensione e la costruzione di rapporti personali complessi, oltre all’allenamento delle funzioni logiche inconsce e superiori. Insomma, si potrebbero passare ore a smentire Calenda citando paper, studi, ricerche, videogiochi più o meno educativi”.

Tralasciando il fatto che Calenda squalifichi il suo passato lavoro di ministro dello Sviluppo, dimostrando di non conoscere uno dei settori industriali più importanti della nostra epoca, soprattutto cade in uno dei bias cognitivi che, da mesi e giustamente, denuncia come causa di buona parte dei problemi della nostra epoca.

Il bias di Calenda è quello esperienziale: si è formato un’opinione su un tema incredibilmente complesso sulla base della propria esperienza – verosimilmente datata – e a quella dei suoi più stretti conoscenti. Peggio ancora, cerca di rafforzare pubblicamente la sua tesi tramite commenti generici di sconosciuti su Twitter.

Confonde l’intero settore dell’industria videoludica con le sue (rare) degenerazioni, di cui peraltro l’industria stessa è a conoscenza tanto che ormai è prassi che i produttori limitino autonomamente il numero di ore giocabili. È come se avesse sostenuto che in casa sua il Chianti non entra perché il vino è una delle cause principali dell’alcolismo. O che sfrecciare con una Maserati a 200 all’ora sulla provinciale è rischioso quanto girare in pista con una 500.

È interessante, e preoccupante, che capiti proprio a Calenda perché, come dicevo, sul problema dell’analfabetismo funzionale e i bias cognitivi ha costruito buona parte della sua “narrazione” recente e parte dell’analisi e delle tesi del suo libro, Orizzonti Selvaggi.

L’infortunio di Calenda ci segnala, pure, quanto sia facile e pericoloso trovare la propria “social comfort zone“: l’effetto Dunning-Kruger evidentemente, si applica anche all’utilizzo dei social. Quando pensi di padroneggiare il mezzo e di capire l’umore del tuo pubblico è il momento di stare più attenti perché sei, probabilmente, nel picco della curva.

Sarà interessante capire se Calenda tornerà sul tema dopo essersi documentato, magari scusandosi per la baggianata, o se dobbiamo rassegnarci tutti a convivere coi nostri limiti e soprattutto con quelli di coloro che si propongono di aiutarci a superarli.

Davide Casaleggio e la balla sulla Rousseau Open Academy

Se c’è un tratto della personalità che Davide Casaleggio condivide col defunto padre Gianroberto è un imbarazzante complesso d’inferiorità. Dello stesso tipo che ha portato Rocco Casalino e il premier Conte, per intenderci, a gonfiare i propri curricula.

È un vizietto abbastanza diffuso, ma in questo caso c’è una curiosa novità: il curriculum gonfiato non è quello di una persona ma quello di un’associazione: Rousseau.

L’Associazione Rousseau è stata fondata da Davide e Gianroberto Casaleggio pochi giorni prima della morte di quest’ultimo. Davide, in seguito, vi ha fatto confluire tutte le attività legate al Movimento 5 Stelle che prima erano in capo alla sua azienda, Casaleggio Associati. In base al nuovo statuto del partito, scritto nel 2017 da Luca Lanzalone, Casaleggio può raccogliere donazioni per la sua associazione dai simpatizzanti del Movimento e dagli stessi parlamentari che, da regolamento, sono tenuti a contribuire con 300 euro al mese. In cinque anni sono circa 9 milioni di euro. Con questi soldi, Casaleggio dovrebbe sviluppare l’omonima piattaforma di voto e partecipazione, quella ciofeca (copyright Nicola Biondo) che viene sfondata ogni sei mesi, e gestire il Blog delle Stelle.

Oltre a questo, però, Casaleggio svolge altre attività: di recente, del tutto autonomamente e senza che ci fosse una specifica delibera del partito, è stata avviata la cosiddetta “Rousseau Open Academy“. A differenza della piattaforma Rousseau, questa iniziativa non è direttamente collegata al Movimento e il suo sito non è ospitato sul dominio movimento5stelle.it.

Cosa debba essere questa “Academy” non è chiarissimo. Il sito contiene alcuni “corsi” sostenuti da parlamentari del Movimento, alcuni video promozionali e, soprattutto, un passaggio molto particolare nella pagina “Il progetto ROA” di cui metto il link all’archivio, in caso dovessero modificarne il contenuto.

La frase è la seguente: “Abbiamo già aderito a un manifesto sulla cittadinanza digitale, promosso da importanti realtà accademiche – come l’MIT e l’Università di San Paolo del  Brasile”.

È una balla. Una balla che Casaleggio ripete spesso, l’ultima volta a Italia 5 Stelle. Sui siti di queste Università non c’è alcuna traccia di questo manifesto. L’unica cosa che si trova in Rete è un sito di scarsissima qualità, che non riporta i loghi delle università e non sostiene che queste supportino il manifesto.

Sul sito, e sui documenti PDF, anch’essi senza logo né intestazione, non compare alcun riferimento a questi istituti, se non nei rispettivi titoli dei firmatari. Quello del MIT, peraltro, tal Cosimo Accoto, è un Research Affiliate, non organico all’Università né da essa stipendiato.

Quanto ci metteranno i parlamentari e i simpatizzanti del Movimento a capire che forse c’è qualcosa da chiarire nel modo in cui Casaleggio, del tutto autonomamente e senza precise indicazioni, gestisce i loro soldi?

Bonafede e la legge Polaroid salva Casaleggio

Fate attenzione, le prossime settimane, al dibattito sulla legge anticorruzione perché ci sarà di che discutere.

La scorsa settimana Salvini ha fatto sapere che non gli piace l’articolo sul finanziamento ai partiti, il numero nove. Ciò che succederà potrebbe dire molto più di quanto sembri sullo stato di salute dell’accordo di governo.

Ho già spiegato perché, secondo me, la legislatura arriverà a scadenza naturale nel 2023. Questo non vuol dire che, nel corso di questi anni, non ci possano essere scontri su singoli provvedimenti o, come in questo caso, pretesti per lanciare messaggi che capiamo in tre o quattro, ma ora anche voi lettori.

Cosa dice l’articolo 9 della legge anticorruzione? Forse qualcuno tra di voi ricorderà la legge Mammì che regolamentò il settore radiotelevisivo: quella norma fu chiamata “legge Polaroid” perché invece di regolamentare un settore dominato, nel privato, da Fininvest fotografò lo status quo dell’epoca rendendo legale, per i decenni a venire, il duopolio televisivo che ha drogato il settore in Italia fino a pochi anni fa.

Come fa correttamente notare Nicola Biondo, siamo nella stessa situazione: la legge “spazza corrotti”, come l’hanno chiamata, rende di fatto legittima il sistema Casaleggio, che controlla di fatto il partito grazie allo Statuto del M5s scritto da Luca Lanzalone. Davide Casaleggio, tramite l’Associazione Rousseau, raccoglie milioni di euro dai parlamentari e dagli attivisti del Movimento per sviluppare la piattaforma Rousseau, ma pure per organizzare sue iniziative, di cui abbiamo parlato pochi giorni fa, mai deliberate dal partito.

Il modo con cui Casaleggio amministra l’associazione Rousseau è problematico: non a tutti, tra i parlamentari, è chiaro a quale titolo Casaleggio si occupi dei loro processi democratici e, soprattutto, di gestire tutti quei denari. La legge nulla dice sulla necessità di svelare l’identità dei donatori, così “per ragioni di privacy”, vengono tenuti nascosti. Insomma, c’è il rischio che qualcuno nel Movimento si metta a questionare il ruolo dell’Erede o pensi di creare strutture parallele. È qui che, in soccorso di Casaleggio e Rousseau, arriva il ministro Bonafede:

  1. “sono equiparate ai partiti e movimenti politici le fondazioni, le associazioni e i comitati la composizione dei cui organi direttivi sia determinata in tutto o in parte da deliberazioni di partiti o movimenti politici ovvero che abbiano come scopo sociale l’elaborazione di politiche pubbliche”, come Rousseau, presente nello Statuto del M5s;
  2. l’identità dei donatori sarà tutelata per versamenti fino a 500 euro invece di 5000, salvi i supporter del Movimento che per la maggior parte versano somme inferiori a quella cifra;
  3. comma Rousseau: “Un partito o movimento politico può essere collegato ad una sola fondazione o ad una associazione“, blindata Rousseau;
  4. comma Casaleggio: “I partiti o movimenti politici e le fondazioni, associazioni o comitati ad essi collegati devono garantire la separazione e la reciproca indipendenza tra le strutture direttive”, blindato Casaleggio.

Ecco la nuova legge Polaroid salva Casaleggio che tenta di fotografare e cristallizzare il Sistema Casaleggio. Una norma che, con la scusa di regolamentare il finanziamento ai partiti, legittima una costruzione immaginata dal padre Gianroberto e divenuta reale sotto il regno del figlio Davide, portatore di interessi e di un’agenda sempre più predominante rispetto alla linea politica decisa dai gruppi parlamentari.

Gregorio De Falco e la merda nel ventilatore

È partita la macchina del fango a danno del senatore Gregorio De Falco. Èd è fuoco amico, che parte da un cecchino molto vicino a Di Maio e Davide Casaleggio.

Quando Gianroberto Casaleggio amministrava il Blog di Beppe Grillo, se un eletto del M5s cominciava a dare “segni di cedimento” mettendo a rischio “la testuggine romana”, per usare le parole di Luigi Di Maio, la reazione era tanto semplice quanto spietata. Si scriveva un post, o più spesso un PS, per insultare o dileggiare l’interessata o l’interessato. Accadde con Federica Salsi, rea di aver partecipato a una trasmissione televisiva (!); accadde a Valentino Tavolazzi, accusato di voler organizzare una riunione (!); accadde, molto rumorosamente, a Giovanni Favia reo di aver parlato male del capo con un giornalista (!).

In particolare con Favia fu sperimentata una tecnica a quel tempo “innovativa”: fu fatto scrivere da un giornalista tirapiedi un articolo, poi pubblicato sul Blog, in cui s’insinuava che il fuori onda durante il quale Favia commentava l’operato di Casaleggio fosse concordato. Circostanza del tutto falsa, ma il messaggio passò nella comunità del Blog ed espellere Favia, settimane dopo, fu, per i garanti, molto più semplice di quanto potesse sembrare inizialmente.

Che si fa oggi quando un parlamentare del M5s mette a rischio la credibilità del capo? Cosa succede se il Senatore De Falco, scelto personalmente da Luigi Di Maio dà segni d’insofferenza e si permette di criticare la linea del governo?

De Falco ha di recente espresso contrarietà ad alcune norme del decreto sicurezza, lamentandosi della richiesta di ritirare gli emendamenti, annunciando voto contrario a meno che non sia posta la questione di fiducia. Per intenderci: non vuole mettere in crisi il governo, ma non è disposto a rinunciare alle sue prerogative di senatore. Ho già espresso la mia opinione in merito ai nuovi “dissidenti“, non mi ripeterò qui, ma potete leggere l’articolo della scorsa settimana.

Ma qualcosa è successo, nel sottobosco della comunicazione parallela legata, in maniera più o meno evidente e più o meno stretta, a Di Maio e al Sistema Casaleggio. È apparso un articolo sul sito Silenzi e Falsità del tutto simile, per struttura e contenuti, a quello che fu pubblicato per la character assassination di Giovanni Favia. Si ricorda il passato pubblico di De Falco (“…salga a bordo, cazzo!”) sostenendo che fosse una recita. Lo si accusa di essere un infiltrato di Repubblica. Insomma, lo si addita come sabotatore. Qual è il fatto interessante? Che il sito Silenzi e Falsità è di proprietà di Marcello Dettori, fratello di Pietro il quale è consigliere di Di Maio e socio di Davide Casaleggio nell’Associazione Rousseau.

Un pezzo di Sistema che si muove tempestivamente, probabilmente senza nemmeno necessità di coordinamento. Come le formiche descritte da Davide Casaleggio nel suo libro Tu Sei Rete.

Grazie a Lucio Di Gaetano per la segnalazione.

M5s: le grandi opere si faranno tutte

Sono abbastanza convinto che le grandi opere, col Movimento 5 Stelle, si faranno tutte. TAP, MUOS, TAV, Brennero. Me ne sono convinto soprattutto dopo la gestione del dossier sul gasdotto, approvato settimana scorsa dal Governo Conte: quella vicenda è illuminante sotto molti aspetti.

Se avete la pazienza di seguirmi, bisogna partire dall’idea che Gianroberto Casaleggio aveva del Movimento: come abbiamo spiegato in Supernova io e Nicola Biondo, Casaleggio intendeva federare le realtà locali già esistenti, sia le esperienze politiche, le liste civiche, che quelle dei comitati di protesta. Pochi lo ricordano, ma per la versione “beta” del Movimento il Blog di Grillo invitava liste locali anche già formate, non necessariamente con la faccia di Grillo nel contrassegno, a inviare la documentazione (programma, casellari giudiziari dei candidati) per ottenere la bollinatura ed essere sponsorizzate dal Blog. Il progetto fu abbandonato quasi subito a causa dei conflitti, inevitabili, tra le liste già esistenti e quelle formate dai MeetUp, che pretendevano un diritto di prelazione.

Sul fronte dei comitati, invece, la speranza di Roberto era la contaminazione: avrebbe voluto che le liste civiche fossero formate dagli stessi leader dei movimenti di protesta, non diventare i nuovi referenti politici. La motivazione è piuttosto scontata: se fossero stati parte integrante del Movimento non ci sarebbe stato il rischio che, per qualche motivo, ce li si ritrovasse contro prima o poi. Casaleggio voleva fornire una piattaforma comune che ciascuna realtà potesse utilizzare per veicolare la propria battaglia, inglobando nella sua creatura il consenso che i NoTav, no Muos, no Mose, no Tap avevano già faticosamente raccolto. Questo concetto venne ingenuamente spiegato da Roberta Lombardi nella celeberrima diretta con Bersani: “siamo noi le parti sociali“. Come alcuni candidati raccontarono, in quei primi anni si tenevano in Casaleggio Associati alcuni incontri preparatori alla campagna elettorale durante i quali Davide Casaleggio invitava a non considerare alleanze con i Verdi perché “siamo noi i Verdi“.

In alcuni casi questa operazione è in parte riuscita: in Piemonte, ad esempio, molti degli eletti locali e nazionali arrivano dall’esperienza No Tav. La saldatura, però, è in generale fallita e l’attuale dirigenza, quella che ha scalato il Movimento, non viene da nessuna di queste realtà ed esperienze. Di Maio, Toninelli, Lezzi non erano attivisti di alcuna di queste proteste; il M5s è diventato ciò che Gianroberto voleva evitare: solo l’ennesimo referente politico al quale possono essere voltate le spalle nel momento in cui non mantiene le promesse.

L’approvazione del gasdotto TAP dimostra benissimo quanto spiegato e ci aiuta a capire cosa succederà in futuro: lo schema è semplicemente replicabile. Si avvia una verifica costi-benefici della promessa, si appura che l’opera non si può fermare per i costi elevati, il presidente del Consiglio, sconosciuto prima del voto, non vincolato da un incarico elettivo, si assume la responsabilità della scelta. Ai Di Maio, Toninelli, Lezzi non importa nulla della Val Susa, del Salento, del Brennero o della concessione ai Benetton: sono ben felici di rivendicare i meriti delle battaglie combattute da altri quanto di allontanare da sé la responsabilità delle promesse tradite.

Bene fa il comitato anti Muos a preoccuparsi: nella maggior parte dei casi le grandi opere sono inserite in contesti molto più grandi e complessi dei piccoli interessi elettorali di un ministro o un parlamentare, come spiega ad esempio Nicolò Carboni sulla vicenda TAP.

Accadrà di nuovo, per ogni singolo dossier aperto.