Del perché è sbagliato dileggiare il M5s

Senso di appartenenza e voglia di rivalsa crescono con gli insulti

Da quando il MoVimento ha vinto le elezioni ed è entrato nell’area di governo, si è (di nuovo) scatenato il dileggio nei confronti dei loro leader e dei loro elettori.


Personalmente l’ho notato nei commenti di amici e parenti, prima ancora che su Democratica — l’organo di informazione del PD — , che ieri ha prodotto la copertina che vedete.

Dai classici (“populisi”, “antipolitici”) ai più recenti (“buffoni”, “sono il nulla”) per arrivare ai “pop corn” di Renzi e alla copertina di Democratica, sembra che la reazione sia, ancora una volta, superficiale.

È un errore, lo è sempre stato. Dal celebre video di Fassino (“Grillo si faccia un partito, vediamo quanti voti prende”) alle prese in giro dei Renziani (“Ciaone”), il risultato è sempre stato un aumento di consensi.

Sono due i meccanismi che si innescano e che alimentano reazioni opposte a quelle sperate, una nei militanti l’altra negli elettori.

Nei militanti, il più classico: il senso di appartenenza. L’effetto assedio ha permesso in questi anni di cementare i rapporti, anche personali, interni al MoVimento, come difesa contro l’avversario. È stato l’alibi, tante volte, per prendere decisioni autoritarie, espellere supposti “infiltrati” dei partiti e, in definitiva, per rendere impossibile il confronto interno al partito che avrebbe reso molto più deboli alcuni argomenti di successo in campagna elettorale.

Nell’elettorato, il più deleterio: non puoi deridere l’avversario sottintendendo che sia un incapace perché, allora, bisognerebbe spiegare come han fatto gli incapaci a vincere contro di te le elezioni, e se, per caso, forse, tu non sia meno capace di loro. Il risultato di questa distonìa è a tutto vantaggio del MoVimento, soprattutto ora che ha già vinto.

Se si dà per scontato che “tanto non combineranno nulla” si crea l’alibi per evitare di pensare un’alternativa credibile e senza alternativa continueranno a vincere loro.