Il voto su Rousseau: fake news su proprietà e sicurezza

Il 31 agosto 2019, prima del voto sul governo M5s-PD, Casaleggio pubblica sul sito dell’Associazione Rousseau – il Blog delle Stelle – quelle che chiama 10 “fake news” da sfatare sulla sua piattaforma. In questo articolo analizziamo i primi due punti che riguardano la proprietà di Rousseau e la sua sicurezza.

Sono, in tutto o in parte, balle. Vale la pena preparare una serie di articoli che torneranno certamente utili al prossimo voto.

La proprietà

Scrive Casaleggio: “La piattaforma Rousseau è gestita da un’azienda privata, la Casaleggio Associati Srl. FAKE NEWS”.

Sì, la piattaforma Rousseau è gestita da un soggetto privato. Prima era Casaleggio Associati, dal 2016 è l’Associazione Rousseau. L’Associazione è stata fondata, in circostanze singolari, da Gianroberto e Davide Casaleggio. Il primo sarebbe morto quattro giorni dopo. I due sono anche i fondatori di Casaleggio Associati. Rousseau viene fondata come spin-off di Casaleggio Associati, per salvare l’azienda dagli elevati costi del progetto. Ai fini fiscali, Rousseau è considerata un ente commerciale che vende i suoi servizi ai parlamentari del Movimento 5 Stelle, grazie allo Statuto del partito scritto da Luca Lanzalone.

Davide Casaleggio assomma tutte le cariche sociali di Rousseau e la gestisce come se fosse la tesoreria del partito. Rousseau è in realtà, come spiegato, uno spin-off di Casaleggio Associati tramite il quale Casaleggio si fa finanziare il suo progetto con soldi di provenienza pubblica.

La sicurezza

Al punto due di quel divertente articolo, si legge: “Il voto per il Progetto di Governo non è sicuro. La piattaforma su cui si voterà è stata multata dal Garante della privacy . FAKE NEWS”

Sulla sicurezza ci sarebbe davvero molto da dire. Bisogna partire dall’assunto che il sistema informatico sicuro non esiste.

Per quanto riguarda l’infrastruttura, ci sono stati dei miglioramenti, avendo Casaleggio deciso di affidarsi a un’azienda specializzata. Sul codice invece non sappiamo nulla. Zero.

Casaleggio non ha mai rilasciato i sorgenti, quindi non sappiamo come siano calcolate le preferenze, se ci siano errori, se siano tracciati e profilati gli utenti. Sicuramente il voto, in queste condizioni, è ancora da considerarsi manipolabile.

Si dice pure che questa piattaforma è diversa rispetto a quella multata dal Garante della Privacy, ma non c’è modo, per ora, di tenere tracciati gli aggiornamenti. Anche quelli annunciati, però, non sono sufficienti per considerare affidabile il sistema. Il Garante ha già sottolineato come siano irrilevanti rispetto ai limiti tecnici e manageriali scoperti durante le loro ispezioni. Lo hanno detto esplicitamente in un comunicato il 5 aprile 2019.

Va inoltre ricordato che Rousseau e Casaleggio non hanno impugnato l’esito dell’istruttoria che ha portato alle multe: erano state violate regole, prassi, leggi.

Su proprietà e sicurezza di Rousseau, a mio avviso, si dovrebbero fare molti più approfondimenti con strumenti più simili a quelli delle procure che a quelli dei giornalisti.

Il mio panel con Nicola Biondo al Wired Next Fest 2019

Sabato sono stato al Wired Next Fest insieme a Nicola Biondo. Io e Nicola dal 2016 raccontiamo il Movimento 5 Stelle come nessun altro può farlo. Siamo stati ai vertici del partito quando è nato e quando è arrivato in Parlamento. La nostra storia l’abbiamo raccontata in Supernova, mentre il Sistema Casaleggio racconta il sistema di potere che Davide Casaleggio ha ereditato da suo padre dopo la morte di Gianroberto Casaleggio. Di questo abbiamo parlato durante il panel.

Il vincolo di mandato

Una delle balle più clamorose che il Movimento 5 Stelle va ripetendo è che l’introduzione del vincolo di mandato sia sempre stato un loro cavallo di battaglia.

In realtà la genesi di questa – pericolosa – norma è piuttosto singolare. Non ha niente a che fare con una particolare riflessione sulle istituzioni, sull’onorabilità del Parlamento, nemmeno con la democrazia diretta che il Movimento vorrebbe introdurre.

A dire il vero, non ha niente a che fare nemmeno con gli esponenti del Movimento. Non è una riflessione scaturita durante le assemblee, le riunioni, le riflessioni, la vita parlamentare.

A volere il vincolo di mandato fu Gianroberto Casaleggio nel 2013, per gestire un gruppo parlamentare completamente allo sbando, quello formatosi dopo il voto di quell’anno. La prima volta che si parla concretamente di un vincolo è con il regolamento per gli europarlamentari eletti al voto del 2014. Casaleggio voleva un modo per costringere gli eletti a seguire le sue istruzioni. Non era persona da gradire il dialogo, scendeva poco a Roma, non aveva voglia o pazienza di convincere, mediare, discutere. Costrinse i candidati a impegnarsi a versare 150.000 euro in caso avessero abbandonato il Movimento 5 stelle dopo essere stati eletti.

Introdusse questo vincolo anche per il voto al comune di Roma e, ovviamente, per quello politico del 2017.

In realtà, una simile clausola è totalmente inapplicabile. Ci aveva provato pure con Italia dei Valori, ma nessuno è mai riuscito a riscuotere queste multe in virtù dell’articolo 67 della Costituzione, che tutela la libertà degli eletti che rispondono solo agli elettori e alla propria coscienza. Casaleggio lo sapeva: quando Nicola Biondo, all’epoca capo dell’ufficio comunicazione alla Camera, glielo fece notare la risposta fu: “Lo so: basta che lo credano”.

Quando Casaleggio era contro il vincolo di mandato

Non è finita qui. Fino al 2013 Casaleggio era stato un sostenitore dell’articolo 67 della Costituzione, che vieta il vincolo di mandato. Ci sono numerose testimonianze di ciò. Com’è noto, e come abbiamo raccontato in Supernova, Gianroberto Casaleggio è stato il ghostwriter di Beppe Grillo fin dal 2005 quando insieme aprirono il Blog.

Nei vecchi post si possono trovare numerosi esempi di quando quella norma era usata per argomentare contro i parlamentari brutti e cattivi che obbedivano al capo. Quando Gianfranco Fini non si dimise da presidente della Camera. O nel comunicato politico numero quarantacinque, dove si dice che i parlamentari del Movimento risponderanno ai cittadini e alla propria coscienza, e non al partito.

Salvo poi cambiare idea quando al partito, cioè a lui, non questi non obbedivano. E allora l’articolo 67 diventa quella norma che permette agli eletti di “fare il cazzo che gli pare”.

I parlamentari del Movimento, quindi, vogliono una norma pensata per evitare che loro stessi possano svolgere le mansioni per cui sono pagati.

Perché i senatori ce l’hanno con Di Maio

Ieri la stampa riportava le cronache marziane dall’assemblea dei senatori del Movimento 5 Stelle. I senatori, pare, ce l’hanno con Di Maio.

Ciclicamente capita che ci siano mugugni nei gruppi parlamentari e che i giornalisti subito parlino di scissione imminente, dissidenti, scontri fratricidi. Io credo che si possa e si debba guardare ai fatti con le giuste proporzioni, ricordando sempre la stella polare: nessuno farà nulla che possa mettere a rischio la legislatura. A settembre 2022 i parlamentari di prima nomina, numerosissimi in parlamento (60%) e soprattutto nel Movimento, matureranno il diritto alla pensione. Come avevo previsto, la crisi di governo non ha portato a elezioni, ma si sono formate nuove maggioranze: dovesse fallire anche il Conte 2, si troveranno nuove geometrie.

Vero è che nel Partito Democratico ci sono state maggiori conseguenze: Renzi e i suoi hanno creato nuovi gruppi, autonomi rispetto al PD. Capisco che ci sia la tentazione di applicare le stesse logiche anche al Movimento, ma la geografia politica e le dinamiche del partito di Casaleggio sono completamente diverse.

L’organizzazione di Rousseau

Anzitutto bisogna sottolineare un fatto: il know how organizzativo, i dati, la memoria storica, la capacità di gestire il fiume di soldi che deriva dall’essere in parlamento risiede nell’Associazione Rousseau. Non c’è nessuno, nel Movimento, che abbia le capacità necessarie a formare un proprio partito. Se mai ci sarà una scissione, chi si allontana è destinato all’oblio. Anche soltanto per contattare i sostenitori, tutti devono passare da Casaleggio. Al contrario, Renzi da sempre coltiva la propria base indipendentemente dagli organi di partito, cominciando dalla sua newsletter. Da oltre 10 anni, l’ex primo ministro invia ogni settimana una mail ai propri sostenitori. In dieci anni ha raccolto chissà quante decine di migliaia di contatti di cui dispone direttamente, personalmente.

Nel Movimento, questo lavoro l’ha svolto Casaleggio Associati prima e Rousseau poi. Formalmente i dati sono dell’Associazione Movimento 5 Stelle, ma nessuno ha le capacità tecniche di gestire la macchina indipendentemente dal personale di Casaleggio.

Parlamentari, Consiglieri e fan

Bisogna poi distinguere i diversi gruppi all’interno del Movimento. Non in base alla fedeltà verso Di Maio, Casaleggio, Grillo ma secondo il trascorso politico e le prospettive. Ci sono i parlamentari di seconda nomina, quelli eletti per la prima volta nel 2013. La maggior parte di loro è sottosegretario, ministro, viceministro, presidente di commissione, capogruppo. Oppure lo è stato nel governo con la Lega. Insomma, più o meno tutti sono stati premiati con un incarico. Alcuni hanno scelto di non ricandidarsi, come Alessandro Di Battista, facendo probabilmente un calcolo sbagliato, visto che l’ultima cosa che si aspettava era un governo col Partito Democratico. Questi parlamentari non potranno essere rieletti nel caso la legislatura duri fino alla fine, ma non hanno neanche la garanzia che possa valere per tutti la deroga su cui Di Maio può contare alla regola dei due mandati (quella che vieta più di due mandati parlamentari).

Ci sono i parlamentari di prima nomina, eletti nel 2018. Rispetto ai loro compagni politicamente più anziani, hanno avuto il vantaggio di essere guidati dentro il palazzo. Sanno che al prossimo giro potranno anche loro accedere alle cariche più prestigiose nelle commissioni o, chissà, di nuovo al governo se dovessero farne parte anche alla prossima legislatura. A questo gruppo di persone non spaventa il voto. Tra questi, peraltro, c’è una piccola pattuglia di persone selezionate direttamente da Luigi Di Maio per fare da pontieri verso gli altri soggetti politici. Il Senatore Paragone verso la Lega, e sarebbe dovuto diventare presidente della commissione d’inchiesta sulle banche, ora saltata. Spadafora, verso il Partito Democratico, adesso ministro. Emilio Carelli, ex uomo-Mediaset verso la destra più moderata.

Un altro gruppo è quello dei consiglieri comunali e regionali: sono i beneficiari del famoso “mandato zero”. Potranno candidarsi al parlamento anche se hanno fatto due mandati nelle istituzioni locali. Inoltre, c’è una batteria di fan, per lo più assistenti parlamentari e dei consiglieri regionali, che aspettano la prima occasione utile per diventare loro stessi onorevoli o consiglieri.

Chi sono i senatori che ce l’hanno con Di Maio

Non sappiamo (ancora) chi abbia sottoscritto il documento di cui si parla e il cui contenuto è peraltro ignoto, ma secondo me la maggior parte dei parlamentari fanno parte del primo gruppo. Il motivo è abbastanza semplice da intuire. Più avanza la legislatura più è chiaro chi avrà un futuro politico: Di Maio e il suo strettissimo giro di tirapiedi. In qualche modo ci sarà la possibilità per un gruppo di persone di continuare l’attività politica. Le opzioni sono tante, ma se guardiamo quanto accade a livello locale, la svolta più probabile è che si costituiscano liste “civiche” per non “disperdere l’esperienza maturata” nei dieci anni di Parlamento, costituita da Di Maio, aperta solo ai suoi stretti collaboratori, con la benedizione di Casaleggio (che magari potrebbe sperimentare il subaffitto di Rousseau a un’altra realtà oltre al Movimento).

Chi sente di poter essere fuori, teme per il proprio futuro. Michele Giarrusso, per esempio, non sembra tipo che il “moderato” Di Maio possa portarsi dietro, così come Gianluigi Paragone, che peraltro, in base al codice di comportamento, dovrebbe subire l’allontanamento dal Movimento, non avendo votato la fiducia.

Casaleggio non teme affatto una scissione né vede con preoccupazione il fatto che ci siano parlamentari che lasciano il Movimento per altri lidi. Ci sono centinaia, migliaia di persone in attesa del proprio giro di giostra, disposti a noleggiare un seggio parlamentare per trecento euro al mese.

Il governo fa bene a Casaleggio Associati

Abbiamo visto come Davide Casaleggio abbia costruito un sistema di relazioni, soggetti giuridici, eventi, associazioni che gli permettono di essere determinante su molti tavoli. Di pochi giorni fa la notizia dei contatti con Massimo D’Alema in relazione alla formazione del governo e alla nomina del ministro della Sanità. Sappiamo che l’azienda di famiglia, Casaleggio Associati, ha sempre avuto rapporti molto stretti con la politica, fin dai tempi del secondo governo Prodi quando il cliente principale, Italia dei Valori, pompava soldi nelle casse della srl.

Ma quanto conta la politica e quanto conta, per Casaleggio Associati, “stare” al governo?

Basta dare una veloce occhiata ai bilanci.

I conti dell’azienda: fatturato e utili di Casaleggio Associati

Quello che segue è l’andamento dell’utile / fatturato dal 2006 al 2018 tratto da Il Sistema Casaleggio:

2006: 660.000 / 2.8M
2007: 615.000 / 2.7M
2008: 310.000 / 1.8M
2009: 119.000 / 1.63M
2010: 87.000 / 1.67M
2011: -57.800 / 1.4M
2012: 68.000 / 1.3M
2013: 255.000 / 2.1M
2014: -152.000 / 1.5M
2015: -123.000 / 1.1M
2016: -48.000 / 0.975M
2017: 20.480 / 1.17M
2018: 181.473 / 2.05M

Tra il 2006 e il 2007, quando Di Pietro è al governo, gli utili sono sempre oltre il mezzo milione di euro. Il 2008 e 2009 sono anni elettorali (politiche, parlamento europeo), l’utile è sempre molto alto. Dal 2010 inizia il declino. Calano gli utili, si va in rosso nel 2011: è nato il Movimento 5 Stelle mentre Italia dei Valori rescinde il contratto. Nel 2012 e 2013 ancora elezioni: regionali e politiche. Il 2013 è l’anno in cui il M5s entra in Parlamento. Gli utili schizzano a 255.000 euro e il fatturato supera i due milioni. La macchina di propaganda, però, diventa costosa. Il Movimento non è un cliente ma una propaggine dell’azienda, che si fa carico delle spese. Profondo rosso tra il 2014 e il 2016, con fatturato in picchiata. Nel 2016 muore Gianroberto, Davide prende in mano i conti e sposta i costi su Rousseau. Casaleggio Associati torna in utile nel 2017 e nel 2018, col Movimento al governo, raddoppia il fatturato e quasi decuplica l’utile.

 

D’Alema e il “patto dei soldi” col Sistema Casaleggio

Lo scorso 20 settembre La Stampa pubblica un articolo a firma Ilario Lombardo molto interessante. Racconta i contatti tra Davide Casaleggio e Massimo D’Alema. Un “patto dei soldi” che D’Alema sigla col Sistema Casaleggio che culmina nella nomina del ministro della Salute Speranza. L’Erede, ancora una volta, marca la differenza col padre nella gestione del partito e delle relazioni mettendo al primo posto il (proprio) business.

Parlo di “patto dei soldi”, tra virgolette, non perché ci sia stato un passaggio di denaro tra i due. Tutto, però, ruota intorno a Consulcesi, azienda con interessi molto diverso. Il presidente Massimo Tortorella è in ottimi rapporti sia con D’Alema che con Casaleggio. Di quest’ultimo è anche sponsor. Attenzione, non un finanziatore dell’Associazione Rousseau, ma sponsor di Casaleggio Associati, l’azienda di famiglia di Davide.

Se il governo con la Lega era stato costruito da Gianroberto Casaleggio con anni di ammiccamenti propagandistici, quello di Davide col PD si sta edificando su ben più solide fondamenta: soldi, relazioni, traffico d’influenze che prima o poi qualcuno dovrà verificare se siano lecite o meno. La nuova passa dai soldi, dal business. Le relazioni sono costruite in funzione di quello, la politica cementa i rapporti e porta nuovi contatti.

L’intermediario

Del resto chi ha già letto “Il sistema Casaleggio” che ho scritto insieme a Nicola Biondo, Consulcesi la conosceva già.

Ho descritto il giocattolo di Casaleggio ancora una volta solo pochi giorni fa. Spiegavo che un imprenditore che volesse intrattenere rapporti con la politica, in particolare col Movimento 5 Stelle, non avrebbe bisogno di fare donazioni al partito, che per statuto le rifiuta. Non avrebbe neppure bisogno di farne all’Associazione Rousseau, che poi l’ammontare deve fastidiosamente diventare pubblico. Potrebbe, però, sponsorizzare Casaleggio Associati, proprio come fa Consulcesi Tech.

Se pensassimo male, ma com’è noto noi non lo facciamo, e la ricostruzione di Lombardo fosse confermata potrebbe essere sintetizzata così: un imprenditore con interessi nel settore della sanità e delle tecnologie blockchain si adopera per mettere in contatto i suoi amici politici per nominare insieme il ministro del suo settore d’interesse, la Salute. I due rispondono solleciti al suggerimento del comune amico. Chissà se questa sollecitudine dipende dal fatto che uno ha ricevuto inviti a convegni, presentazioni, docenze all’università in cui è direttore dell’Osservatorio Blockchain Massimo Tortorella- la Link, l’altro sponsorizzazioni per i rapporti prodotti dall’azienda che ha fondato il partito di governo dall’azienda di cui Tortorella è CEO. Forse questo è davvero il primo “patto dei soldi” del Sistema Casaleggio.

Qualcuno sa dirmi se questa situazione si possa paragonare alla vicenda della fondazione Open?

Rousseau diventa open source? No. E la privacy…

Il 19 settembre compare sul Blog delle Stelle un post (preceduto da un’intervista sul Fatto di Enrica Sabatini) in cui l’Associazione di Casaleggio invita “gli sviluppatori” a contribuire a Rousseau. Bello, finalmente rendono disponibile il codice, la piattaforma diventa Open Source! Così dice la Sabatini al Fatto, ma è – come spesso accade quando si tratta dei casaleggesi – di una balla.

Il post è un minestrone di termini tecnici o in inglese buttati lì un po’ a casaccio per impressionare. In realtà è un semplice annuncio di lavoro, peraltro molto italiano.

Non si fa cenno alla fascia di stipendio, si elencano una serie di tecnologie che “si stanno valutando” per sviluppare “le App” in “crowdsourcing” che i “contributor” sarebbe meglio conoscessero. Ma sono “aperti anche a chi conosce altre tecnologie ed ha (la d eufonica posizionata cinofallicamente è loro) voglia di imparare”. Cosa, non si sa.

Questi “contributor” saranno coordinati nientemeno che da uno sviluppatore della Silicon Valley – mecojoni.

Tutto questo per dire cosa? Che Casaleggio cerca gente che probabilmente non verrà pagata per cercare bug in un codice che scriverà il suo team di sviluppo. Del resto lavorare gratis è una delle attraenti tesi del mitico sociologo di riferimento De Masi. Attenzione: non si tratta della piattaforma vera e propria. Il codice di Rousseau non verrà condiviso né rivelato. Si tratta di sviluppare solo le applicazioni che, collegandosi a Rousseau, permetteranno di effettuare alcune operazioni.

Eh sì, perché Rousseau non è affatto un progetto Open Source né lo sta diventando. È il prodotto in un ente commerciale, venduto come servizio agli eletti del Movimento Cinque Stelle. Oggi. Domani a chissà chi altro.

Rousseau però vuole farlo testare ad altri, per scovare gli errori prima di rendere disponibili le applicazioni. Il che è in effetti una buona pratica, ma di solito quando si tratta di prodotti proprietari è un’attività che viene retribuita, e pure bene.

Fatto così, Casaleggio riuscirà solo ad attrarre i soliti cialtroni che cercano i loro quindici minuti di notorietà gratis. Altro che Rousseau open source.

I dati regalati al partito di famiglia

C’è di più. Il processo di selezione è non solo abbastanza ridicolo, ma pure vagamente borderline per quanto riguarda la gestione dei dati personali.

Si tratta di compilare con i propri dati e le proprie competenze un form e allegare un video di presentazione motivazionale. Solo che quando si arriva in fondo, scritto in piccolo, ci si accorge che i dati non li tratta l’Associazione Rousseau, ma il Movimento 5 Stelle. Prego?

Perché mai l’Associazione Rousseau fa una “call internazionale” per programmatori e subito cede i miei dati a un partito politico? Stiamo scherzando? Evidentemente non sono bastati gli 80.000 euro di multa comminati dal Garante della Privacy. C’è ancora molto lavoro per gli uffici dell’autorità.

Casaleggio sul Corriere. Parte 1 di 7: la rappresentanza

Il 17 settembre 2019 il Corriere della Sera pubblica una lettera di Davide Casaleggio dal titolo “I paradossi della democrazia”.

Non è un’intervista, non è accompagnata da riflessioni di intellettuali, giuristi o giornalisti. Casaleggio scrive, il Corriere pubblica. È importante replicare, raccogliere la sfida di Casaleggio perché, credetemi, è semplice vincerla. Davide Casaleggio non è interessato alla politica o alla democrazia. È un pensatore intellettualmente timido, che infatti rifiuta e teme il confronto. Gli vanno però riconosciute due qualità: capacità di adattamento e pazienza. Pubblicare una lettera simile sul Corriere serve a ribadire il suo ruolo apicale nel Movimento e a guidare un dibattito che, in realtà, nemmeno esiste. Casaleggio vuole creare uno spazio tutto suo per poter essere, al suo interno, il dominus.

Vi segnalo alcuni commenti prima di aggiungere il mio, che sarà lungo: per ogni “paradosso” – Casaleggio ne ha elencati sette – farò un post e un video. Li trovate su Next Quotidiano, sul Foglio, sull’Huffington Post e su U&B.

La cittadinanza digitale

Davide, dicevo, vuole creare uno spazio di discussione per dominarlo. È quello di un tema sostanzialmente inesistente che dichiara nell’incipit: l’era della cittadinanza digitale ci farebbe precipitare in un dilemma, cioè se sia opportuno utilizzare la tecnologia per soppiantare i processi democratici che abbiamo costruito in centinaia di anni di evoluzione sociale.

In realtà il dilemma è già stato risolto, almeno in buona parte del mondo: stiamo già usando la tecnologia per migliorare i servizi di cittadinanza. L’Italia certamente ha molto da fare ancora, ma in molti paesi il rapporto dei cittadini con lo Stato e i suoi servizi è quasi completamente digitale. Io vivo nel Regno unito e non ho mai dovuto mettere piede in un ufficio pubblico, eccezion fatta per la richiesta dell’equivalente del codice fiscale, per cui è prevista la presenza fisica al Job Center.

L’uso della tecnologia semplifica e razionalizza i processi e i servizi, ma l’anagrafe è sempre l’anagrafe, una denuncia rimane tale anche quando si fa per via telematica, prendere appuntamento sul sito del comune o al telefono non cambia la sostanza dell’esigenza.

Il perimetro della rappresentanza

Casaleggio vuole andare oltre: cambiare dalle fondamenta la struttura della nostra democrazia, del concetto di rappresentanza e di responsabilità. In ogni settore, dai consigli di amministrazione ai parlamenti. Dice: “Il rappresentato dovrebbe decidere sempre, salvo quando lo può fare solo il suo rappresentante”.

Perché Casaleggio pone questo problema? Perché possiede un ente commerciale, l’Associazione Rousseau, che opera in questo settore: la digitalizzazione dei processi decisionali. Non è un soggetto economicamente neutrale, ha l’interesse a promuovere la necessità di digitalizzare i processi decisionali, il voto per esempio, per il proprio tornaconto economico.

Ciò detto, cosa significa “quando lo può fare solo il suo rappresentante”? Chi decide, qual è il discrimine? Tutti possono votare su tutto, sempre?

La tesi di Casaleggio è che la rappresentanza sia stat necessaria perché risolveva il problema dell’efficienza decisionale “non all’incompetenza nel saper decidere cosa è meglio”. È falso. La teoria dei giochi, il dilemma del prigioniero, la teoria economica ci spiegano che una decisione ottima può essere presa solo quando il decisore può accedere alla totalità delle informazioni. Casaleggio, peraltro, dovrebbe saperlo essendo un bravo scacchista e avendo studiato economia.

La necessità della rappresentanza

Abbiamo bisogno di rappresentanti perché servono persone che impieghino il proprio tempo a studiare i problemi, sempre più complessi, nel modo più approfondito possibile. Per trovare soluzioni, prendere decisioni nell’interesse dei rappresentati, assumendosene la responsabilità. La democrazia parlamentare – quella che Casaleggio vuole superare – permette di dare voce a tutte le istanze della società e a tutte le diverse opinioni su come risolvere i problemi. Le democrazie più avanzate tutelano le minoranze: un’idea, una soluzione condivisa da una minoranza può essere migliore di una, opposta o complementare, sostenuta da una maggioranza.

Il modello che propone Casaleggio prevede che le decisioni siano prese da tutti, a maggioranza. Ma nessuno può capire, conoscere, analizzare i problemi al meglio. Sarà politicamente scorretto da dire, ma la maggior parte delle persone non ha gli strumenti culturali per capire i problemi, immaginare soluzioni, prendere decisioni. Spesso nemmeno per se stessi, figuriamoci per la collettività.

Come scrive il Prof. Carlo Alberto Carnevale Maffè su Il Foglio nel suo articolo “Rousseau e peggio di Cambridge Analytica“: “La lunghezza della domanda ha impatto sulla capacità di comprensione del quesito. Molte ricerche empiriche evidenziano che le domande con più di 16 parole hanno difficoltà a essere pienamente comprese. La forma grammaticale, la semplicità e la specificità del quesito hanno effetti sulla capacità di comprensione di chi è chiamato a votare. La stessa scelta delle modalità di risposta è potenzialmente distorsiva”.

Certo, la rappresentanza presenta numerosi difetti, non ultimo il fatto che selezionare buoni rappresentanti non è affatto semplice. Ma la semplice delega, in luogo della rappresentanza, è un sistema peggiore.

La democrazia diretta che immagina Casaleggio prevede che le decisioni siano prese da persone impreparate, e che nessuno si assuma mai la responsabilità di nulla e che le idee minoritarie siano a priori scartate. A chi giova? Ora lo vediamo.

La democrazia diretta è un pacco

Com’è noto, Casaleggio sostiene la causa della democrazia senza intermediazioni. Negli anni questo si è tradotto, nella pratica del Movimento 5 Stelle, con il tentativo di delegittimare tutte le rappresentanze, dai sindacati ai partiti, come pure i soggetti controllori, dal giornalismo fino, ultimo caso, al Garante della Privacy Antonello Soro.

La verità, nella pratica, è che la disintermediazione non esiste. È una balla o, come si dice oggi, una fake news.

Si parla di disintermediazione anche in campo commerciale: i grandi negozi online, per esempio, avrebbero disintermediato gli acquisti eliminando il passaggio intermedio del negozio fisico. In realtà, grosse realtà come Amazon non hanno eliminato l’intermediazione ma l’hanno accentrata sui propri sistemi digitali.

Esattamente come accade con la piattaforma Rousseau di Casaleggio. Il rapporto tra eletto ed elettore non è disintermediato: il mediatore unico è Rousseau che gestisce la selezione dei candidati, la comunicazione (tramite il Blog delle Stelle), la formazione politica, come di recente hanno iniziato a fare. Tutto è accentrato nelle mani di Casaleggio che, peraltro, si è autoproclamato intermediario unico senza la ratifica della comunità di Rousseau.

Non scelte, ma ratifiche

Il Prof. Paolo Gerbaudo, nel suo libro “Il Partito Digitale”, sottolinea come nella sostanziale totalità dei casi, non solo per quanto riguarda la piattaforma Rousseau, i voti non producono scelte. Servono a confermare decisioni prese dai dirigenti. Succede nel Movimento, ma pure in Podemos, ad esempio. Quella che Gerbaudo definisce la “superbase” conferma la decisione del “superleader”, che accresce e consolida il proprio potere tramite un processo che, contemporaneamente, lo deresponsabilizza. Il superleader è infallibile perché ha il compito di eseguire la volontà della base. Ma, si è dimostrato, la base approva sempre l’operato del superleader. Un circolo vizioso in cui gli strumenti digitali tendono a far emergere non già i dirigenti che sanno prendere le decisioni migliori ma quelli che sanno meglio sfruttare il processo.

Nel caso di Rousseau, il superleader è quello che meglio interpreta anche l’esigenza dell’intermediario unico, un imprenditore con interessi economici e commerciali anche nel settore della democrazia digitale.

Nel prossimo articolo affronteremo il secondo “paradosso”, quello che Casaleggio chiama “Luddista con lo smartphone”.

La strana storia dell’Associazione Rousseau

Vale la pena ricordare la storia della Associazione Rousseau. Casaleggio, con una lettera sul Corriere, apparecchia la sua visione di democrazia e col il suo Movimento 5 Stelle, dal governo, si propone di attuarla. Nei prossimi giorni commenterò punto per punto la sua riflessione.

Non ci sono state molte risposte meditate, organiche, ragionate. Pochi commenti all’articolo del proprietario del primo partito di governo che immagina di sbarazzarsi del parlamento e delle rappresentanze.

Forse non ve ne siete accorti, ma sta già succedendo. Il Movimento 5 Stelle ha preteso, nel programma del nuovo governo, che si approvi la riduzione dei parlamentari. Viene fatto senza uno studio sulle conseguenze rispetto ai processi democratici che coinvolgono il Parlamento. La prima picconata di Casaleggio verso la sua visione di democrazia senza rappresentanti, quindi senza responsabilità.

Ha senso, quindi ricordare come Casaleggio abbia implementato nella sua sfera d’influenza questa visione. Le motivazioni e le conseguenze le ho spiegate in questo articolo: i soldi che servirebbero al partito per portare avanti le proprie iniziative politiche sono di fatto “dirottati”. In parte verso l’Associazione Rousseau, ente commerciale privato di Casaleggio; indirettamente anche verso Casaleggio Associati, azienda privata di Casaleggio.

La storia, soprattutto la nascita, dell’Associazione Rousseau è altrettanto interessante e l’abbiamo raccontata più diffusamente ne “Il Sistema Casaleggio“.

Come nasce l’Associazione Rousseau

Alla morte di Gianroberto Casaleggio, nell’aprile 2016, il figlio Davide lancia la piattaforma Rousseau, lascito del padre, strumento che il Movimento userà per gestire i propri processi democratici interni. Allo stesso tempo, annuncia la nascita dell’omonima Associazione Rousseau. Stando alle prime dichiarazioni riportate sul Blog delle Stelle avrebbe dovuto essere un ente provvisorio, il tempo di creare un fondazione nel nome di Gianroberto Casaleggio. Non è mai accaduto, era una bugia.

Come per primo ha scoperto Luciano Capone, raccontandolo in un articolo su Il Foglio, i Casaleggio fondano l’Associazione l’8 aprile 2016, nella clinica in cui era ricoverato Gianroberto Casaleggio per un tumore al cervello in fase terminale. L’atto notarile che costituisce l’Associazione stabilisce pure che il presidente possa essere scelto solo tra i soci fondatori, che sono due. Uno dei quali sarebbe morto quattro giorni dopo.

Prima domanda: visto che tutte le attività relative al Movimento erano in capo a Casaleggio Associati, di cui Davide Casaleggio era socio e avrebbe acquisito le quote, perché costituire un’associazione mentre Gianroberto moriva?

Seconda seconda: qual era lo stato psicofisico di Gianroberto al momento della firma dell’atto, poche ore dopo essere stato colpito dall’ictus per cui era ricoverato?

Gianroberto contro Gianroberto

Domande che sorgono soprattutto alla luce di quanto era successo il giorno precedente, il 7 aprile 2016. Su La Stampa, Jacopo Iacoboni aveva pubblicato un articolo in cui raccontava che la gestione del Movimento sarebbe passata di padre in figlio, date le precarie condizioni di salute del primo, da tempo malato. La reazione è violenta e scomposta.

Gianroberto Casaleggio pubblica sul Blog di Grillo / Blog delle Stelle una secca smentita nella quale definisce Iacoboni uno “sciacallo”. È l’unica volta che Gianroberto parla di propria spontanea volontà di sui figlio Davide, e lo fa per smentire che voglia passargli la gestione del suo partito. Anche in questo caso non si capisce quali siano le reali condizioni di salute di Gianroberto: quando è stato colpito dall’ictus? È lui che verga quel testo?

Ma soprattutto: come mai l’8 aprile 2016 compie un atto che smentisce quando da lui stesso affermato solo 24 ore prima?