Quel giorno che la Russia invase l’Italia

La propaganda e noi


di Nicola Biondo e Marco Canestrari


Segnatevi questa data, sabato 29 ottobre 2016.

Quel giorno la macchina della propaganda russa tentò un esperimento di manipolazione mediatica senza precedenti in Italia e in Occidente.

Ai giornalisti moscoviti di Russia Today — TV finanziata dal Cremlino amata dal Presidente Rai designato Marcello Foa — venne ordinato di contrabbandare una manifestazione del Pd a favore del Sì al referendum come una ribellione contro il capo del governo Renzi.

Titolo della diretta Facebook: «Proteste in Italia contro il premier». Diffondendo una versione completamente opposta della realtà, la diretta web raggiunse un milione e mezzo di contatti e da qui tracimò sui social italiani soprattutto di fede grillina.

Il Russia-gate americano non era ancora scoppiato e pochissimi fecero caso alla vicenda.

Quella fu la prova generale. Russia Today mise in piedi altrove analoghe operazioni. In Francia contro il candidato Macron: fu insinuato che fosse gay e nascondesse un amante.

Operazioni che porteranno Google a de-indicizzare questi e altri articoli dalle sue news per l’utilizzo di messaggi “ripetitivi, falsi e strumentalizzabili”.

Ma è tardi: la questione dell’influenza russa in Italia ha prodotto un livello di polarizzazione tale da indurre a chiedersi se non fosse proprio questo — più che l’influenza diretta sui processi democratici — l’obiettivo del regime di Putin.

Supernova è in libreria e su Amazon: la storia del M5s raccontata dai più stretti collaboratori di Gianroberto Casaleggio

Prendiamo l’ultimo episodio, la campagna contro il presidente Mattarella fomentata dal Movimento 5 Stelle. Gli osservatori sono divisi tra chi definisce ridicole le ipotesi di interferenza russa e altri che hanno interpretato le poche informazioni disponibili come la prova di tale ingerenza. In realtà quei dati nulla ci possono dire sull’esistenza o l’efficacia di “operazioni” di Mosca nel nostro Paese.

Eppure il tema va affrontato in fretta e con serietà: basta elencare i fatti accertati, come quello che abbiamo raccontato, per rilevare che la Russia mette in atto strategie di propaganda che influenzano l’opinione pubblica, come Al Quaeda e ISIS quando ci terrorizzavano coi filmati dei combattenti diffusi su Internet.

Che questo avvenga è lapalissiano: senza scomodare reti di account falsi su Twitter e Facebook, il Cremlino finanzia organi di stampa online e televisivi anche in lingua italiana, come RT e Sputnik. Iniziative editoriali che, tra le altre cose, alimentano l’immagine di Putin come “uomo forte”, distorcono le notizie su temi di interesse russo — come l’annessione illegale della Crimea -, pubblicano perfino notizie false sulle nostre vicende domestiche. È il metodo usato anche dai Casaleggio sul Blog di Grillo nel 2016: foto di una piazza gremita per il Papa con una didascalia ad effetto, “MAREA UMANA IN PIAZZA, LA GENTE NON NE PUÒ PIÙ’. PARTE LA RIVOLTA”.

Mosca ritiene sia proprio interesse finanziare pubblicazioni propagandistiche in occidente: gli esperti di diplomazia internazionale e geopolitica, immaginiamo, si saranno chiesti perché.

Noi ci interroghiamo sul metodo. Il rapporto “Infosfera” presentato a luglio dal Centro Studi Democrazie Digitali ha indagato la dieta informativa degli italiani con risultati inquietanti tanto che nella sua introduzione avverte che “ignorare la denuncia della sistematica manipolazione dell’opinione pubblica significherebbe […] nascondere la testa nella sabbia perché il pericolo si avvicina”.

Viviamo in uno stato di costante esposizione alle notizie e di continua relazione e interazione: un “sovraccarico informativo” che stressa ogni istante la nostra attenzione.

Questo “information overload” è uno dei motivi per cui si possono ingannare le persone sull’affidabilità di fonti e notizie: per “difenderci” cediamo alla comodità di considerare affidabili i nostri amici e parenti, la tv e i giornali. Un contenuto diffuso da un conoscente, un profilo Twitter certificato, un sito o una pagina Facebook ben curati sono spesso considerati affidabili a prescindere, secondo i dati del report. Siamo talmente bombardati di notizie che ne basta una ben presentata che il nostro subconscio la classifica come credibile anche se falsa.

Questo fenomeno riguarda anche i professionisti della comunicazione.
I tweet contro Mattarella avrebbero raggiunto poche migliaia di utenti se i media non ne avessero parlato, ma quel social è molto frequentato da giornalisti e opinion maker che hanno esportato il dibattito fuori dalla piattaforma. Possiamo dedurne che per influenzare l’opinione pubblica basterebbe orientare il dibattito degli individui più influenti i quali, in questo momento storico, frequentano per lo più Twitter. I tweet non vanno “contati” ma “pesati”: sono bastate un paio di attività “sospette” sui tre milioni di record pubblicati un mese fa per sollevare il polverone e influenzare l’opinione pubblica.

In Italia, ad aggravare la situazione, abbiamo i nostri “utili idioti”: aziende che hanno rilanciato propaganda di RT e Sputnik perché redditizia e giornalisti influenti che, rifiutando luddisticamente i nuovi strumenti di comunicazione, non ne comprendono le dinamiche e ridicolizzano chi invece, seppur con errori ed eccessi, tenta almeno di studiarle.

Proprio dal giornalismo, invece, dovrebbe partire la ricerca della soluzione di un problema talmente vasto che sta già mettendo a rischio la tenuta dei nostri sistemi democratici.


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Quanto durerà la bromance gialloverde?

Ho lanciato un sondaggione su Twitter per capire il clima nella mia filter-bubble sulla durata del governo. Il risultato non mi ha stupito affatto: oltre la metà pensa che il governo cadrà dopo le europee: verosimilmente rappresenta niente più della speranza di chi ha risposto. Speranza condivisibile, ma temo illusoria.

Non so quanto durerà Conte, ma gli interessi dei partiti di governo e dei rispettivi gerarchi sono più numerosi e profondi di quello che sembrano. Non lasciatevi ingannare dalle pavide uscite del presidente della Camera Roberto Fico: dei protagonisti della sua tentata rivolta non c’è più traccia. La più esposta, Laura Castelli, fonte primaria del nostro libro Supernova, ha cercato — senza successo — di ottenere un ministero, ma il passaggio nelle truppe del ragazzino di Pomigliano le ha comunque fruttato un sottosegretariato. Altri, penso a Dario Tamburrano che non credo sia felice nel vedere 177 persone sequestrate su una nostra nave militare, non dicono una sola parola su quanto sta avvenendo. Le europee sono vicine.

Ci sono fattori storici, politici, economici e umani che rendono improbabile una prematura rescissione del contratto di governo. Vediamo quali.

I fattori storici

In questo Parlamento e nel Paese non c’è una maggioranza diversa da quella attuale. La destra alleata della Lega negli enti locali è ormai quasi inesistente a livello nazionale; a sinistra c’è aria di smobilitazione. Se per ipotesi cadesse il governo non ci sarebbe verosimilmente altro da fare che andare al voto, con risultati non dissimili a quelli di marzo.

I fattori politici

Ma lo stesso voto anticipato è un’eventualità assai remota. Questa legislatura è caratterizzata dal record storico di parlamentari di prima nomina, molti dei quali veri e propri miracolati che, inseriti come riempilista, non si aspettavano di passare in una notte da un reddito spesso inesistente a 150.000€ all’anno.

Allo stesso modo, molti membri del governo capiscono che una congiunzione astrale come quella di quest’anno difficilmente si ripeterà. La Lega è riuscita a smarcarsi da Berlusconi senza perdere le regioni; il M5S ha ottenuto un risultato ben oltre le attese che gli ha permesso, tra l’altro, di sedare i malumori interni distribuendo cariche nelle commissioni e perfino alla Presidenza della Camera; premiando, contemporaneamente, tutti i membri del clan che ha scalato il Partito. Difficile il bis.

Se, sempre per ipotesi, si tornasse al voto i rapporti di forza con la Lega sarebbero probabilmente invertiti: prima di rischiare questo, Di Maio concederà a Salvini pure le mutande.

I ruoli che si sono distribuiti nell’alleanza consentono sia alla Lega che al MoVimento 5 Stelle di perseverare nelle rispettive propagande, che non sono affatto incompatibili: v’è accordo su tutto, ma Salvini va forte sulle orme di Telesio Interlandi mentre Di Maio è un utile soggetto di ricerca per la dimostrazione dell’effetto Dunning-Kruger. Quando gli ricapita?

I fattori economici

Abbiamo già accennato al fatto che un buon 60% di parlamentari sta incassando il biglietto vincente della lotteria. C’è un’altra persona con un biglietto da 10 milioni di euro da riscuotere a rate: Davide Casaleggio. Tramite la sua Associazione Rousseau intasca ogni mese 300 euro da ciascun parlamentare, più altre somme variabili a seconda della carica dagli altri eletti del MoVimento 5 Stelle. Inoltre, due dei suoi tre soci, Bugani e Dettori, hanno un comodo stipendio pubblico, il che gli consente forse di risparmiare qualcosa in casa Rousseau oltre ad avere accesso ai profittevoli salotti romani (remember Lanzalone?). Come sia possibile tutto questo l’abbiamo spiegato in passato e ci torneremo anche in futuro, ma è chiaro che Junior spenderà tutta la sua — molta — influenza per mantenere questi privilegi.

I fattori umani

Infine, non dobbiamo dimenticare che tutti i protagonisti di questa vicenda hanno davvero l’occasione irripetibile della vita. Salvini e Di Maio non hanno lavorato un giorno in vita loro; Roberto Fico si arrabattava per campare; Di Battista sta viaggiando il mondo coi soldi nostri e quelli di Berlusconi, facendosi pure pagare dal Fatto Quotidiano (che è, oggettivamente, un capolavoro commerciale degno della Chicago degli anni Venti).

Non si può, francamente, pretendere che queste persone mollino tutto solo perché sono degli incapaci che stanno mandano il paese alla rovina. Sarebbe davvero chiedere loro troppo.

La scalata di Davide: come controllare un Paese del G7 con 300 euro. Parte 3

La sede legale di Rousseau è in via Gerolamo Morone 6, la stessa della Casaleggio Associati, il presidente dell’Associazione Rousseau è lo stesso della Casaleggio Associati, il sistema operativo dell’Associazione Rousseau è stato realizzato dalla Casaleggio Associati, il simbolo dell’Associazione Rousseau è stato registrato della Casaleggio Associati.

Il primo dipendente a tempo pieno dell’Associazione Rousseau — il fido Pietro Dettori — è un ex dipendente della Casaleggio Associati.

Ma se è normale che un padre lasci in eredità le quote azionarie dell’azienda che ha fondato al figlio, molto meno normale è che gli lasci la gestione organizzativa e tecnica del partito che ha fondato.

Cosa che avviene in due passaggi rimasti segreti fino a quando, alla fine dell’inverno 2018, un’inchiesta di Luciano Capone su Il Foglio la rende pubblica.

Quattro giorni prima di morire nella sua stanza dell’Istituto Auxologico, di fronte Gianroberto si presenta un notaio. È il momento in cui si decide la successione a Davide che riceve in consegna vita natural durante la gestione e il controllo del MoVimento.

La tempistica, lo ripetiamo, è davvero particolare: da oltre due anni il Samurai conosce la sua prognosi, eppure aspetta fino all’ultimo per sancire da un letto d’ospedale, in condizioni disperate, il passaggio di consegne.

Nasce così l’otto aprile 2016 l’associazione Rousseau, per «promuovere lo sviluppo della democrazia digitale nonché coadiuvare il MoVimento 5 stelle». È composta da solo due persone, padre e figlio, costo dell’operazione notarile, 300 euro. Non basta: con gli articoli 6 e 13 dell’atto costitutivo il potere di Casaleggio jr viene blindato: il ruolo di presidente di Rousseau sarà per sempre nelle mani di uno dei due Fondatori, solo che uno è moribondo, attaccato da due anni da un tumore al cervello e di lì a quattro giorni scomparirà.

Ancora non basta. Una settimana dopo Davide convoca una riunione rimasta segreta per due anni in cui cambia l’atto fondativo di Rousseau. Rimasto l’unico membro di Rousseau, è necessario modificare lo statuto in modo da affidare «la gestione e la rappresentanza della Associazione a un singolo amministratore».

Per farlo ha però bisogno di due «prestanome». Il 20 aprile 2016, di fronte allo stesso notaio di qualche giorno prima, si presenta Davide Casaleggio con due nuovi soci: Federico Maria Squassi e Michelangelo Montefusco.

Sono gli avvocati che, tra le altre cose, inviavano ai militanti le lettere di espulsione a seguito dei post scriptum sul Blog di Grillo. Squassi e Montefusco entrano in Rousseau «per consentire a Casaleggio — scopre Capone — l’abolizione di un organo collegiale come il Consiglio direttivo e per accentrare tutti i ruoli decisionali in un’unica figura, con i più ampi poteri di gestione e di rappresentanza ordinaria e straordinaria» e «senza limitazione alcuna». La «nuova assemblea» approva all’unanimità la nomina di Davide Casaleggio, che si astiene. Dopo la riunione, i due legali entrati in Rousseau escono dall’associazione. È passata un’ora appena. Il gioco è fatto, l’italian job di Davide riesce perfettamente.

È la nascita di qualcosa di unico al mondo: Davide diventa gestore a vita dei big data del MoVimento, delle sue procedure decisionali, lega a sé, anche economicamente, le sorti del primo partito italiano con una associazione privata. Ed è il capo di una società che si occupa di web marketing. Ossia gestisce milioni di dati. Chi ci dice che quei dati non possano essere utilizzati commercialmente?

Ma il mondo fino a quel momento non sa nulla: solo il 25 aprile 2016 sul Blog si annuncia la nascita di Rousseau. Non lo fa Davide ma una lettera postuma di Gianroberto: lo statuto che lui ha firmato mentre si trovava in condizioni disperate in un letto d’ospedale è però cambiato, come abbiamo visto.

Il 5 maggio Davide Casaleggio ammanta la sua operazione con un gesto «liberale»: fa entrare in Rousseau due persone in rappresentanza del M5s, il consigliere comunale di Bologna Max Bugani e l’europarlamentare David Borrelli. I due però, per statuto, non hanno alcun potere: lo dirà lo stesso Borrelli qualche mese dopo. «Non so nulla, sono in quell’associazione perché Beppe mi ha chiesto di esserci, ma è come se non ci fossi. Tutti gli incarichi sono intestati a Davide Casaleggio». Davide trova la sua gallina dalle uova d’oro.

Il nuovo statuto del partito, datato 30 dicembre 2017, blinda l’accordo con il partito. Gli strumenti informatici del MoVimento saranno forniti da Rousseau, per sempre. Il regolamento per le candidature quantifica una cifra: tutti gli eletti in Parlamento dovranno obbligatoriamente versare una «tassa» da 300 euro al mese nelle casse dell’associazione di Casaleggio.

Provate ad immaginare se Renzi avesse auto in eredità dal padre un’azienda a cui il PD avesse dato in appalto e per sempre il sistema informatico del partito.

Mentre la sua società per tre anni di seguito perdeva fatturato, con 330 eletti la Rousseau di Casaleggio drenerà circa 6 milioni di euro in cinque anni e vedremo se saranno presi dallo stipendio o rendicontati e quindi saranno soldi pubblici. Su come Rousseau spende i soldi c’è buio pesto, così come non sappiamo chi siano i clienti della Casaleggio Associati. Il fornitore di servizi Davide Casaleggio potrebbe dire se il sistema informatico che costa ai parlamentari 300 euro al mese è stato messo a punto dai suoi dipendenti e se questi siano stati pagati? C’è stato un passaggio di denaro tra le due entità dirette dallo stesso presidente?

La piattaforma Rousseau è obsoleta e inefficiente, e per questo preda di incursioni hacker. Chi può negare la possibilità che i dati di Rousseau non siano merce di scambio?

Nonostante le roboanti dichiarazioni sulla democrazia diretta di Rousseau, il contributo degli iscritti all’attività parlamentare tramite la piattaforma online è prossimo allo zero.

Nonostante questo, l’Erede per successione azionaria afferma che i vecchi partiti sono «obsoleti e diseconomici…» mentre noi «garantiamo un servizio migliore e siamo più efficienti».

O anche: «sono un semplice iscritto che offre volontariamente e gratuitamente assistenza tecnica».

Di bugie e segreti questa storia è piena.

Odio la Patria

Mortificazione del senso nazionale


Da molto cercavo le parole, gli esempi e il momento per esprimere al meglio il concetto. Ora li ho trovati.

Io odio la Patria. Non ce l’ho in particolare con l’Italia o gl’italiani: odio il concetto di Patria, residuato dell’epoca più buia della pur breve storia dell’uomo.

Patria, “terra dei padri”: non ha alcun senso provare sentimenti verso una particolare zona del mondo solo perché ci si è nati. Non c’è alcun merito né demerito nel nascere italiano, inglese, francese, americano, giapponese, africano; non c’è un popolo più meritevole di altri per diritto divino o di nascita. Amare la Patria implica un orgoglio di appartenenza che non ha senso di essere, una superiorità intrinseca che presuppone l’indegnità dell’altro in quanto amante di altre patrie. Un abominio antropologico.

È questo il momento giusto per dirlo: in nome della patria, nel paese in cui ho avuto la sorte di venire al mondo, si sta consumando di nuovo l’orrore. È questo il momento in cui meglio si comprende il pericolo dell’amor di patria.

In nome della patria si abbandonano per mare disperati che hanno la sorte non solo di non essere nati entro determinati confini, ma anche di avere la pelle scura.

In nome della patria si tornano a cercare capri espiatori dei propri fallimenti nelle minoranze.

In nome della patria, della sua difesa, lo Stato stringe amicizie coi peggiori autocrati del nostro tempo.

In nome della patria, oltreoceano, s’ingabbiano bambini.

Io provo disgusto per la patria. Anche se fosse vero che la patria stia subendo un abuso e un oltraggio, poco importa: coltivare l’amor patrio è un rischio che non si può correre. È un’arma troppo potente per correre il pericolo che finisca nelle proverbiali mani sbagliate. Un sentimento troppo intenso per essere governato.

L’amor di patria è un ingombrante parassita che in molti, troppi casi si appropria degli spazi propri della misericordia e della pietà umana. Un virus che si moltiplica nutrendosi e fagocitando la compassione.

Io, figlio, fratello e cognato di militari, fui tra coloro che apprezzarono il ritorno della parata del due giugno, dei tricolori per le strade, dei festeggiamenti per il la ricorrenza della fondazione della Patria. Penso ora che le scelte del presidente Ciampi siano state sciagurate: è troppo semplice, per chi non conosce vergogna, trasformare l’omaggio a chi offre la propria vita per la sicurezza dei connazionali in una prova muscolare di bullismo.

Le nostre società hanno bisogno degli Stati per organizzarsi: questo è comprensibile. Ci servono regole, strutture, organi che garantiscano il vivere civile. Ho rispetto per l’autorità dello Stato e delle organizzazioni sovrastatali quando sono funzionali a garantire libertà, diritti e servizi alla comunità. Ammiro quelle comunità e quegli Stati che stabiliscono regole semplici per aderire alle loro carte fondamentali dei valori tramite ciò che chiamiamo cittadinanza. Cerco con curiosità di arricchire la mia comprensione del mondo attraverso la scoperta delle culture che abitano e fanno vivere la mia città, Londra.

Non ho invece rispetto per la patria che subordina libertà e diritti in funzione del luogo di nascita, un principio privo di qualsiasi logica che accetti l’uguaglianza di tutti gli uomini e donne.

Se questo è la patria, io odio la patria.

Casaleggio Associati promette contatti e relazioni a chi la sponsorizza

Tocca tornare sul conflitto di Interessi di Davide Casaleggio, alla luce delle notizie emerse in questi giorni, visto che la sua azienda, Casaleggio Associati, promette condivisione di contatti e relazioni per chi gentilmente sponsorizza le sue indagini di mercato.

Riassunto: la scorsa settimana Casaleggio era a cena, tra gli altri, con Luca Lanzanone, arrestato il giorno seguente ai domiciliari nell’ambito dell’inchiesta sullo Stadio della Roma, #unaretatafattabene insomma.

Lanzalone è un avvocato di fiducia in ambienti 5 Stelle ed è, tra l’altro, colui che avrebbe scritto materialmente il nuovo statuto del MoVimento 5 Stelle, che assegna all’Associazione privata Rousseau — presidente sempre il nostro Casaleggio — la gestione della comunicazione (Blog delle Stelle) e della democrazia (piattaforma Rousseau) del Movimento. Per svolgere questi compiti, il regolamento M5s prevede che parlamentari e consiglieri regionali versino 300 euro al mese ciascuno, tra i 5 e i 9 milioni di euro nell’arco di una legislatura.

Casaleggio ieri, nel rispondere imbarazzato alla domanda di un giornalista, ha fatto intendere che i due si fossero trovati in quel ristorante quasi per caso. Purtroppo il Fatto Quotidiano e Repubblica, tra gli altri, hanno documentato come quella fosse in effetti una cena di finanziamento organizzata da un’altra entità della galassia Casaleggio: l’Associazione Gianroberto Casaleggio, i cui soci sono ignoti ma il presidente si conosce: sempre Davide. Alla cena, non la prima invero, erano presenti imprenditori, collaboratori del Movimento, parlamentari. Almeno un socio di Casaleggio Associati, a guardare il suo account Instagram, si trovava a Roma quel giorno quindi è presumibile che fosse anche lui presente.

Un bel groviglio di interessi mediatici, politici, imprenditoriali attavolato a due passi dal Senato della Repubblica per parlare di lavoro, sviluppo economico, welfare. Mancava solo il ministro competente.

Come abbiamo raccontato in Supernova, i Casaleggio non sono nuovi all’utilizzo delle proprie relazioni a vantaggio ora della propria azienda, ora del Movimento o di qualche cliente.

Sarebbe opportuno che saltasse fuori la lista degli invitati, per un motivo preciso. Tra le varie attività di Casaleggio Associati c’è l’ormai noto rapporto annuale sull’e-commerce, presentato quest’anno a Milano e a Roma. Ebbene, visitando la pagina web dell’evento, si scopre che agli sponsor del rapporto di quest’anno viene offerta — come benefit, carte vincenti” — il networking e i contatti che l’azienda può fornire, senza ben specificare quali. Per caso tra gli invitati a quella cena c’era qualcuno dei finanziatori dei convegni di quest’anno, che sarebbe potuto così entrare in contatto e in relazione anche con i politici che hanno rapporti con Casaleggio?

Lanzalone, Casaleggio e i milioni di euro

È stato Luca Lanzalone a scrivere il nuovo Statuto del Movimento 5 Stelle e quindi a consegnare, di fatto, a Davide Casaleggio il potere negoziale e di condizionamento di cui gode nel Movimento 5 Stelle; e , soprattutto, la possibilità di raccogliere dai parlamentari M5s, nell’arco della legislatura, quasi sei milioni di euro per la sua Associazione privata, Rousseau.

Abbiamo raccontato in Supernova il “metodo Casaleggio” per la gestione delle relazioni, del potere e del denaro. Abbiamo scritto di come Davide Casaleggio utilizzi il suo ruolo di presidente dell’Associazione Rousseau per promuovere la propria immagine e la propria azienda; di come, secondo un ex dipendente di Casaleggio Associati, a Milano tenessero sotto controllo le elezioni per le primarie di Roma in tempo reale; di come Davide sia infine riuscito a blindare la sua associazione privata nello Statuto del Movimento 5 Stelle e imporre agli eletti una quota da versare a tale soggetto.

Sul Foglio, Luciano Capone ha documentato come Casaleggio sia diventato il dominus dell’Associazione Rousseau appena morto suo padre Gianroberto.

Oggi, grazie all’inchiesta sullo Stadio della Roma, sappiamo chi ha permesso a Davide Casaleggio di consolidare questo suo potere, non esplicitato in alcuna carica elettiva nel partito ma infilato nella scatola cinese dell’Associazione Rousseau: Luca Lanzalone. Nel “giro” dal 2016, è stato consulente per la giunta Nogarin a Livorno, per la giunta Raggi a Roma fino a diventare presidente di Acea e ha pure rappresentato, col suo studio, Grillo e il M5s nelle cause intentate da alcuni attivisti espulsi.

Repubblica e il Fatto scrivono oggi che Lanzalone, poche ore prima del suo arresto, era a cena con Davide Casaleggio* e alcuni importanti rappresentanti del Movimento. Il Fatto si spinge a ipotizzare che abbiano parlato di nomine e Marco Travaglio, nel suo editoriale, descrive il rapporto tra i due come “intimo”.

La stampa di oggi è sostanzialmente unanime nel ritenere che sia stato proprio Lanzalone a scrivere lo Statuto del Movimento che consegna all’Associazione Rousseau di Davide — e solo a lei — il compito di amministrare e sviluppare gli strumenti di democrazia diretta e la comunicazione ufficiale (Il Blog delle Stelle) del Movimento. Sulla base di questo Statuto, viene chiesto agli eletti in Parlamento (e nei consigli regionali) di versare una quota di trecento euro mensili all’Associazione. Oltre a sviluppare la piattaforma Rousseau, con risultati piuttosto scarsini finora dato che il Garante della Privacy ha aperto una pratica per il modo con cui vengono trattati i dati personali degli iscritti, Casaleggio ogni tanto usa questi soldi e l’organo ufficiale del partito di governo per pubblicare le proprie interviste sui rapporti prodotti dalla sua Azienda — Casaleggio Associati.

Di recente Casaleggio ha lanciato l’iniziativa “Rousseau Open Academy”: ci apriamo al mondo creando uno spazio per tutti coloro che vogliano mettersi a disposizione degli altri per creare questa conoscenza”. Un’iniziativa culturale promossa dalla sua Associazione privata, insomma, che gli permetterà di ampliare la sua rete di relazioni all’estero. A nome di Rousseau, però, non a nome del Movimento, anche se i finanziamenti arrivano dalle donazioni dei parlamentari e degli attivisti che frequentano il Blog delle Stelle.

Davide si è costruito, grazie anche all’aiuto di Lanzalone, un ruolo centrale anche se non strettamente politico, non sottoposto a controllo democratico: il presidente di Rousseau non viene eletto, quindi non è in discussione; Rousseau è l’unico fornitore possibile da Statuto del Movimento, quindi non può essere cambiato. Casaleggio usa questo ruolo anche per promuovere se stesso e le sue attività di imprenditore: quando i giornalisti lo incontrano agli eventi, sono costretti a chiedergli se parla nel suo ruolo di Presidente di Rousseau o Presidente di Casaleggio Associati.

Viene da chiedersi se sia democraticamente igienico, ammesso che l’episodio sia confermato, che Davide Casaleggio, che tanto deve a Luca Lanzalone, venga invitato alle cene con esponenti del partito e con lo stesso Lanzalone per parlare di “nomine”.

Mattarella e la tenuta delle democrazie

Ridisegnare gli Stati per sopravvivere al progresso


Risulta ogni giorno più evidente che, in Italia e nel mondo, le nostre strutture democratiche sono sottoposte a uno stress test di portata storica che non è detto verrà superato.

Gli Stati occidentali moderni sono stati progettati dopo la Seconda Guerra Mondiale: all’epoca i poteri erano retti da equilibri tutto sommato semplici da organizzare, basandosi sul principio della separazione dei poteri. Anche il contropotere proprio delle società democratiche, l’informazione, ha assolto alla funzione di accompagnare e filtrare le carriere dei “potenti”, fossero essi politici, amministratori, vertici aziendali.

Anche quando i filtri non funzionavano, c’erano comunque gli anticorpi: Nixon fu costretto alle dimissioni grazie a un’inchiesta giornalistica, quando la professione di giornalista godeva della necessaria considerazione, nel
pubblico, e della necessaria credibilità.

L’esercizio del potere subiva una serie di controlli e bilanciamenti tali da determinare un consenso pubblico rispetto al funzionamento del sistema. Un delicato equilibrio scolpito nelle nostre Costituzioni.

Quell’equilibrio non esiste più.

In vent’anni il DNA delle nostre società è mutato, nel bisogno di essere rappresentati e nel bisogno di comunicare. L’innovazione tecnologica ha messo nelle tasche di ciascuno di noi la possibilità concreta di comunicare senza filtri e senza contropoteri.

Oggi si manifestano le conseguenze di questo fatto. Ai vertici delle istituzioni arrivano personalità senza alcuna preparazione tecnica o politica, avendo facoltà di mentire e cambiare posizione a distanza di poche ore su qualsiasi argomento. Non tanto perché il giornalismo non fa più il suo mestiere ma perché, anche per colpe proprie nel capire come stava cambiando il mercato editoriale, è diventato un contropotere inefficace. I leader politici, per scalare le istituzioni, non hanno più bisogno dell’intermediazione del giornalismo: il rapporto con la base elettorale è diretto, immediato inteso come senza mediazione. Possono mentire senza perdere consenso, perché chi lo farà notare — il giornalista — non sarà più interlocutore di quella base elettorale, che prima — appunto — mediava il rapporto, e quindi non sarà ascoltato.

Il caso italiano è esemplare: i leader possono forzare gli equilibri costituzionali con successo, perché nessun contropotere ha più la forza di contrastarne le argomentazioni.

Ieri, il Capo dello Stato Mattarella ha esercitato una sua prerogativa costituzionale rifiutandosi di nominare il Ministro dell’economia proposto dal Presidente del Consiglio incaricato. Ci sono decine di commentatori, costituzionalisti, giornalisti, uomini delle istituzioni che confermano il diritto del Presidente di farlo, ma il messaggio che è passato è l’opposto: per l’opinione pubblica Mattarella ha violato la Costituzione.

Da quando le forze “antisistema” hanno infiltrato le istituzioni, abbiamo avuto una crisi ad ogni singolo passaggio previsto dalla Costituzione. E quasi ogni volta la crisi si è superata con una forzatura della Carta: la rielezione di Napolitano, l’elezione di Mattarella a maggioranza semplice (non una forzatura, ma resta comunque un presidente eletto grazie al consenso personale dell’allora segretario del partito di maggioranza relativa), l’attuale crisi di governo, il cui dibattito si basa sull’interpretazione di una prerogativa costituzionale del Presidente della Repubblica.

Da questa situazione se ne uscirà solo con nuovi assetti democratici che tengano conto della mutata distribuzione del potere. Bisogna ridisegnare le istituzioni e i processi democratici, reinventare gli strumenti di partecipazione, aggiornare gli strumenti in mano a ciascun singolo potere e contropotere affinché possano svolgere il loro compito. Questo è un processo inevitabile, e bisogna augurarsi che sarà un processo pacifico e ordinato.

Per tentare di avviarlo nell’alveo delle regole che ancora tengono, se io fossi Mattarella prenderei atto che la natura monocratica della sua funzione non è sufficiente a reggere il peso della sua decisione — dato il contesto — , e chiederei un parere di interpretazione autentica alla Corte Costituzionale, mettendo sul tavolo le dimissioni. In questo modo al peso della Presidenza si aggiungerebbe quello della Corte nel sostenere le fondamenta delle istituzioni.

Per aggiornare l’infrastruttura democratica in un passaggio storico così complesso servono istituzioni solide la cui autorevolezza sia condivisa. Il rischio, altrimenti, è che si disegnino i nuovi assetti sul principio della legge del più forte.

Vi prendono per il culo

Perché se lo possono permettere


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Io vivo a Londra, in Gran Bretagna.

Due anni fa qui il popolo sovrano si è finalmente ribellato all’élite di eurocrati e ha votato la brexit.

Il referendum è stato voluto dall’élite politica locale, per saldare conti interni al partito di governo, e il fronte del «leave» favorevole alla separazione dall’Unione Europea era guidato da Nigel Farage, consumato politico sovranista alla Salvini, col cuore a Londra, stipendio e portafoglio a Bruxelles, potenziale passaporto a Berlino, essendo sposato a una donna tedesca.

Sapete cos’è successo il giorno dopo il referendum? Io, che vengo pagato in euro, non ho debiti e ho un reddito alto, sono diventato più ricco del 15% mentre il fattorino dell’Asda che mi porta la spesa a casa si è impoverito del 15% rispetto ai suoi colleghi europei. Lo potete vedere in questo grafico, che rappresenta il cambio Sterlina/Euro.


La freccia indica la Brexit.

Vi prendono per il culo, sul vostro culo.


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Chi ha voluto, promosso, sponsorizzato e finanziato la Brexit non ha subìto alcuna conseguenza. Chi ha un reddito alto ed è in grado di gestirlo adeguatamente distribuisce i risparmi su più valute e investe su diversi mercati, settori, strumenti finanziari. La Brexit ha provocato loro forse una seccatura, che ha comportato il riassetto del portafoglio. Qualche mese e passa tutto.

Chi ci ha smenato subito è, come dicevo, il fattorino che mi porta la spesa a casa. Lui ha uno stipendio in sterline, verosimilmente non altissimo, e verosimilmente non gode di rendite finanziarie. A lui l’inflazione ha causato l’aumento quasi immediato dei prezzi al supermercato e l’andamento dei tassi quello del mutuo o dell’affitto. E si è impoverito, rispetto agli altri europei e agli americani, del 15%.

Chi soffia sulla rivolta del popolo contro le élite è una parte di quella élite, che spesso soffre di complessi di inferiorità e cerca riscatto giocando al piccolo leader o edulcorando il curriculum. E lo fa sapendo come evitare il proprio disastro finanziario. I Salvini, i Di Maio, i Di Battista, i Casaleggio e i loro strilloni non perdono il sonno se si alza lo spread: per questo ci fanno le campagne elettorali, i video dai tetti, gli editoriali sarcastici e i memini su Facebook senza preoccuparsene. A loro dell’aumento del mutuo o della spesa al supermercato di 100 o 200 euro al mese non frega un cazzo.

Loro Savona, quintessenza dell’élite, se lo possono permettere. Una crisi istituzionale senza precedenti se la possono permettere. Voi no.

Il culo che scommettono è il vostro, non il loro.


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Laura Castelli era una nostra fonte

Ieri abbiamo svelato una delle fonti di Supernova, il libro che abbiamo scritto per raccontare segreti, bugie e tradimenti del Movimento 5 Stelle e abbiamo consegnato a Repubblica documenti che provassero lo scambio di informazioni. A Repubblica abbiamo spiegato le motivazioni che ci hanno portato a fare questa scelta:

Ci siamo chiesti a lungo se continuare a coprire una delle tante fonti che ci hanno permesso di scrivere Supernova e che sapevamo stesse mentendo pur essendo un Parlamentare della Repubblica. Ora pare che occuperà addirittura ruoli di governo. Prima che accada, riteniamo giusto fornire ai lettori le informazioni in nostro possesso utili a giudicare i comportamenti di un possibile ministro o sottosegretario. Si è dimostrata capace di comportamenti pubblici opposti a quelli privati per fini che, evidentemente, attenevano alla sua personale carriera e crediamo che l’interesse pubblico prevalga sulla necessità deontologica di tutelare una fonte.

Come ci aspettavamo, abbiamo ricevuto critiche che possiamo sintetizzare in: avete sbagliato, le fonti non si rivelano.

Non abbiamo preso questa decisione né in fretta né a cuor leggero. È evidente che rompere il patto che lega lo scrittore/giornalista alla sua fonte è un atto che va ragionato — e per questo ci abbiamo riflettuto per mesi anche chiedendo consiglio ad alcuni amici giornalisti — e spiegato. Eccoci qui, dunque.

Un parlamentare di peso aveva deciso, consapevolmente, di aiutarci in una “operazione trasparenza” rispetto ai metodi utilizzati dai suoi colleghi di partito per arrivare al potere. Laura Castelli, rispondendo alle nostre domande e sapendo che le sue risposte sarebbero state riportate nel nostro libro, ci ha raccontato l’influenza di uomini di Casaleggio Associati sui parlamentari, incluso il vicepresidente della Camera; i metodi della propaganda; la road map per scalare il partito ed escludere dalla catena decisionale i suoi fondatori. Soprattutto, ci ha raccontato in diretta la rivolta della fine del 2016 per impedire quella scalata. Fu una delle anticipazioni di Supernova, che dal Movimento negarono con forza. Voleva denunciare i metodi imperanti per farli conoscere attraverso di noi, ma poi ha deciso di usare quegli stessi metodi per raggiungere il successo personale.

Supernova è ora in libreria e su Amazon

Molti mesi fa, improvvisamente, Castelli ha deciso unilateralmente di non essere più una nostra fonte. Anche allora, e fino a ieri, abbiamo onorato la nostra parte di accordo continuando a garantire che la sua identità rimanesse coperta.

Quali fossero i suoi interessi non ci riguarda. Noi abbiamo anzitutto siglato un accordo con i nostri lettori quando abbiamo chiesto loro di finanziare il nostro lavoro, promettendo di raccontare tutto quanto avessimo scoperto: per farlo, abbiamo stretto un patto, subordinato a quell’accordo, con un influente parlamentare della Repubblica: informazioni in cambio di anonimato. L’On. Castelli era consapevole che le sue rivelazioni sarebbero state utilizzate per il nostro lavoro.

Il nostro impegno con voi lettori non è cambiato: abbiamo continuato a raccontarvi quanto ritenevamo fosse di interesse pubblico. Ed è questo che ha prevalso nella nostra decisione.

Era noto che l’On. Laura Castelli fosse in procinto di entrare al governo come ministro delle Infrastrutture o della Pubblica Amministrazione. Nel primo caso avrebbe gestito qualche centiaio di miliardi di euro di soldi pubblici, nel secondo le vite lavorative di oltre tre milioni di dipendenti dello Stato. Abbiamo ritenuto che fosse prevalente l’interesse del pubblico, tutto il pubblico, non solo chi ha letto il nostro libro, avere le informazioni in nostro possesso per formarsi una più completa opinione su un possibile futuro ministro, in predicato per ruoli così importanti.

Se non l’avessimo fatto, peraltro, l’On. Castelli avrebbe svolto le sue mansioni sapendo che avevamo queste informazioni in nostro possesso e che, se avessimo voluto, avremmo potuto renderle pubbliche.

Ci ha colpito, tra tutti i commenti ricevuti, la frase di un importante giornalista: “Tutti hanno mail e sms pregressi di politici assortiti e importanti. Ma se li tengono.”

Questa affermazione rivela una realtà: nella classe dirigente di questo Paese ci sono due categorie, politici e giornalisti, vincolate da una rete di influenze che si tengono tra loro. Rete, intendiamoci, legittima finché i giornalisti la utilizzano per il fine ultimo di consegnare ai lettori quante più informazioni possibili sui servitori pubblici.

Noi non pensiamo che tutte le fonti vadano rivelate. Non sempre il politico, nel fornire le notizie al giornalista, mente al suo elettorato. Quando lo fa, però, diventa una notizia. E se quel politico deve gestire miliardi di euro di soldi pubblici o milioni di contratti del pubblico impiego allora è una notizia che riteniamo degna di essere divulgata. A quel punto, e questo abbiamo ritenuto fosse il caso, sulla garanzia a un potente prevale il patto coi lettori ai quali abbiamo promesso di far giungere le notizie.

Marco Canestrari e Nicola Biondo

Il Garante non garantisce Rousseau

Il Garante della Privacy Antonello Soro non si fida di Davide Casaleggio. Impone di fornire all’Autorità il codice della piattaforma Rousseau, la dichiarazione di un professionista o una società terza sulla sicurezza delle nuove modifiche e, soprattutto, prende in carico personalmente la pratica.

È questa la sintesi del nuovo provvedimento, datato 16 maggio 2018, che segue quello dello scorso dicembre e riguarda lo stato di avanzamento delle prescrizioni imposte al capo-ombra del MoVimento 5 Stelle.

La vicenda inizia ad agosto dello scorso anno quando la piattaforma Rousseau subisce due violazioni di sicurezza, qui raccontate dall’ottimo David Puente, talmente gravi da mettere in allarme il Garante della Privacy. Viene condotta un’indagine che si conclude con alcune prescrizioni: vanno garantite la sicurezza del voto e la protezione dei dati personali. L’indagine, infatti, aveva fatto emergere una grave insufficienza tecnica e, soprattutto, aveva confermato che i voti espressi sulla piattaforma sono direttamente riconducibili agli iscritti.

Per le violazioni riscontrate, l’Associazione Rousseau è già stata multata per 32.000 euro dal Garante.

Ebbene, il provvedimento di due giorni fa segna anzitutto un cambio di passo. A differenza del precedente, il relatore è personalmente il Presidente dell’Authority Soro. In gergo si chiama “escalation”: ora se ne occupa il massimo livello, segno della gravità del caso e dell’insufficienza delle risposte fornite dall’Associazione Rousseau e da Davide Casaleggio.

Analizziamo nel dettaglio il nuovo provvedimento.

Nella prima parte, si dà notizia di due comunicazioni, una del 20 febbraio da parte di Casaleggio l’altra di una settimana dopo, il 27, da parte di Beppe Grillo.

Nella prima, Casaleggio “ha dato conto delle misure di sicurezza già adottate chiedendo, al contempo, la proroga del termine fissato dal Garante” per implementare un sistema che consenta di tracciare gli accessi e le operazioni effettuate sul database. Insomma, si chiede la certificazione del voto da parte di un ente terzo. Questa prescrizione è richiesta perché il sospetto è che il sistema di e-voting sia consultabile e/o manipolabile da soggetti non autorizzati e/o per motivi diversi dalle finalità previste. Come ho raccontato più volte, Casaleggio ha potenzialmente accesso a tutti i dati degli iscritti, ed è questo che gli conferisce un potere di influenza sul Movimento che il Garante, evidentemente, ritiene di dover limitare. Eppure implementare un sistema di “log” non è tecnicamente così difficile, men che meno richiedere a un ente terzo di certificare le procedure di voto: l’hanno già fatto in passato. Chissà perché si richiede una proroga di addirittura sei mesi.

Grillo, invece, si defila: rimanda tutte le richieste all’Associazione Rousseau e si assume la responsabilità solo per il nuovo Blog, attraverso il quale non vengono raccolti dati personali. In breve: Casaleggio è solo, se la deve sbrigare lui, Grillo non tira fuori un soldo.

Si passa poi ai “profili di criticità” emersi nella comunicazione di Casaleggio del 20 febbraio “rispetto ai quali si rende necessario acquisire ulteriori informazioni e/o documentazione al fine di poter valutare l’effettivo adeguamento alle prescrizioni impartite”. Insomma: Soro non si fida e vuole vedere le carte. In un modo, come vedremo, del tutto inusuale: un ulteriore indizio della serietà della situazione.

Ecco le criticità.

Primo: Casaleggio ha informato delle nuove misure di sicurezza in una comunicazione considerata “temporaneamente soddisfacente”; il Garante però vuole che glielo dica un professionista terzo indipendente, non l’Associazione, e infatti la risposta “deve essere integrata con l’indicazione dell’operatore (società o professionista) che ha condotto l’assessment e dagli esiti di tale attività in forma di report tecnico”.

Secondo: era stato richiesto che gli utenti utilizzassero necessariamente password sicure, più lunghe di otto caratteri e sottoposte a una verifica di complessità. Il Garante ritiene la prescrizione applicata solo parzialmente: al momento vale solo per i nuovi iscritti mentre dovrebbe essere imposta anche a quelli vecchi. Addirittura si spinge a dare un suggerimento imbarazzante per l’Associazione Rousseau, che ci sarebbe dovuta arrivare da sola: “Occorre piuttosto intraprendere una campagna di invito alla modifica della password nei confronti degli interessati già iscritti, prevedendo l’obbligo di attuare tale modifica alla prima sessione di collegamento utile attivata con le credenziali (tuttora) deboli”.

Terzo: si ritiene soddisfatta la prescrizione di applicare un certificato di sicurezza al dominio, un’operazione banalissima; era già incommensurabilmente grave che non fosse stato fatto prima.

Quarto: “al fine di consentire a questa Autorità di verificare la veridicità di quanto dichiarato, si rende necessario acquisire la documentazione relativa al codice di programmazione modificato […] (cd. codice sorgente)” utilizzato per implementeare un sistema più robusto di sicurezza delle password.

Traduco: dite di utilizzare una tecnologia più sicura per salvare le password. Bene, mi fate vedere se l’avete fatto davvero e come?

La frase così formulata da Soro è gravissima. Dice chiarissimamente di non fidarsi di Davide Casaleggio e sembra chiedere addirittura di visionare il codice sorgente della piattaforma per verificare quanto da lui dichiarato. Per intenderci, è l’equivalente di chiedere al proprio partner di vedere le chat di WhatsApp.
La prescrizione è talmente grave che ho chiesto a un mio collega esperto di sicurezza quanto sia frequente: “non c’è una ragione plausibile per cui un ente garante debba chiedere il codice sorgente”. Se l’ha fatto, dunque, la situazione deve essere davvero compromessa.

Quinto: il Garante prende atto che il Blog di Beppe Grillo è stato spostato su un’altra piattaforma, non gestita dall’Associazione Rousseau né da Casaleggio Associati e sulla quale non viene richiesto alcun dato personale. La prescrizione relativa a beppegrillo.it decade.

Casaleggio ha quindi tempo fino al 30 giugno per fornire la documentazione richiesta “che consenta di valutare l’effettivo adempimento delle prescrizioni”; viene accolta la richiesta di prorogare al 30 settembre il termine per l’implementazione di un sistema di certificazione del voto ma viene ricordato che il 25 maggio entra appieno in vigore la GDPR, le nuove norme sul trattamento dei dati che prevedono altissime sanzioni in caso di violazione. Sottinteso: su questo non verrà concessa alcuna deroga, anzi: “i soggetti destinatari del presente provvedimento dovranno pienamente adeguarsi”.

Firmato, come dicevamo, il relatore e Presidente Antonello Soro.

In conclusione, Davide Casaleggio e l’Associazione Rousseau sono sotto stretta sorveglianza del Garante della Privacy, che non si fida più dell’Erede per via dei pregressi e già sanzionati illeciti e per la mancata ottemperanza di molte delle prescrizioni imposte a dicembre.

Che la legislatura abbia inizio con un bel voto su Rousseau!