Il caso di Lucia Annunziata

Forse sarebbe il caso di dire le cose con parole chiare: c’è un tale non eletto da nessuno che si comporta da bullo nei confronti dei giornalisti e delle giornaliste italiane. Ne parla Luciano Capone sul Foglio raccontando il metodo-Casalino: il capo della comunicazione del MoVimento 5 Stelle impone a tutte le trasmissioni televisive che i parlamentari grillini godano di un trattamento speciale ed evitino il contraddittorio. O così o niente intervista: un ricatto che impedisce ai conduttori di fare il proprio lavoro e al pubblico di avere un’informazione completa.

Succede a tutti, anche ai giornalisti più autorevoli, anche a quelli del Servizio Pubblico.

Lo possiamo testimoniare direttamente.

A settembre del 2016 il Corriere della Sera e La Stampa pubblicano la prima anticipazione di Supernova (ora in libreria e su Amazon); tra le primissime redazioni televisive che ci contattano per un’intervista c’è quella di In Mezz’ora, la trasmissione di Lucia Annunziata su Rai3. È chiaro che il racconto dei due più stretti collaboratori di Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo sia una notizia. Veniamo invitati per la domenica successiva. Poi rimandati di un paio di settimane. Infine la redazione ci scrive entusiasta: “a meno di notizie clamorose, domenica due ottobre siete in onda”.

Succede però qualcosa. La redazione prima temporeggia, poi ci fa sapere che il nostro invito è stato messo “in stand by”. Qualcuno aveva chiaramente fatto intendere che la nostra presenza avrebbe comportato delle conseguenze.

Contattiamo la redazione di In Mezz’ora di nuovo il 17 dicembre: “Ciao, quando finirà l’embargo su Supernova decretato da Casalino?”. Risposta: “Lasciamo perdere”.

Il nostro embargo è durato quasi due anni ed è stato rotto solo da due emittenti: TgCom24 e La7, la scorsa settimana, grazie all’invito di Gaia Tortora, che ringraziamo. Continua, invece, l’embargo nei confronti di Jacopo Iacoboni, autore di numerosi articoli e un altro libro, L’Esperimento, sui pentastellati.

Attenzione: sarebbe facile strillare contro “il giornalismo asservito ai potenti”, come fanno quelli.

Ma non è questa la nostra opinione. Lucia Annunziata è vittima, non complice. Lo diciamo chiaramente e senza alcun doppio pensiero.

Le trasmissioni politiche hanno senso di esistere, soprattutto sul Servizio Pubblico, se danno voce a tutti. Era sbagliato tenere fuori il MoVimento prima, sarebbe sbagliato tenerli fuori adesso. Tra i due mali, quello peggiore è privare il pubblico della voce di chi rappresenta il 32% dell’elettorato. Ci è facile capire perché veniamo esclusi noi, anche se è inaccettabile.

Ha ragione Nicola Porro: “Serve una risposta di mercato, e cioè una presa di posizione da parte dei giornalisti e degli editori”. Questo ricatto funziona perché in TV c’è, per fortuna, concorrenza e quindi può essere disinnescato solo con la volontà di tutte le redazioni, che devono all’unisono rifiutarlo. A tutela del mercato stesso: non passerà molto tempo prima che, per autodifesa, anche gli altri partiti adottino la stessa strategia, e a quel punto non ci sarà più niente da fare.

Del perché è sbagliato dileggiare il M5s

Senso di appartenenza e voglia di rivalsa crescono con gli insulti

Da quando il MoVimento ha vinto le elezioni ed è entrato nell’area di governo, si è (di nuovo) scatenato il dileggio nei confronti dei loro leader e dei loro elettori.


Personalmente l’ho notato nei commenti di amici e parenti, prima ancora che su Democratica — l’organo di informazione del PD — , che ieri ha prodotto la copertina che vedete.

Dai classici (“populisi”, “antipolitici”) ai più recenti (“buffoni”, “sono il nulla”) per arrivare ai “pop corn” di Renzi e alla copertina di Democratica, sembra che la reazione sia, ancora una volta, superficiale.

È un errore, lo è sempre stato. Dal celebre video di Fassino (“Grillo si faccia un partito, vediamo quanti voti prende”) alle prese in giro dei Renziani (“Ciaone”), il risultato è sempre stato un aumento di consensi.

Sono due i meccanismi che si innescano e che alimentano reazioni opposte a quelle sperate, una nei militanti l’altra negli elettori.

Nei militanti, il più classico: il senso di appartenenza. L’effetto assedio ha permesso in questi anni di cementare i rapporti, anche personali, interni al MoVimento, come difesa contro l’avversario. È stato l’alibi, tante volte, per prendere decisioni autoritarie, espellere supposti “infiltrati” dei partiti e, in definitiva, per rendere impossibile il confronto interno al partito che avrebbe reso molto più deboli alcuni argomenti di successo in campagna elettorale.

Nell’elettorato, il più deleterio: non puoi deridere l’avversario sottintendendo che sia un incapace perché, allora, bisognerebbe spiegare come han fatto gli incapaci a vincere contro di te le elezioni, e se, per caso, forse, tu non sia meno capace di loro. Il risultato di questa distonìa è a tutto vantaggio del MoVimento, soprattutto ora che ha già vinto.

Se si dà per scontato che “tanto non combineranno nulla” si crea l’alibi per evitare di pensare un’alternativa credibile e senza alternativa continueranno a vincere loro.

Il rompicapo

«Che mi frega dei due mandati? Io sono il Capo Politico, posso sempre ricandidarmi a presidente del Consiglio».

Questa frase, pronunciata da Luigi Di Maio tra l’1 e il 4 maggio scorsi in presenza di alcuni compagni di partito, ha segnato la fine delle sue pretese alla premiership.

Arrivati a questo punto, se davvero si trovasse un accordo tra Lega e Movimento il rompicapo dell’assetto della legislatura sarebbe risolto e Di Maio sarebbe, tutto sommato, l’unico sconfitto.

Facciamo un passo indietro e andiamo con ordine.

La posizione del capo politico del Movimento comincia a vacillare il 30 aprile, con l’intervista di Renzi a Rai1. Di Maio risponde immediatamente e rabbiosamente, chiudendo ogni opzione di alleanza col PD con toni da campagna elettorale, convinto che a quel punto si sarebbe andati subito al voto. Pochi giorni prima, in assemblea coi suoi parlamentari, aveva allentato la tensione garantendo che, in ogni caso, si sarebbe fatto in modo di ricandidare tutti. È apparso subito chiaro, però, che non si sarebbe andati a votare a giugno, come chiesto da Di Maio. Una deroga alla regola dei due mandati sarebbe stata possibile, ma non con un voto a dicembre o a primavera 2019.

Così qualcosa si rompe: anche i fedelissimi di Di Maio si innervosiscono. Perché? Per quell’improvvida frase: «Che mi frega dei due mandati? Io sono il Capo Politico, posso sempre ricandidarmi a presidente del Consiglio». Eh già. «E di noi che ne sarà?» avranno pensato i parlamentari al secondo mandato. Toninelli il 4 maggio dichiara che «sulla regola dei due mandati decide Grillo». Come a dire, ci salviamo tutti o nessuno.

Torniamo al quadro generale. Mentre Di Maio pensava di giocare una partita a scacchi, gli altri cercavano di comporre un rompicapo, seguendo degli obiettivi.

Primo: Di Maio non deve andare a Palazzo Chigi. Obiettivo raggiunto. Secondo: niente voto anticipato; a parte la Lega, tutti hanno qualcosa da perdere, seggi o ricandidature. Nemmeno il Quirinale impazzisce all’idea di sciogliere subito le Camere; inolte, il 65% dei parlamentari è alla prima nomina: difficile resistere, per i leader politici, a queste pressioni dall’alto e dal basso. Una soluzione per non votare prima del 2019 la si troverà.

Dunque, quale?

Il governo tecnico, per numeri e volontà politica, non lo vuole nessuno. Troppo facile per le eventuali opposizioni fare il bello e il cattivo tempo, soprattutto durante la prossima campagna elettorale.

Tolto di mezzo Di Maio, se Berlusconi fingesse il «passo di lato» o il Movimento accettasse qualche ministro forzista, la Lega e Salvini potrebbero mantenere unito il centrodestra (salvando le amministrazioni locali) e consolidare la propria leadership nella coalizione. Forza Italia potrebbe chiedere e ottenere qualche sottosegretariato chiave e qualche garanzia, evitando il voto. Il Movimento ha già rinunciato alla premiership, ma andare al governo e soprattutto evitare di decapitare l’intero gruppo dirigente a causa del vincolo dei due mandati sarebbe ottenere il massimo oggettivamente possibile. Questo governo, peraltro, godrebbe di un’opposizione molto debole: il PD governa da 7 anni, non ricorda come si fa opposizione e tuttavia se ne gioverebbe molto. L’ala renziana avrebbe ottenuto quanto voluto fin dal 5 marzo, il partito nel suo insieme avrebbe condizioni e tempo favorevoli al proprio riassetto, ora più necessario che mai.

Il tempo sta per scadere per Luigi Di Maio

Nell’aprile di due anni fa rilasciai un’intervista a La Stampa in cui esprimevo, dopo la morte di Gianroberto Casaleggio, la mia opinione su quanto stesse accadendo nel Movimento 5 Stelle.

Due cose in particolare: primo, era in atto una guerra per il potere all’interno del partito, una scalata del clan di Di Maio sostenuta, dall’esterno, da Matteo Renzi che aveva appena concluso una simile operazione nel Partito Democratico. Secondo, dunque, che le carriere dei due erano gemelle.

Renzi, infatti, appena diventato Presidente del Consiglio, si scelse il suo avversario — Di Maio, all’epoca vice presidente della Camera — rendendolo credibile anche agli occhi dei compagni del M5s. I dettagli sono raccontati in Supernova, il libro che ho scritto insieme a Nicola Biondo, in libreria dal prossimo 10 maggio.

I fatti degli ultimi due anni si sono già incaricati di confermare quelle preoccupazioni: Di Maio ha scalato il partito, che ora controlla militarmente, proprio come Renzi controlla (ancora) militarmente il Partito Democratico.

Nel PD, il tentativo di deviare dalla linea dettata dall’ex segretario è stato soffocato nella culla. Nel M5s la linea, dopo aver cercato in ogni modo di andare al governo, la detta solo il capo politico ed è chiedere il ritorno alle urne subito. Perché?

Di Maio, Casaleggio e il M5s hanno, in questi anni, investito tutte le risorse su un unico obiettivo: Luigi Presidente del Consiglio. Mai è stata proposta un’alternativa da nessuno, nel partito. Per farlo, hanno fatto carta straccia di ogni regola: prima capo-ombra del Direttorio, poi capo politico, poi candidato presidente, poi le candidature scelte in prima persona con l’aiuto del suo comitato elettorale. È stata anche sedata la rivolta interna e mandato Roberto Fico in esilio alla Presidenza della Camera (un bell’esilio, per carità, il “metodo-Fini”).

Poi, arrivati al dunque, Di Maio ha fatto l’errore dello scommettitore scemo: puntare su ogni risultato possibile, l’unica mossa che, è certo, non ti fa vincere. Ha proposto di formare un governo alla Lega, sperando che Salvini mollasse Berlusconi. Niente. Poi, ha bussato alla porta del PD, sperando che Renzi se ne stesse buono buono in disparte. Nulla.

Ora Luigi è, come si suol dire, nella melma: sfumato Palazzo Chigi, coi sondaggi che cominciano a calare, è chiaro che voglia andare subito al voto: la certezza di ricandidatura per tutti, con una buona probabilità di essere rieletti, può passare ancora per pochi giorni nel gruppo parlamentare, così come far digerire agli attivisti la deroga alla norma sui due mandati (che impedirebbe al Clan di essere di nuovo nelle liste). Ma se sfuma anche il voto, non avrebbe centrato nessuno degli obiettivi. Nemmeno uno. La sua credibilità nel gruppo parlamentare e nel MoVimento sarebbe annullata e da quel momento tutto potrebbe accadere. Senza più una figura di riferimento, senza nessun nuovo leader possibile, è facile ipotizzare che molti — soprattutto tra i neo eletti — non rinunceranno facilmente a cinque anni di stipendio e benefit da parlamentare.

Tutto molto Fico

C’è un comma del codice etico che tutti i parlamentari M5S hanno sottoscritto quando si sono candidati che li obbliga a votare la fiducia a qualsiasi governo presieduto da un Cinque Stelle.

Era stato pensato per blindare la candidatura a Presidente del Consiglio a Luigi Di Maio e silenziare le fronde interne. Solo che, come sempre accade da quelle parti, non hanno pensato agli effetti collaterali.

C’è un un modo molto semplice per il Partito Democratico e Roberto Fico per portare a termine con successo questo giro di consultazioni, se volessero: trovare un accordo sui temi (come ha dichiarato di voler fare il Presidente della Camera) e proporre al Capo dello Stato la figura dello stesso Fico per l’incarico a formare il Governo. Non sarebbe difficile per i Cinque Stelle votare la fiducia a questo eventuale esecutivo: a norma di regolamento sarebbe proprio vietato non farlo.

Marco Canestrari e Nicola Biondo

Ps. Il 10 maggio troverete Supernova in tutte le librerie per l’editore Ponte Alle Grazie

Due parole su Davide Casaleggio

Di meschini, sciacalli e bugiardi

Foto: Huffingtonpost.it

Ieri, l’Ereditiere Davide Casaleggio ha confermato di aver cacciato di proposito Jacopo Iacoboni dalla convention di Ivrea, dandogli del meschino e ricordando l’ultimo comunicato stampa di suo padre, Gianroberto Casaleggio, che lo chiamava sciacallo e smentiva le ricostruzioni del giornalista. Tenete a mente questo dettaglio, ci torniamo fra un attimo.

Vi racconto intanto un episodio su Davide che mi riguarda.

Siamo nel 2009 e io sono un dipendente di Casaleggio Associati. Ad aprile, un mio parente stretto — già malato — si aggrava. La situazione era tale per cui chiesi a un collega di poterlo sostituire in un viaggio aziendale a Roma, dove vive quel ramo della mia famiglia, per poterlo salutare, cosa che grazie a quel collega potei fare.

Informai, inoltre, tutti i miei capi che entro poco tempo avrei potuto avere bisogno di qualche giorno di ferie, facendo intendere l’imminente possibile funerale. Per qualche motivo che ignoro, la cosa irritò Davide. Il mio caro mancò a metà maggio.

Quel fine settimana chiesi tre giorni di ferie, sempre informando tutti i soci via mail e Davide di persona la domenica, visto che entrambi ci trovavamo a Torino alla fiera del Libro.

Spensi quindi il telefono e andai di nuovo a Roma.

Per scrupolo, la mattina del funerale controllai la posta. In replica alla mia richiesta formale di ferie, mi viene chiesto di tornare a Milano la mattina seguente entro le 10 per improrogabili impegni. Rispondo che l’unico modo sarebbe stato, per motivi organizzativi, lasciare la cerimonia funebre. Cosa che feci.

Davide mi rispose quindi privatamente ammettendo che il problema non era lavorativo, ma che non avevo risposto a una sua telefonata che mi fece mentre mi trovavo nella camera mortuaria. Del resto, quale momento più opportuno per telefonare a un proprio dipendente, se non quando sai che sta piangendo un parente defunto.

Tornato al lavoro, infatti, non ebbi consegne al di fuori della routine per 10 giorni. Non c’era nessuna urgenza.

Questo è il modo in cui capitava venissero trattati i dipendenti di Davide, che lo sappiano coloro che pensano di fare accordi con queste persone. Se non sbaglio c’è una parola precisa per definire questo genere di atteggiamento da parte delle aziende nei confronti dei loro dipendenti.

Ma non è tutto.

Tornato in ufficio Davide insinuò che non avessi mai avuto alcun parente malato o morto. A quel punto mi recai nello studio di Gianroberto — col quale avevo un ottimo rapporto e che era il presidente dell’azienda— e gli raccontai tutta la vicenda dall’inizio alla fine, pretendendo le scuse di suo figlio, che era anche suo socio.

Mi disse: “Ti chiedo io scusa per lui e per conto dell’azienda. Davide fatica a nascondere la gelosia nei confronti delle persone con cui vado d’accordo. Ti assicuro che gli farò pesare tutto il mio disagio per quanto accaduto e, di nuovo, ti chiedo scusa”.

Mi è tornato in mente questo episodio proprio a causa della citazione di quel suo ultimo comunicato. Gianroberto smentiva con forza, dandogli addirittura dello sciacallo, la ricostruzione di Iacoboni secondo cui Davide avrebbe assunto il controllo delle attività relative al Movimento di lì a breve.

È da notare che non si trova una sola dichiarazione di Gianroberto Casaleggio sul figlio. Nessuno, o quasi, sapeva in quel momento chi fosse. La notizia era quindi clamorosa, se confermata, come poi si è incaricata di fare la Storia.

Tutti coloro che andavano d’accordo con Gianroberto, in un modo o nell’altro sono stati allontanati. Io me ne andai a un anno da quell’episodio (continuando però a lavorare con Gianroberto, sentendolo settimanalmente). Così fece il mio collega David. Lo stesso è capitato a Matteo Ponzano, Nicola Biondo e Filippo Pittarello.

Eppure, mai Gianroberto aveva parlato di suo figlio in relazione al M5S. Mai aveva fatto sapere di voler fondare l’associazione Rousseau, costituita mentre Roberto è sul letto di morte a poche ore dal suo trapasso, consentendo a Davide, aiutato dai suoi avvocati, di diventarne il dominus.

Lui, un figlio di cui Gianroberto era costretto a scusarsi coi propri dipendenti, che raramente il padre presentava ai suoi uomini di fiducia, che quasi nessuno, prima di quel momento, conosceva tra i parlamentari M5S. L’unico riferimento pubblico a questo suo figlio è quel comunicato di smentita di Iacoboni. L’ultima cosa che Gianroberto ha voluto fare nella sua vita, dalla clinica in cui si era fatto registrare come Gianni Isolato, è negare con forza di voler lasciare la sua creatura politica, frutto del lavoro di vent’anni, a suo figlio, che invece riuscirà a ereditarla con un atto notarile per soli trecento euro.

Proprio il comportamento coerente che ci si aspetta da una persona lucida nelle sue ultime ore di vita. Quello che tutti noi penseremmo di fare se fossimo consapevoli di aver poco tempo prima del commiato da questa Terra: un atto notarile e un comunicato stampa per negarlo.

Se fossi Iacoboni, andrei fiero di essere chiamato meschino da un soggetto come Davide Casaleggio.

Guardate lontano

Il mio intervento a “Sinistra Anno Zero”, 7 aprile 2018

Foto: Nicolò Carboni

Grazie per l’invito.

Sono Marco Canestrari e ho lavorato dal 2007 al 2010 in Casaleggio Associati. Ho visto e fatto nascere il M5s, coordinavo i gruppi MeetUp e accompagnavo Grillo nelle più importanti occasioni ufficiali.

Tutti siamo a conoscenza e condividiamo ciò che non ci piace del M5s, ma oggi vorrei concentrarmi su cosa ha invece funzionato nella loro strategia e su cosa hanno sbagliato i loro avversari in questi anni, ovviamente dal mio punto di vista e per la mia esperienza.

Parlerò di tre aspetti della strategia del M5s: organizzazione, comunicazione, formazione delle posizioni politiche.

Parto dalle posizioni politiche perché il primo grande errore è stato quello di ignorare e deridere, fin dall’inizio, quelle che erano posizioni politiche — condivisibili o meno — trattandole con sufficienza: nei confronti di Grillo venne utilizzata la parola “antipolitica”, con ciò rifiutando perfino di considerare le istanze che provenivano dai suoi gruppi organizzati, di cui parleremo fra un attimo.

In realtà, il motore di quello che sarebbe diventato il MoVimento era, negli anni 2000, l’interesse di Gianroberto Casaleggio per i nuovi modelli organizzativi possibili grazie a Internet, che all’epoca iniziava a produrre nuovi modelli di business per le aziende, nuovi modelli organizzativi per le lobby civiche, nuove occasioni per fare informazione, controinformazione e, ovviamente, disinformazione.

Casaleggio, da studioso di questi fenomeni, aveva capito il cambiamento in atto e cercava di prevedere quali settori della società sarebbero stati interessati. Uno studio che proseguiva da anni, fatto di molti viaggi e molte letture.

L’incontro con Grillo, che avviene nel 2004, produce il mix esplosivo: Grillo da anni si era dedicato al cosiddetto “teatro civile”, affrontava temi sovrapponibili a quelli che stava studiando Casaleggio, con l’occhio dell’artista popolare, geniale nel capire gli umori del suo pubblico, i problemi, la rabbia, le paure.

Così l’uno, Grillo, spiegava all’altro, Casaleggio, come le persone perdessero ore e ore di vita — di vita — in macchina per andare in ufficio e l’altro replicava come, grazie alla tecnologia, fossero possibili il telelavoro (ricordiamoci che siamo all’inizio degli anni 2000, all’epoca era una novità) e una migliore organizzazione dei trasporti pubblici e privati (dì li a pochi anni sarebbe nata Uber). Discorsi di questo tipo sublimavano in posizioni politiche estremamente efficaci dal punto di vista della propaganda: “investire nell’immobilità”, per sintetizzare come si dovesse investire affinché si riducessero il numero e la durata dei trasferimenti.

E arriviamo così al secondo tema, quello della comunicazione.

Si è molto detto e scritto di come Grillo e Casaleggio abbiamo “bypassato” la comunicazione tradizionale attraverso Internet. Poco o nulla, invece, si è detto di come abbiano utilizzato la Rete per aprire un canale di comunicazione inverso: dal pubblico verso di loro.

Inizialmente, il Blog serviva a Grillo per farsi raccontare dal suo pubblico, prima dei suoi spettacoli, qualche notizia locale da inserire nel suo show. Col tempo hanno cominciato ad arrivare segnalazioni di qualsiasi tipo, su moltissimi argomenti, locali e nazionali. Perché? Perché laddove i siti delle altre organizzazioni, dai partiti, ai sindacati, alle associazioni, ai singoli politici — i pochi che lo avevano, non permettevano di inviare mail o commenti, quello di Grillo era aperto.

Così su di noi, in Casaleggio, si riversava tutta la rabbia e la frustrazione di chi sentiva di non avere voce. Trovavano nel Blog un orecchio pronto ad ascoltare e una voce pronta a gridare, letteralmente, per loro.

Siamo nel periodo del secondo governo Berlusconi: quelli di destra erano delusi dalle mancate promesse esaudite, quelli di sinistra erano furiosi per un’opposizione che veniva percepita come complice.

Ripeto: quello che trovavano i lettori del blog era qualcuno pronto ad ascoltare. E a cui chiedevano, sempre più insistentemente, soluzioni.

Terzo tema: come organizzarsi?

Il M5s nasce nel 2009, ma fin dal 2005 il Blog di Grillo aveva iniziato a organizzare gruppi locali chiamati “MeetUp”: assemblee che si riunivano per discutere i temi affrontati da Grillo nei suoi post. In cui si condivideva anche quella rabbia e voglia di rivalsa e di partecipazione che avevamo ascoltato, raccolto, elaborato, rilanciato. Periodicamente, il Blog organizzava un incontro nazionale in cui i lettori e gli attivisti potevano conoscersi fisicamente dopo aver a lungo discusso nei “forum” online. In questo modo si è creato un embrione di comunità raccolta intorno ad alcuni valori condivisi: la voglia di riscatto e partecipazione, la richiesta di ricambio, di “pulizia” della classe dirigente, non solo politica.

Tutti ci si conosceva: è falso dire che la comunità fosse esclusivamente online. Gli incontri locali erano settimanali e i vari responsabili locali si confrontavano sia online sia di persona più volte al mese.

Per due anni i MeetUp hanno cercato di spingere la politica locale ad interessarsi ai temi proposti, ma nella stragrande maggioranza dei casi la porta era sbarrata o, peggio ancora, l’ufficio dietro quella porta era marcio.

Io sono di Pavia: nel 2006 col MeetUp incontrammo un dirigente locale del futuro PD per parlargli dei rischi collegati all’inquinamento legato al ciclo dei rifiuti, spiegandogli che aumentava l’incidenza di alcune malattie, per proporre la raccolta porta a porta. Sapete quale fu la risposta? “Se sono malattie che fanno fare soldi, allora mi interessa, se no arrivederci”. Questo dirigente si trova oggi in carcere. Era così ovunque.

Episodi del genere ci venivano segnalati settimanalmente da ogni parte d’Italia.

Sono queste esperienze comuni, queste frustrazioni, che hanno cementato il gruppo dirigente del MoVimento. E che hanno costruito un codice di condotta a lungo non scritto, ma comunque chiaro a tutti, che ha permesso ai loro elettori di applicare la sanzione reputazionale senza indugio ogni qual volta si è ritenuto, a torto o a ragione, necessario.

Sì, ci sono e ci sono state palesi ingiustizie, esagerazioni, distorsioni e innumerevoli porcherie. Ma, alla fine, il gruppo dirigente era ed è compatto intorno ad alcuni princìpi ben riconoscibili e riconosciuti, fermo restando il vuoto pneumatico intorno agli altri temi che serve affrontare per formare una proposta politica credibile.

Non è evidentemente un metodo esemplare, lo è piuttosto l’obiettivo raggiunto.

L’assemblearismo perenne degli inizi ha assorbito perfino l’intera dialettica degli anni dell’istituzionalizzazione, anche grazie al fatto che fino a quando ci sono riusciti, i fondatori hanno impedito la formazione di strutture e gerarchie: qualsiasi tentativo di emergere o proporre organigrammi veniva soffocato nella culla.

Anche lo scontro tra Fico e Di Maio è rientrato prima del voto perché non era tra aspiranti dirigenti, ma tra vecchi compagni di strada.

Tutto cambia nel 2014 quando gli attuali dirigenti impongono ai fondatori il direttorio all’indomani della sconfitta alle europee, mossa che romperà il tabù delle gerarchie e permetterà al partito di mettersi in assetto da campagna elettorale, capitalizzando la fiducia raccolta nei 10 anni di attività investendola in pura propaganda.

A meno della rottura di altri tabù come il limite dei due mandati, questo gruppo dirigente esaurirà la sua parabola in questa legislatura. A chi vuole contrastarli mi permetto — rispettosamente, visto che sono ospite in casa d’altri — di consigliare tre cose.

Primo: guardare lontano.

Casaleggio, nel 2007–2009, si diede l’obiettivo di conquistare il governo in 10–15 anni, ogni zero virgola conquistato alle elezioni era una vittoria. Derisa dagli avversari miopi che non vedevano la marea montare.

Bisogna ragionare come se i prossimi 5 anni siano loro, e progettare i successivi 10. Primo per lasciarli, che governare sarà diverso dalla propaganda e quest’onda va lasciata sfogare. Secondo perché chi governa è assorbito dal presente, mentre incalza il futuro. Chi non avrà questa incombenza può approfittarne per fermarsi e studiare.

Secondo: proporre partecipazione, reale e diversa.

Oggi il m5s è forza di governo. Le loro energie saranno tutte impiegate a spiegare e giustificare l’azione dell’esecutivo, ma i loro strumenti di partecipazione, come Rousseau, per quanto siano tecnicamente ridicoli, assolvono al compito di dare l’impressione ai loro iscritti di contare qualcosa. Bisogna studiare ciò che propongono e offrire la possibilità reale di contare. In un modo differente — perché vale sempre il discorso della copia e dell’originale — ma più efficiente e attraente.

Terzo: investire tempo e pazienza.

Il modello di comunicazione m5s è difficilmente replicabile: non esiste un altro Beppe Grillo, ammesso si voglia usare quel registro, il contesto è cambiato. Ma c’è un fattore che gioca a favore delle nuove opposizioni ed è il tempo. C’è il tempo per capire come sarà il mondo fra dieci anni, per anticipare i problemi e studiare delle soluzioni. Il tempo per spiegare tuctto questo alla generazione dei quindicenni di oggi, Come Grillo 15 anni fa si rivolgeva agli adolescenti di ieri che oggi sono i suoi elettori, insieme ai loro genitori e zii.

Ci vogliono pazienza e intelligenza. Bisogna sforzarsi di affiancare al sarcasmo ormai tossico del linguaggio tipico dei social network, la paziente e comprensiva spiegazione delle proprie ragioni, supportate sempre dalle opportune evidenze. Credo che questo, soprattutto, sia oggi il miglior modo per marcare la differenza dal M5s.

Grazie.

Il MoVimento di Casaleggio

Se ne sono accorti già un po’ tutti: il nuovo Blog di Grillo non è come il “passo di lato” del 2014, su cui poi è tornato. Non è come il padre che accompagna suo figlio all’aeroporto e lo vede iniziare la sua vita da adulto.

Il messaggio con cui Beppe ha lanciato la sua “nuova avventura” è una nostalgica dichiarazione di guerra. Si è reso conto — e chissà se Supernova lo ha aiutato — di essere stato raggirato, scavalcato, scalato e tradito, complice la morte dell’amico Gianroberto.

Ho conosciuto Beppe: sono ancora convinto, anche se so che molti della “vecchia guardia” non la pensano così, che certi gesti gli siano risultati innaturali. Non voglio credere che si sia sentito a suo agio nel trattare come tutti sappiamo i vari “epurati” della storia del MoVimento, alcuni dei quali erano diventati suoi amici personali.

Comunque, ormai il dado è tratto.

Negli ultimi giorni è diventato chiaro che quello di Beppe non è un semplice allontanamento dal Movimento, ma assomiglia sempre di più a un sabotaggio. Per quale motivo al mondo, a quaranta giorni dalle elezioni politiche che potrebbero portare il M5S al governo, dopo averlo visto attraversare il Canale di Sicilia a nuoto e girare l’Italia durante lo Tsunami Tour del 2013, avrebbe dovuto compiere una mossa così drastica, privare il partito della sua indubbia capacità mediatica, se non perché non ci vuole mettere più la faccia?

Il distacco dal passato è clamorosamente definitivo e profondo: i vecchi post sono stati maldestramente copiati sul Blog delle Stelle, mentre dal nuovo beppegrillo.it sono spariti, come la possibilità di commentare. La cancellazione della memoria storica del MoVimento, della sua community virtuale, delle sue abitudini, perfino, passa anche e soprattutto da questi dettagli.

Sarebbe ora di cominciare a chiamarlo il MoVimento di Casaleggio, di chiamarli casaleggini. Il MoVimento di Beppe Grillo è morto e sepolto, ma questo, se avete letto il libro, lo sapete già.

“Sono degli incompetenti!”

Dalle chat del M5S un audio esclusivo. In tempo reale i commenti sul sistema di voto di Rousseau


Riceviamo da attivisti messinesi e pubblichiamo in esclusiva un audio messaggio che circola in queste ore nelle chat del MoVimento 5 Stelle. Un Parlamentare commenta il sistema di voto di Rousseau che pare essere un po’ carente, come abbiamo raccontato in Supernova — Com’è stato ucciso il MoVimento 5 Stelle.

Il rischio di annullamento delle Parlamentarie pare essere concreto.

“Enrico ciao, 
scusami sta succedendo un manicomio. Il sistema è andato in tilt, mancano troppi candidati all’appello, addirittura manca anche un candidato senatore uscente. Il sistema non sta funzionando. L’ordine è di non votare per adesso e di aspettare la giornata di domani sperando che il sistema si aggiusti da solo; altrimenti saranno rinviate queste parlamentarie.
E’ una malacumpassa allucinante e io sono… comincio ad essere stanco di tutti questi problemi creati dallo Staff per incompetenze ormai palesi a tutti.
Ti prego di girare questa richiesta di sospensione del voto anche alle persone che tu hai contattato per i clic.
Ti abbraccio, ciao.


Io e Nicola Biondo abbiamo scritto come nasce, cresce e muta il MoVimento 5 Stelle in Supernova — Com’è stato ucciso il MoVimento 5 Stelle. Eravamo stretti collaboratori di Gianroberto Casaleggio; eravamo, dal 2007 al 2014, lì dove le cose succedevano: nello studio di Milano, dove il M5S è nato, e nell’ufficio Comunicazione della Camera. In questo libro raccontiamo la storia di come il sogno di Gianroberto Casaleggio sia diventato un pericoloso inganno.

Supernova è disponibile su Amazon, Google Play, iBooks, IBS, e Kobo.

L’inizio della fine

Supernova , il libro-verità che ho scritto insieme a Nicola Biondo sulla nostra esperienza ai vertici del MoVimento 5 Stelle, si conclude con una facile profezia: questa è una storia che va a finire male.

È notizia dell’11 gennaio 2018 — anche se nell’ambiente si sapeva da settimane — che Grillo ha deciso di riprendersi il suo dominio, il suo Blog beppegrillo.it, e darlo in gestione a qualcuno esterno e lontano dalla Casaleggio Associati.

Che Grillo e Casaleggio (Gianroberto) fossero ai ferri corti lo raccontammo a settembre 2016 svelando al pubblico il capitolo “L’ultima telefonata”. Fu un terremoto: fummo ricoperti di insulti e ingiurie da esponenti del MoVimento, amici, giornalisti, ex colleghi. Ma mai una smentita.

Scrivere queste righe, com’è stato scrivere Supernova, è un po’ come fare i conti con me stesso, che ho delle responsabilità — quota parte — per come sono andate, o non sono andate, le cose nel MoVimento. Ma voglio pensare che Beppe, con cui ho condiviso alcune delle esperienze più memorabili della mia vita, pur non facendosi mai più sentire abbia letto i miei interventi pubblici a partire da quello di aprile 2016 sulla Stampa.

In quell’intervista a Jacopo Iacoboni (di cui esce in questi giorni il suo libro sul M5S, “L’Esperimento”), rilasciata all’indomani della morte di Gianroberto Casaleggio, dissi che il MoVimento delle origini era fallito e che stava per essere scalato. L’intervista si concludeva con queste parole:

«Beppe avrà un ruolo decisivo i prossimi mesi. So che di recente si chiede anche lui se la nostra gente volesse tutto questo. È molto dubbioso lui per primo sul M5S di oggi. Gli manderei un consiglio: pensa bene di chi fidarti, guarda il blog adesso, pieno di pubblicità, ricordati di quando mi chiedevi di convincere Roberto a togliere tutti i bottoni “compra” che non ti piacevano. Quello non è piu il Blog, è un asset aziendale. E nessuno voleva un Movimento così».

Scelse, in quel momento, di fidarsi di Davide Casaleggio, il figlio dell’amico scomparso diventato capo della sua azienda e, di conseguenza, deus ex machina del MoVimento. Lo fece, credo, anche perché non aveva altra scelta in quel momento di smarrimento.

Tuttavia, le cose da subito presero una brutta piega. Davide, con la sua fredda lucidità, inziò il golpe il giorno stesso la morte del padre, durante l’orazione funebre che divenne un messaggio ai politici presenti: “Io solo posso interpretare il volere di mio padre”.

Mentre iniziava a scatenarsi La Rivolta, Davide fondava l’associazione Rousseau e vi trasferiva le attività del blog e del MoVimento di cui prima si occupava la Casaleggio Associati, insieme a un suo dipendente, Pietro Dettori, facendo rifiatare i conti in rosso della s.r.l.

Grillo gli diede di fatto un solo compito: fare ordine nella confusione di ruoli della s.r.l., del Blog, del MoVimento, delle varie associazioni collegate, del personale, delle cause giudiziarie. Lo fece nonostante uno dei funzionari del MoVimento, quello a lui certamente più vicino, era consapevole delle limitate capacità di Davide e dei suoi soci e certamente glielo fece presente.

Ora il tempo è scaduto: gli evidenti limiti di Davide nella capacità di gestione e risoluzione dei problemi sono esplosi con il provvedimento del Garante della privacy che ha gridato forte e chiaro “il re è nudo!”. Davide non ha risolto nessuno dei problemi di Grillo e del MoVimento, ma solo alcuni di quelli della sua azienda. I soggetti giuridici che ruotano intorno al MoVimento sono aumentati, le cause di ex attivisti espulsi si sono moltiplicate, delle regole e dello spirito iniziale del MoVimento non c’è più traccia. E c’è la spada di Damocle di multe salatissime, probabilmente in capo anche a Grillo, titolare del trattamento dei dati personali degli iscritti che Davide Casaleggio e l’Associazione Rousseau non sono stati capaci di tutelare.

Le intrusioni informatiche di quest’estate prima e il provvedimento del Garante poi, hanno definitivamente messo in luce l’inadeguatezza di Davide nel portare a termine i compiti che gli aveva assegnato Beppe, soprattutto se confrontati con la maestria con cui Casaleggio Associati ha tratto profitto fino all’ultimo giorno dalle pubblicità presenti sul Blog — “un prodotto con scopo di lucro” come ha dichiarato recentemente Casaleggio, così come l’Associazione Rousseau ha raccolto centinaia di migliaia di euro di donazioni grazie alla popolarità del marchio beppegrillo.it e si appresta a raccogliere i contributi dei futuri parlamentari M5S.

Avevamo ragione io e Nicola: Grillo era veramente incazzato e l’ha dimostrato a modo suo nel corso degli ultimi mesi. Non facendosi vedere, presenziando solo quando poteva, pubblicamente, scaricarsi delle responsabilità come nominare capo politico Di Maio, insufflando nelle orecchie dei parlamentari vicini, come Roberto Fico, parole che, però, non hanno sortito gli effetti di un tempo sulla truppa, ridotta ormai a un manipolo di disertori. Il golpe e la scalata sono riusciti. Di Maio si è preso il MoVimento, lo ha reso un partito stringendo un accordo di ferro con Davide, che ora segue come un’ombra lui e non più Beppe.

Il vecchio capo se ne va. Come sempre negando di farlo, come nel racconto di Dino Buzzati “I sette piani”. Un passo dopo l’altro, negando che la situazione peggiori di piano in piano. Ormai non può nemmeno più esprimersi usando il suo stesso blog: deve scrivere ai tanto odiati giornali per parlare. Grillo scrive al Fatto. Casaleggio al Corriere.

Scrive Grillo: “Stanno articolando questa stupidaggine con una sola costante: sono io che abbandono loro, non loro che abbandonano me”. Un pizzino.

Curioso. Questa storia finisce com’era iniziata: il MoVimento doveva essere come la “Lega” di Bossi, ma “buona” — diceva Gianroberto Casaleggio, leghista della primissima ora — non come “quelli là”, che prima gridavano “Roma ladrona” e poi andavano al governo col “vecchio sistema”. Il MoVimento doveva governare da solo, costi quel che costi, altrimenti opposizione a vita.

Proprio come Bossi, fallito il progetto, Beppe viene messo da parte, scavalcato da arrivisti senza scrupoli che per soldi e potere piscierebbero sulla tomba dei propri genitori pronti, ovviamente, a stringere accordi di governo anche con la Lega.

E se ne va.

Non so se il “nuovo Blog” avrà successo, ma spero che le persone di cui si circonderà Beppe siano all’altezza della sua mente vulcanica e della sua curiosità, talenti che è delittuoso sprecare com’è stato fatto negli ultimi anni. Spero che si diverta almeno la metà di quanto ci siamo divertiti in quegli incredibili anni tra il 2006 e il 2010.

Buona fortuna, Beppe. E grazie lo stesso.