Casaleggio e le previsioni sbagliate sulla politica

L’anno successivo al video sul futuro dell’editoria, nel 2008, Casaleggio produce un video sul futuro della Politica.

Lo schema è lo stesso: la prima parte racconta il passato, la seconda il futuro.

In questo filmato, il V-Day organizzato dallo stesso Casaleggio l’anno prima è presentato come un evento di portata pari alle proteste di Seattle del 1999 o l’elezione di Obama del 2008 (che azzecca, il video è precedente alle elezioni).

Nel 2018 avremmo dovuto avere il mondo diviso in due: l’Occidente dominato dalla democrazia diretta in Internet e l’Oriente, un aggregato di dittature in cui la rete è controllata. Uno scontro culturale che dovrebbe portare il prossimo anno, nel 2020, alla terza guerra mondiale.

Ora, la democrazia diretta qui ancora, per fortuna, non c’è e la rete è sempre stata sotto controllo in oriente. Quello che non aveva previsto, però, è che le nostre tecnologie ci si sarebbero rivolte contro, con i Russi a giocare coi nostri media durante le elezioni. E proprio il suo partito sarebbe stato uno dei cavalli di troia per cercare di manomettere i nostri processi democratici.

Non ci sono tante altre previsioni a breve termine: nel 2040 l’occidente vince la guerra e un governo mondiale viene eletto in Rete (probabilmente con Rousseau…).

Il governo si chiama Gaia, una citazione di Isaac Asimov.

Il video si conclude con le informazioni sul giorno in cui è girato: il 14 agosto 2054, centenario della nascita di Gianroberto Casaleggio.

Casaleggio e le previsioni sbagliate sull’editoria

Dodici anni fa, nel 2007, Gianroberto Casaleggio ebbe l’idea di cominciare a produrre brevi filmati sulla sua visione di futuro. A distanza di tanti anni possiamo cominciare a fare dei bilanci, a cominciare dal video sulle previsioni del futuro dell’editoria.

Il titolo è “Prometeus” e racconta la storia dell’editoria e l’avvento della Rete, spingendosi a fare previsioni anche molto precise sull’evoluzione del consumo di notizie. Intano una piccola curiosità: la voce è di Enrico Sassoon, all’epoca socio di Casaleggio che abbandonò la società in polemica con la deriva che stava prendendo il Blog di Grillo. E, a dire il vero, anche lo stesso Casaleggio.

Quando fu costruito il video prendeva piede Second Life una realtà virtuale su cui Casaleggio fece investire anche Di Pietro e Italia dei Valori. Era convinto che sarebbe diventata popolarissima. In realtà ebbe poco successo, a parte una fiammata iniziale. Esiste ancora, ma contava nel 2015 solo 900.000 utenti.

Non c’è nessun accenno, nessuno, ai social network. Non se ne parla, non sono nei radar. Facebook muoveva i primi passi, lo conosceva, ma era convinto che sarebbe fallito a breve.

Ovviamente c’è la previsione sulla fine dei giornali “distribuiti gratuitamente”. In realtà sempre di più i quotidiani si spostano verso modelli a pagamento. Apple ha da poco lanciato Apple News+, una sorta di Netflix dei giornali.

Casaleggio immaginava un futuro vicino in cui tutti sarebbero stati connessi gratuitamente. Ovviamente non è così: anche quando accediamo nei locali, il pagamento avviene sotto forma dei nostri dati personali.

Non ci sono nemmeno i totem che stampano i blog per le strade, come suggerisce il video e Second Life non ha lanciato l’avatar vocale.

Previsioni su pubblicità, giornali, tv, business

Non sono state messe tasse sugli schermi, sulla tv e soprattutto nel futuro immaginato da Casaleggio nel 2007 non ci sono gli smartphone (ma c’è qualcosa di simile ai tablet).

Nelle previsioni di Prometeus, nel 2015 tv e giornali sarebbero dovute sparire. Siamo ben lungi da quel momento, che forse non arriverà mai. Ricordo che quell’anno Casaleggio litigò con uno degli speaker della sua conferenza sull’e-commerce perché disse “Internet arriverà sulla TV, non il contrario”. Aveva ragione lui e Casaleggio aveva torto. Oggi la TV è uno dei business preferiti dei grandi produttori, da Netflix ad Amazon ad Apple.

Proprio sul business c’è un altro scivolone: non ci sono state le aggregazioni che aveva immaginato: Google non ha comprato Microsoft e Amazon non ha comprato Yahoo! che è fallita. Non sono nemmeno diventati leader nella distribuzione o produzione di contenuti: come già detto, nel futuro di Casaleggio non c’erano i Social.

Anche sulla pubblicità non ci ha preso per nulla. Secondo Casaleggio, i creator avrebbero scelto la pubblicità da veicolare coi loro contenuti. In realtà i content creator sono quasi schiavi della pubblicità e se decidono di escludere delle categorie ci perdono un sacco di soldi.

L’anno prossimo, secondo Casaleggio, il copyright dovrebbe essere abolito negli Stati Uniti. Permettetemi di dubitare, visto il fallimento di Casaleggio nelle altre previsioni sul futuro dell’editoria.

 

Gianroberto, Asimov e Cambridge Analytica

Cosa c’entrano Gianroberto Casaleggio e Asimov? Una curiosità saltata fuori durante la mia chiacchierata con Michele Boldrin mi è tornata alla mente di nuovo leggendo il nuovo libro di Christopher Wylie, il whistleblower di Cambridge Analytica.

Quando il Movimento Cinque Stelle ancora era nella mente di Gianroberto Casaleggio, mi disse che aveva in mente una struttura. Una “cornice di regole” la chiamava, simile alle tre leggi della robotica inventate da Asimov.

Vale la pena ricordarle.

  1. Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno.
  2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non vadano in contrasto alla Prima Legge.
  3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché la salvaguardia di essa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge.

Inizialmente, non voleva decidere nulla circa l’orientamento politico, ma selezionare personale politico sulla base di regole semplici, autoesplicative, inviolabili. All’interno della cornice, succedesse pure qualsiasi cosa.

Cosa c’entra tutto questo con Cambridge Analytica? Nel suo nuovo libro, Mindf*ck, Wylie racconta il suo primo incontro col finanziatore del progetto, a New York. Quello che pensava l’investitore avesse in mente era un sistema per simulare le società, riprodurle in digitale, prevederne i comportamenti e trarne profitto.

Racconta che, in quel momento, non potè fare a meno di pensare ad Hari Seldon e al Ciclo delle Fondazioni. Romanzi a cui anche Casaleggio si era ispirato nell’immaginare il Movimento e a cui era molto legato. Il protagonista inventa una nuova scienza, la psicostoriografia, che permette di modellizzare, prevedere, addirittura indirizzare la Storia. Qualcosa di simile pensava di fare Gianroberto.

Chissà che diavolo d’incontri faceva quando viaggiava negli Stati Uniti.

Brexit e Sistema Casaleggio: tutto nasce in via Morone

La Brexit nasce in Via Morone: è un side-effect del Sistema Casaleggio, diventato modello per la nuova democrazia populista digitale.

Non lo dico io: lo dice Arron Banks, il principale finanziatore del comitato Leave.EU e del neonato Brexit Party di Nigel Farage.

I rapporti tra i due mondi nascono nel 2014, quando il Movimento 5 Stelle deve scegliere dove posizionarsi nel Parlamento Europeo. La scelta di Gianroberto Casaleggio era già fatta da tempo, anche se pochi lo sapevano: Nigel Farage, lo UKIP. Il partito che come unico punto programmatico aveva l’uscita del Regno Unito dalla UE.

Le trattative le conducono Grillo e, soprattutto, Davide Casaleggio la cui madre è inglese. Nasce il Gruppo per l’Europa della Libertà e della Democrazia Diretta. Un sistema, di fatto, per consentire ai parlamentari dei due partiti e di qualche altro piccolo alleato di ottenere soldi e tempo di parola.

I Casaleggio, però, cementano il rapporto con Farage e il suo staff che nel 2015 va in visita presso la Casaleggio Associati, via Morone 6, Milano.

All’incontro partecipano, oltre al politico inglese, uno stratega del partito, Raheem Kassam, e la futura CEO del comitato Leave.EU Liz Bilney.

Quell’incontro è cruciale: viene loro spiegato da Casaleggio come hanno utilizzato la rete, i dati, la profilazione degli utenti per costruire il Movimento 5 Stelle. Con questi consigli e l’aiuto di Cambridge Analytica Leave.EU, fondato da Banks, vincerà il referendum del 2016.

Arron Banks, dopo l’incontro di Milano, ricevette un report che lo convinse della necessità di usare il metodo Casaleggio per manipolare il consenso. Ma non solo.

Quel report dev’essere tornato utile anche tre anni dopo, nel gennaio 2019, quando insieme a Nigel Farage fonda il Brexit Party pochi mesi prima del voto europeo. Dice Banks al The Guardian che hanno costruito il partito come “copia carbone” del M5s, del Sistema Casaleggio. Una società legalmente registrata, non un vero e proprio partito, per mantenere il controllo di ogni processo. Perché, spiega, “se hai stretto controllo sulla struttura, i matti non ti possono scalare”.

Con la Brexit, il Sistema Casaleggio ha fatto scuola nel mondo, non c’è dubbio. Il problema è che forse il mondo ancora non se n’è accorto.

Come Casaleggio profila (illegalmente?) gli utenti

Chi vuole togliere a Casaleggio la proprietà di Rousseau forse non si rende conto della macchina da soldi di cui si sta parlando. O forse sì, e allora sono stupidi abbastanza da credere che Casaleggio sia disposto a rinunciarvi. Casaleggio grazie a Rousseau raccoglie soldi dai parlamentari e profila gli utenti grazie ai loro dati, materia prima preziosissima.

L’8 di ottobre 2019 era il decennale della fondazione dello scomparso Movimento 5 Stelle (quello di oggi è, sia politicamente che formalmente, un’altra cosa). Un gruppo di sedicenti attivisti guidati dal consigliere regionale Barillari ha pubblicato quel giorno un documento chiamato la Carta di Firenze 2019.

Al primo punto c’è, tra le altre, la richiesta che la piattaforma Rousseau diventi di esclusiva proprietà del Movimento 5 Stelle. Ora è posseduta e gestita dall’omonima Associazione, a sua volta di proprietà di Davide Casaleggio e tre suoi tirapiedi.

È ingenuo, se non idiota, pensare che Casaleggio possa rinunciare alla proprietà di Rousseau.

L’investimento

Anzitutto, la piattaforma è il frutto dell’investimento di dodici anni prima di Casaleggio Associati, quasi fallita per portare avanti questo progetto, poi dell’Associazione.

Quando Davide Casaleggio ha spostato l’ha spostata dall’azienda verso l’associazione, ha cominciato a pretendere dai parlamentari un contributo per lo sviluppo e la manutenzione. Questo gli consente di drenare quasi 8 milioni di euro a legislatura, sebbene pare che molti parlamentari si stiano rifiutando di pagare il servizio.

Gestire un flusso di denaro del genere permette di gestire potere, a cui Casaleggio difficilmente rinuncerà.

Questi soldi hanno permesso di costruire un prodotto che presto potrebbe diventare profittevole. Non a caso Casaleggio è andato a promuoverlo alle Nazioni Unite: l’obiettivo è chiaramente piazzare la sua merce all’estero.

C’è altro: i dati.

Come Casaleggio profila gli utenti

Anche se Casaleggio lo nega, tramite Rousseau e il Blog delle Stelle (prima quello di Beppe Grillo) ha costruito negli anni e alimenta tutt’ora un database di utenti a cui sono associati specifici comportamenti.

Non solo tramite il voto: qualsiasi azione all’interno del sito e della piattaforma gli consente di tracciare un profilo, un “modello” di comportamento sia per ciascun iscritto che generale.

Rousseau gestisce molte attività: raccolte fondi, proposte di legge, organizzazione di eventi. Quando un iscritto partecipa, quell’azione consente a Casaleggio di capire a quale “stimolo” ha risposto per compierla. Gli utenti si coinvolgono meglio inviando loro una mail? Un SMS? Un titolo è più efficace di un altro? Quante volte gli utenti aprono le email, quante volte cliccano sui link proposti? Chi accede più spesso alla piattaforma è poi più propenso a fare una donazione? L’entità della donazione a quali comportamenti è correlata?

Peraltro, come conferma la Privacy Policy, la navigazione sui siti di Rousseau è monitorata tramite Google Analytics, Facebook e Twitter. Davide sa tutto dei suoi utenti.

La prova è pure abbastanza visibile nei commenti del Blog Delle Stelle. Accanto al nome di molti utenti sono presenti delle iconcine. Era una vecchia idea di Gianroberto Casaleggio, che gli ha consentito negli anni di profilare, individuare facilmente gli utenti più “fedeli”. A ogni logo corrisponde un evento a cui quell’utente ha partecipato: Il V-Day, Woodstock 5 Stelle, una campagna di donazioni e, da poco, anche l’iscrizione a Rousseau. Gli utenti sono tutti accuratamente profilati e controllati.

Sono informazioni preziosissime che hanno un valore commerciale. Conoscere il comportamento e le reazioni degli utenti sulla base di specifiche azioni, consente di creare dei modelli applicabili ad altri mercati o con altri clienti. Se domani Casaleggio decidesse di permettere l’utilizzo di Rousseau a partiti esteri, potrebbe vendere un servizio affinato negli anni sulla base della profilazione degli utenti prima del Blog di Grillo e ora di Rousseau / Blog delle Stelle. Un vantaggio competitivo importante.

La Cambridge Analytica italiana

Vi ricorda qualcosa? Rousseau adesso e Casaleggio Associati prima stanno facendo la stesso cosa che ha fatto Cambridge Analytica. La società inglese ha utilizzato i dati raccolti per profilare gli utenti con lo scopo di proporre pubblicità politiche personalizzate. I dati, peraltro, erano illecitamente raccolti, una circostanza che ricorda il modo in cui venivano gestiti dalle parti di Via Morone, per il quale Rousseau è stata multata due volte per un totale di 80.000 euro.

L’utilizzo che fa Casaleggio dei dati che profila è forse più inquietante: Rousseau viene utilizzata per prendere decisioni fondamentali che riguardano la vita pubblica del nostro Paese. Dal salvataggio di Salvini dai processi alla formazione dei governi. Saper prevedere come reagiranno gli utenti a un certo stimolo, una domanda posta in un certo modo, una comunicazione inviata in un certo momento gli permette di orientare le decisioni più importanti.

Inoltre, se volesse utilizzare questi dati per migliorare l’offerta della propria società, Casaleggio Associati, noi non lo sapremmo mai. Non ci sarebbe bisogno di un passaggio effettivo di dati: Davide conosce bene i risultati delle analisi che conduce in Rousseau e non servono azioni per trasferire questa conoscenza fuori dall’associazione verso l’azienda.

Resta da capire se sia lecito aggregare i dati di profilazione di servizi diversi (Rousseau, Il Blog delle Stelle, gli eventi organizzati, le donazioni) per alimentare il database di un ente commerciale che ne può estrarre modelli derivati.

Di certo, tutto questo Casaleggio non lo consegnerà gratuitamente a Barillari.

Gianroberto Casaleggio e l’ingegneria sociale

Davide Casaleggio, a un evento delle Nazioni Unite organizzato per lui dal governo italiano, ha parlato di digitalizzazione dei processi democratici, campo d’interesse commerciale dell’Associazione Rousseau. Si è dimenticato di parlare dell’ingegneria sociale che gli ha permesso di sperimentare il condizionamento del suo elettorato gli ultimi dodici anni.

Come sempre, si è molto speso a sottolineare i presunti vantaggi, facendo uno spot a spese nostre alle attività di Rousseau, agli eventi da lui organizzati, al modo in cui gestisce il suo partito.

Come sempre, dimentica di parlare dei problemi, questi certi, della partecipazione digitale soprattutto come lui e suo padre la intendevano.

Gianroberto e Davide Casaleggio hanno costruito il Movimento 5 Stelle utilizzando strumenti sempre più – a modo loro – raffinati. Violando le leggi sulla gestione dei dati personali, hanno per anni raccolto e analizzato i dati degli utenti, prima del Blog di Grillo e poi della piattaforma Rousseau.

Manipolare il consenso

Gianroberto Casaleggio, all’inizio degli anni Duemila, aveva studiato il comportamento delle organizzazioni sociali online. Attraverso la rete intranet di WebEgg, l’azienda Telecom che amministrava, ha imparato a manipolare il consenso interno a suo vantaggio, come ci ha raccontato per Supernova il suo ex collaboratore Carlo Baffè. Come? Aveva costituito un piccolo gruppo di persone giovani e che rispondevano solo a lui. Il gruppo si accordava per sperimentare alcune teorie di Casaleggio attraverso il forum interno dell’azienda.

Casaleggio scriveva un post, affermando un concetto. Subito, una persona del gruppo ristretto interveniva per contestare il concetto. Un terzo, sempre del gruppo, replicava contestando il secondo e approvando il primo – Casaleggio. A questo punto, spiega Baffè, nella maggior parte dei casi la discussione si sviluppava coinvolgendo gl’ignari colleghi tendeva verso la conferma del concetto iniziale. Chiamava questo fenomeno “cascata del consenso”. In questo modo, aumentava il consenso attorno a Casaleggio, che migliorava il proprio posizionamento interno e, contemporaneamente, poteva facilmente identificare coloro che tendevano a deviare dalla sua visione.

Allo stesso modo, Casaleggio per anni ha manipolato il consenso attorno al Blog di Beppe Grillo. Applicando lo stesso principio, Casaleggio scriveva il post con il consenso di Grillo, attendeva che arrivasse il primo commento negativo e replicava in modo anonimo con lo pseudonimo “Parsifal”. Cascata del consenso.

Profilare gli utenti per fare ingegneria sociale

Il salto di qualità viene progettato in Casaleggio Associati subito dopo il primo V-Day, nel 2007. Casaleggio ebbe l’idea di associare ad ogni utente che commentava un’icona per ogni evento, iniziativa, battaglia del blog, raccolta firme a cui l’utente-commentatore partecipava. Era possibile perché per ciascuna Casaleggio raccoglieva i dati personali, nome, cognome, email. Ebbe dunque l’intuizione di mettere a sistema i database, incrociando i dati. Gli utenti che partecipavano di più erano quelli con più icone affianco al nome. Profilando così gli utenti, Casaleggio era in grado di riconoscerli velocemente quando commentavano, partecipavano all’iniziativa successiva e così via. Fino alla compilazione delle liste per il Movimento 5 Stelle. Casaleggio arrivò preparato e seppe scegliersi le persone più fedeli nei ruoli chiave, escludendo quelli non allineati.

Lo stesso avvenne, probabilmente ancora succede, grazie alla piattaforma Rousseau. Davide, come ha scoperto il Garante della Privacy, gestendo per intero il processo di registrazione, autenticazione, identificazione, votazione, partecipazione, sa perfettamente chi vota cosa, come interviene sulle proposte di legge, quanto partecipano, quante volte si loggano, quante volte visitano il sito e così via. Una vera e propria profilazione sulla base delle preferenze, delle idee politiche degli utenti della sua piattaforma privata.

Tutto questo viene definito “ingegneria sociale”. Conoscendo i dati, le abitudini, le idee, i comportamenti delle persone se ne possono influenzare le decisioni. Una pratica pericolosa che va contrastata.

Il mio panel con Nicola Biondo al Wired Next Fest 2019

Sabato sono stato al Wired Next Fest insieme a Nicola Biondo. Io e Nicola dal 2016 raccontiamo il Movimento 5 Stelle come nessun altro può farlo. Siamo stati ai vertici del partito quando è nato e quando è arrivato in Parlamento. La nostra storia l’abbiamo raccontata in Supernova, mentre il Sistema Casaleggio racconta il sistema di potere che Davide Casaleggio ha ereditato da suo padre dopo la morte di Gianroberto Casaleggio. Di questo abbiamo parlato durante il panel.

Il vincolo di mandato

Una delle balle più clamorose che il Movimento 5 Stelle va ripetendo è che l’introduzione del vincolo di mandato sia sempre stato un loro cavallo di battaglia.

In realtà la genesi di questa – pericolosa – norma è piuttosto singolare. Non ha niente a che fare con una particolare riflessione sulle istituzioni, sull’onorabilità del Parlamento, nemmeno con la democrazia diretta che il Movimento vorrebbe introdurre.

A dire il vero, non ha niente a che fare nemmeno con gli esponenti del Movimento. Non è una riflessione scaturita durante le assemblee, le riunioni, le riflessioni, la vita parlamentare.

A volere il vincolo di mandato fu Gianroberto Casaleggio nel 2013, per gestire un gruppo parlamentare completamente allo sbando, quello formatosi dopo il voto di quell’anno. La prima volta che si parla concretamente di un vincolo è con il regolamento per gli europarlamentari eletti al voto del 2014. Casaleggio voleva un modo per costringere gli eletti a seguire le sue istruzioni. Non era persona da gradire il dialogo, scendeva poco a Roma, non aveva voglia o pazienza di convincere, mediare, discutere. Costrinse i candidati a impegnarsi a versare 150.000 euro in caso avessero abbandonato il Movimento 5 stelle dopo essere stati eletti.

Introdusse questo vincolo anche per il voto al comune di Roma e, ovviamente, per quello politico del 2017.

In realtà, una simile clausola è totalmente inapplicabile. Ci aveva provato pure con Italia dei Valori, ma nessuno è mai riuscito a riscuotere queste multe in virtù dell’articolo 67 della Costituzione, che tutela la libertà degli eletti che rispondono solo agli elettori e alla propria coscienza. Casaleggio lo sapeva: quando Nicola Biondo, all’epoca capo dell’ufficio comunicazione alla Camera, glielo fece notare la risposta fu: “Lo so: basta che lo credano”.

Quando Casaleggio era contro il vincolo di mandato

Non è finita qui. Fino al 2013 Casaleggio era stato un sostenitore dell’articolo 67 della Costituzione, che vieta il vincolo di mandato. Ci sono numerose testimonianze di ciò. Com’è noto, e come abbiamo raccontato in Supernova, Gianroberto Casaleggio è stato il ghostwriter di Beppe Grillo fin dal 2005 quando insieme aprirono il Blog.

Nei vecchi post si possono trovare numerosi esempi di quando quella norma era usata per argomentare contro i parlamentari brutti e cattivi che obbedivano al capo. Quando Gianfranco Fini non si dimise da presidente della Camera. O nel comunicato politico numero quarantacinque, dove si dice che i parlamentari del Movimento risponderanno ai cittadini e alla propria coscienza, e non al partito.

Salvo poi cambiare idea quando al partito, cioè a lui, non questi non obbedivano. E allora l’articolo 67 diventa quella norma che permette agli eletti di “fare il cazzo che gli pare”.

I parlamentari del Movimento, quindi, vogliono una norma pensata per evitare che loro stessi possano svolgere le mansioni per cui sono pagati.

Casaleggio sul Corriere. Parte 1 di 7: la rappresentanza

Il 17 settembre 2019 il Corriere della Sera pubblica una lettera di Davide Casaleggio dal titolo “I paradossi della democrazia”.

Non è un’intervista, non è accompagnata da riflessioni di intellettuali, giuristi o giornalisti. Casaleggio scrive, il Corriere pubblica. È importante replicare, raccogliere la sfida di Casaleggio perché, credetemi, è semplice vincerla. Davide Casaleggio non è interessato alla politica o alla democrazia. È un pensatore intellettualmente timido, che infatti rifiuta e teme il confronto. Gli vanno però riconosciute due qualità: capacità di adattamento e pazienza. Pubblicare una lettera simile sul Corriere serve a ribadire il suo ruolo apicale nel Movimento e a guidare un dibattito che, in realtà, nemmeno esiste. Casaleggio vuole creare uno spazio tutto suo per poter essere, al suo interno, il dominus.

Vi segnalo alcuni commenti prima di aggiungere il mio, che sarà lungo: per ogni “paradosso” – Casaleggio ne ha elencati sette – farò un post e un video. Li trovate su Next Quotidiano, sul Foglio, sull’Huffington Post e su U&B.

La cittadinanza digitale

Davide, dicevo, vuole creare uno spazio di discussione per dominarlo. È quello di un tema sostanzialmente inesistente che dichiara nell’incipit: l’era della cittadinanza digitale ci farebbe precipitare in un dilemma, cioè se sia opportuno utilizzare la tecnologia per soppiantare i processi democratici che abbiamo costruito in centinaia di anni di evoluzione sociale.

In realtà il dilemma è già stato risolto, almeno in buona parte del mondo: stiamo già usando la tecnologia per migliorare i servizi di cittadinanza. L’Italia certamente ha molto da fare ancora, ma in molti paesi il rapporto dei cittadini con lo Stato e i suoi servizi è quasi completamente digitale. Io vivo nel Regno unito e non ho mai dovuto mettere piede in un ufficio pubblico, eccezion fatta per la richiesta dell’equivalente del codice fiscale, per cui è prevista la presenza fisica al Job Center.

L’uso della tecnologia semplifica e razionalizza i processi e i servizi, ma l’anagrafe è sempre l’anagrafe, una denuncia rimane tale anche quando si fa per via telematica, prendere appuntamento sul sito del comune o al telefono non cambia la sostanza dell’esigenza.

Il perimetro della rappresentanza

Casaleggio vuole andare oltre: cambiare dalle fondamenta la struttura della nostra democrazia, del concetto di rappresentanza e di responsabilità. In ogni settore, dai consigli di amministrazione ai parlamenti. Dice: “Il rappresentato dovrebbe decidere sempre, salvo quando lo può fare solo il suo rappresentante”.

Perché Casaleggio pone questo problema? Perché possiede un ente commerciale, l’Associazione Rousseau, che opera in questo settore: la digitalizzazione dei processi decisionali. Non è un soggetto economicamente neutrale, ha l’interesse a promuovere la necessità di digitalizzare i processi decisionali, il voto per esempio, per il proprio tornaconto economico.

Ciò detto, cosa significa “quando lo può fare solo il suo rappresentante”? Chi decide, qual è il discrimine? Tutti possono votare su tutto, sempre?

La tesi di Casaleggio è che la rappresentanza sia stat necessaria perché risolveva il problema dell’efficienza decisionale “non all’incompetenza nel saper decidere cosa è meglio”. È falso. La teoria dei giochi, il dilemma del prigioniero, la teoria economica ci spiegano che una decisione ottima può essere presa solo quando il decisore può accedere alla totalità delle informazioni. Casaleggio, peraltro, dovrebbe saperlo essendo un bravo scacchista e avendo studiato economia.

La necessità della rappresentanza

Abbiamo bisogno di rappresentanti perché servono persone che impieghino il proprio tempo a studiare i problemi, sempre più complessi, nel modo più approfondito possibile. Per trovare soluzioni, prendere decisioni nell’interesse dei rappresentati, assumendosene la responsabilità. La democrazia parlamentare – quella che Casaleggio vuole superare – permette di dare voce a tutte le istanze della società e a tutte le diverse opinioni su come risolvere i problemi. Le democrazie più avanzate tutelano le minoranze: un’idea, una soluzione condivisa da una minoranza può essere migliore di una, opposta o complementare, sostenuta da una maggioranza.

Il modello che propone Casaleggio prevede che le decisioni siano prese da tutti, a maggioranza. Ma nessuno può capire, conoscere, analizzare i problemi al meglio. Sarà politicamente scorretto da dire, ma la maggior parte delle persone non ha gli strumenti culturali per capire i problemi, immaginare soluzioni, prendere decisioni. Spesso nemmeno per se stessi, figuriamoci per la collettività.

Come scrive il Prof. Carlo Alberto Carnevale Maffè su Il Foglio nel suo articolo “Rousseau e peggio di Cambridge Analytica“: “La lunghezza della domanda ha impatto sulla capacità di comprensione del quesito. Molte ricerche empiriche evidenziano che le domande con più di 16 parole hanno difficoltà a essere pienamente comprese. La forma grammaticale, la semplicità e la specificità del quesito hanno effetti sulla capacità di comprensione di chi è chiamato a votare. La stessa scelta delle modalità di risposta è potenzialmente distorsiva”.

Certo, la rappresentanza presenta numerosi difetti, non ultimo il fatto che selezionare buoni rappresentanti non è affatto semplice. Ma la semplice delega, in luogo della rappresentanza, è un sistema peggiore.

La democrazia diretta che immagina Casaleggio prevede che le decisioni siano prese da persone impreparate, e che nessuno si assuma mai la responsabilità di nulla e che le idee minoritarie siano a priori scartate. A chi giova? Ora lo vediamo.

La democrazia diretta è un pacco

Com’è noto, Casaleggio sostiene la causa della democrazia senza intermediazioni. Negli anni questo si è tradotto, nella pratica del Movimento 5 Stelle, con il tentativo di delegittimare tutte le rappresentanze, dai sindacati ai partiti, come pure i soggetti controllori, dal giornalismo fino, ultimo caso, al Garante della Privacy Antonello Soro.

La verità, nella pratica, è che la disintermediazione non esiste. È una balla o, come si dice oggi, una fake news.

Si parla di disintermediazione anche in campo commerciale: i grandi negozi online, per esempio, avrebbero disintermediato gli acquisti eliminando il passaggio intermedio del negozio fisico. In realtà, grosse realtà come Amazon non hanno eliminato l’intermediazione ma l’hanno accentrata sui propri sistemi digitali.

Esattamente come accade con la piattaforma Rousseau di Casaleggio. Il rapporto tra eletto ed elettore non è disintermediato: il mediatore unico è Rousseau che gestisce la selezione dei candidati, la comunicazione (tramite il Blog delle Stelle), la formazione politica, come di recente hanno iniziato a fare. Tutto è accentrato nelle mani di Casaleggio che, peraltro, si è autoproclamato intermediario unico senza la ratifica della comunità di Rousseau.

Non scelte, ma ratifiche

Il Prof. Paolo Gerbaudo, nel suo libro “Il Partito Digitale”, sottolinea come nella sostanziale totalità dei casi, non solo per quanto riguarda la piattaforma Rousseau, i voti non producono scelte. Servono a confermare decisioni prese dai dirigenti. Succede nel Movimento, ma pure in Podemos, ad esempio. Quella che Gerbaudo definisce la “superbase” conferma la decisione del “superleader”, che accresce e consolida il proprio potere tramite un processo che, contemporaneamente, lo deresponsabilizza. Il superleader è infallibile perché ha il compito di eseguire la volontà della base. Ma, si è dimostrato, la base approva sempre l’operato del superleader. Un circolo vizioso in cui gli strumenti digitali tendono a far emergere non già i dirigenti che sanno prendere le decisioni migliori ma quelli che sanno meglio sfruttare il processo.

Nel caso di Rousseau, il superleader è quello che meglio interpreta anche l’esigenza dell’intermediario unico, un imprenditore con interessi economici e commerciali anche nel settore della democrazia digitale.

Nel prossimo articolo affronteremo il secondo “paradosso”, quello che Casaleggio chiama “Luddista con lo smartphone”.