Salva Casaleggio a metà

Nel momento in cui scrivo, la Camera sta discutendo la legge anticorruzione del ministro Bonafede. Per quanto leggete, il governo dovrebbe averla votata ponendo la fiducia.

Qualche settimana fa Nicola Biondo aveva scovato nel disegno di legge alcune norme che ho ribattezzato Salva Casaleggio.

In breve, quattro punti:

In una serie di articoli avevo spiegato come questi commi avrebbero avuto l’effetto di blindare per legge Davide Casaleggio nel suo ruolo, consentendogli di amministrare i soldi che arrivano a Rousseau in totale autonomia.

Matteo Renzi riprese la nostra denuncia sui suoi social, seguito dalla stampa nazionale.

Luigi Di Maio fece un video negando che quei provvedimenti fossero pensati per Casaleggio. Se così fosse stato, cioè se queste norme fossero state davvero ritenute utili a contrastare la corruzione, sarebbero dovute rimanere. Eppure nella nuova formulazione sono spariti gli ultimi due commi, proprio quelli che avevo battezzato “comma Rousseau” e “comma Casaleggio”.

Ovviamente la cosa mi fa piacere, evidentemente avevamo colto nel segno. Tanto più che, da quel che sappiamo, in seguito a quell’episodio sono partiti i nervosismi nel Movimento che portarono all’inciampo sul peculato.

Restano tuttavia i primi due: la legge sdogana la struttura di Rousseau, il Sistema Casaleggio. Casaleggio potrà continuare a utilizzare l’associazione privata Rousseau come se fosse la tesoreria del Movimento 5 Stelle, senza che il suo ruolo sia sottoposto a controllo democratico. Anzi, avrà una copertura legislativa. Come conseguenza della norma che prevede la pubblicità dei donatori oltre i 500 euro, Casaleggio sarà sempre l’unico a sapere con certezza da chi arrivano i soldi delle donazioni, che sono quasi tutte sotto i 500 euro.

Oggi, quindi, è un giorno da ricordare: il Movimento 5 Stelle approverà la sua prima legge ad personam.

Il MoVimento, i soldi, il diritto al lavoro: tre domande a Di Maio

Dimentichiamoci per un attimo dei problemi di sicurezza di Rousseau, di quelli della giunta Raggi, dei malumori del MoVimento nei confronti di Di Maio e trattiamo quest’ultimo come il Capo Politico del primo partito del Paese.

C’è una vicenda che riguarda il diritto del lavoro, un parlamentare del MoVimento, Paolo Bernini, e un suo ex collaboratore, Lorenzo Andraghetti.

Andraghetti viene licenziato da Bernini, quindi gli fa causa e la vince: il giudice stabilisce l’ammontare del risarcimento di 70.000 euro. Bernini non solo non paga, disobbedendo a una sentenza, ma si avvale di una norma che stabilisce l’impignorabilità dei conti correnti dei parlamentari; norma che lo stesso MoVimento vuole abolire.

Rivolgo quindi tre domande al Capo Politico del MoVimento Luigi Di Maio:

  1. Non ritiene che le sentenze, soprattutto quelle sul diritto al lavoro, vadano sempre rispettate?
  2. Non ritiene incompatibile col MoVimento un parlamentare che, per non rispettare la sentenza e non pagare il dovuto, si avvalga di un privilegio riservato a deputati e senatori?
  3. Ha intenzione di prendere qualche iniziativa nei confronti del suo collega Bernini per indurlo a rispettare la sentenza o, in caso si opponesse, a lasciare il MoVimento 5 Stelle?