Il voto, l’Europa, il Movimento che verrà

Di Maio si è presentato da solo alla conferenza stampa organizzata presso il suo ministero, dopo la pesante sconfitta del voto europeo dello scorso weekend.

Gli va riconosciuto il coraggio di assumersi interamente la responsabilità della sconfitta. Del resto così fa l’amministratore delegato di un’azienda quando i risultati non sono quelli sperati. La proprietà, però, sostituisce il capo azienda quando i risultati non sono più sostenibili, adeguati alle necessità del gruppo. È in quest’ottica che bisogna leggere le dimissioni che alcuni si aspettavano dal capo politico del M5s. Di Maio ha tenuto a precisare che ha sentito Grillo, Fico e Casaleggio e nessuno gli ha chiesto di fare un passo indietro. Dei tre l’unico che avrebbe potuto è l’ultimo, Davide Casaleggio, il dominus del Sistema che io e Nicola Biondo abbiamo raccontato ne Il Sistema Casaleggio.

Il padrone è l’Erede

Per analizzare questa fase del Movimento il primo errore da non commettere è quello di applicare logiche unicamente politiche. Le dinamiche del partito di Casaleggio e Di Maio sono diverse da quelle degli altri soggetti, così come sono diversi gli obiettivi e i ruoli di ciascun attore. Quello di Di Maio non è assimilabile a quello di Salvini o Zingaretti, segretari di partito che rispondono solo alla propria base e alle rispettive assemblee. Di Maio risponde a Casaleggio, il quale amministra il partito come presidente dell’Associazione Rousseau come ha fatto scrivere nello statuto scritto da Lanzalone. Anagrafiche degli iscritti, candidature, comunicazione, soldi: tutto passa da Milano. Il padrone è l’Erede.

Il Movimento è resiliente

Il secondo errore da non commettere è ignorare la resilienza che il Movimento ha saputo dimostrare nel corso di questi dieci anni. Hanno saputo adattare la propria struttura e il proprio passo alle mutevoli circostanze. Questa è una qualità che va riconosciuta, come l’abbiamo riconosciuta, al padrone del vapore Davide Casaleggio. Morto suo padre, ha preso in mano azienda, partito e relazioni e le ha rimodellate secondo le proprie necessità, riuscendo a costruirsi un ruolo inattaccabile e delegando a Di Maio il compito di compattare gli scappati di casa che compongono i gruppi parlamentari e portare il partito a vincere le politiche del 2018. Casaleggio amministra il partito tramite l’associazione Rousseau in totale autonomia, con obiettivi di lungo termine legati al proprio business e alla concezione contorta di democrazia che la sua mente ha prodotto sotto l’effetto degli stupefacenti risultati degli ultimi anni. Ricordiamo la tetra profezia secondo la quale i parlamenti diventeranno inutili, per come li conosciamo oggi.

Se il presidente del Sistema non ha rimosso il suo amministratore delegato è perché, nonostante questo deludente 17%, la presenza di Luigi Di Maio alla guida del ramo d’azienda politico del Sistema è ancora utile. Non nella stessa forma, forse, ma un’alternativa pronta non c’è.

Il Movimento, e in generale il Sistema Casaleggio, hanno già dimostrato di saper cambiare struttura e pelle per migliorare le proprie performance. Nel 2012, in previsione del voto, in gran segreto Grillo e Casaleggio aprirono un’associazione apposita, buttando alle ortiche non-associazione e non-statuto. Poi arrivò il direttorio, utile a spostare l’asse del potere da Milano a Roma. Poi venne sciolto il direttorio, esaurito il suo compito. Nel 2016 arrivò l’Associazione Rousseau, nel 2017 il nuovo statuto di Lanzalone e il nuovo capo politico.

Le posizioni si sono ammorbidite o irrigidite a secondo delle necessità e del contesto. Succederà la stessa cosa pure adesso, il Movimento non sparirà. Dopo l’assemblea dei gruppi si cominceranno a capire i contorni della nuova metamorfosi e, soprattutto, il coraggio e l’effettiva dimensione del gruppetto di avversari che Di Maio dovrà sfidare nel partito. Sarà interessante.

Per seguire questo processo bisogna tenere bene a mente alcuni fattori e alcuni nodi politici, alcuni dei quali verranno sciolti molto in fretta. Vediamo quali, partendo dal tema che ha riguardato questa tornata elettorale: il Parlamento Europeo.

Europa

Il fantomatico nuovo gruppo che Di Maio sognava di costituire al Parlamento Europeo non si farà. Solo uno dei potenziali alleati ha eletto candidati e ne servono almeno 25 da 7 paesi diversi. Il Movimento non può permettersi di non far parte di un gruppo: perderebbe finanziamenti, accesso ai ruoli, tempo di parola. Salvini ha già detto di avere avviato da tempo colloqui con Nigel Farage per portarlo nel proprio gruppo. La scelta per Di Maio è tra il gruppo di Salvini e Le Pen o l’irrilevanza e la perdita di una marea di risorse. Ci sarebbe anche il gruppo dei conservatori di cui fanno parte i Tory britannici (il partito di Theresa May per capirci). Anche questa ipotesi è però difficile perché a ottobre, se la Brexit avverrà, i parlamentari britannici non ci saranno più. In ogni caso, l’unico approdo possibile per il Movimento è a destra e, anche allo scopo di puntellare il governo, quello più logico sembra il gruppo di Salvini di cui farà parte pure Nigel Farage.

Tenuta del governo e della legislatura

Continuo a pensare che la legislatura finirà alla sua scadenza naturale, nel 2023. Lo penso ancora di più adesso, dopo il voto europeo.

Anzitutto, le camere le scioglie il capo dello Stato, non Salvini o Di Maio. Se cade il governo non finisce automaticamente la legislatura. Prima, il Presidente della Repubblica deve verificare che non esista un’altra maggioranza in Parlamento. Un Parlamento composto per il 60% da persone che aspettano il settembre 2022, quando matureranno il diritto al trattamento pensionistico. Voi rinuncereste a 1500 euro al mese a partire dai 65 anni?

È chiaro che adesso Salvini abbia un deterrente in più nei confronti del Movimento: un eventuale voto anticipato favorirebbe lui, senza contare che Di Maio e i suoi – tutti parlamentari alla seconda legislatura – non si possono ricandidare come ha ricordato settimana scorsa Casaleggio. Ciononostante, non so quanto a Salvini convenga rischiare che si formino maggioranze diverse. In questa situazione, può facilmente esercitare un controllo maggiore sull’azione di governo, imporre la propria agenda, i propri temi e costruire il campo per le prossime scadenze politiche, a cominciare dall’elezione del prossimo presidente della Repubblica nel febbraio del 2022. In ogni caso, quando Matteo Salvini vorrà mettere in crisi il governo dovrà pronunciare una sola parola: “Casaleggio”. Quello sarà il segnale.

Le defezioni che possono mettere a rischio la maggioranza, in queste condizioni, possono arrivare verosimilmente dal gruppo di senatori di seconda nomina del Movimento 5 Stelle. Sono quelli che hanno meno da perdere (non sarebbero comunque ricandidati) e più da guadagnare (niente restituzioni, visibilità in prospettiva magari di un cambio di casacca). Occhi puntati lì, quindi. Ma niente paura: prima di mettere in crisi la legislatura c’è pronta la pattuglia di Fratelli d’Italia. Soprattutto se si dovesse saldare il rapporto con la Lega in europa, per Salvini non sarebbe difficile convincere Di Maio e Casaleggio ad accogliere i nuovi alleati. Questo punto lo approfondiamo fra un attimo.

Non credo sia verosimile – per ora – un’ipotesi alfaniana, cioè Di Maio e i suoi che formano un gruppo autonomo per non far cadere il governo, uscendo dal Movimento. Anche perché non ci sarebbero i numeri in Senato: ai senatori di prima nomina Casaleggio può garantire la ricandidatura, uscire dal Movimento sarebbe un salto nel buio. Mai dire mai, comunque.

La diretta conseguenza di tutto ciò è che d’ora in poi, pur di mantenere lo status quo, Di Maio e i suoi cederanno su qualsiasi cosa. Hanno già salvato il ministro dell’Interno da un processo, ceduto sul Tap, il terzo valico, il Muos, gli F35. Cederanno anche sul Tav. Prima di tornare a vendere lattine a San Paolo – professione peraltro rispettabilissima – Di Maio si venderà pure le mutande.

Nemmeno i cosiddetti dissidenti credo vogliano la testa di Di Maio: sono preoccupati per la loro. Tutti hanno l’interesse a far durare la legislatura e per farlo serve che tutti gli incarichi, dai ministeri alla segreteria politica, siano svolti bene.

Il Movimento da domani

L’assemblea dei gruppi prevista mercoledì 29 maggio aprirà la guerra civile. Io avevo previsto che sarebbe accaduto con un risultato sotto il 21%, e il 17% lo è di molto. Vedremo quanto è forte la fronda, o le fronde. Sembrano esserci vari livelli di contrasto alla leadership: dai più agguerriti ai più comprensivi (come il senatore Paragone) tutti hanno messo nel mirino il capo politico. Ma chi veramente vuole cambiare le cose facendo chiarezza dovrebbe partire dalla testa, da cui di solito il pesce puzza: il ruolo di Davide Casaleggio e dell’associazione Rousseau. Se nessuno lo farà saremo di fronte a una banale spartizione di potere.

È comunque abbastanza evidente che Di Maio non può continuare a gestire da solo il partito, i due ministeri e il comitato delle rendicontazioni. Un organo, quest’ultimo, non previsto da nessuno statuto che raccoglie tutte le restituzioni dai parlamentari prima che queste siano destinate ai fondi scelti di volta in volta (spesso, in realtà, ai comitati elettorali). Vedremo quale sarà la soluzione che verrà elaborata, ma l’unico fatto certo è che lo Statuto prevede che la carica di capo politico duri cinque anni. L’unico che può decidere di cambiare davvero è Casaleggio, che però prima dovrebbe costruire un’alternativa. È per questo che lui e Di Maio hanno tolto dalle mani dell’assemblea la decisione, chiedendo il voto su Rousseau, piattaforma – come certifica il Garante della Privacy – non trasparente, insicura, manipolabile. La sua investitura arriva da Casaleggio-Rousseau ed è lì che cerca la conferma, con il solito quesito per gli attivisti che già suggerisce l’ovvia risposta (“Vuoi confermare Luigi Di Maio come capo politico?”). Oggi è arrivata poi la Cassazione: Beppe Grillo ha detto che Luigi va bene, i gonzi sanno cosa rispondere.

Di Maio, inoltre, da capo politico può governare la riorganizzazione del partito da un punto di forza, potendo prevedere ruoli e percorsi per sé e i suoi dopo l’esperienza di governo, quando non potranno più ricandidarsi.

In quest’ottica, va ricordato un fatto: il Movimento non è un’entità indipendente. Fa parte di un sistema di potere, come ogni partito. Ha una sua constituency e ha il suo proprietario di fatto con interessi propri. Questo sistema, come già visto, ha dimostrato di saper cambiare velocemente pelle, struttura, rappresentanti e sponsor. Lo saprà fare anche adesso. Non sono finiti. L’equilibrio da trovare sarà tra il futuro dei nuovi volti del Movimento che aspettano il proprio turno, gli interessi di Casaleggio e quelli del gruppo dirigente attuale che ancora deve capire cosa farà dopo questa esperienza di governo.

In termini generali, Casaleggio può tranquillamente pianificare la prossima legislatura all’opposizione, far maturare nuovi dirigenti e tornare in area di governo successivamente.

Il sistema proporzionale vigente, però, lascia spazio a parecchie sfumature. Questo governo è un’anomalia: dal dopoguerra non era mai successo che una maggioranza fosse composta da due soli soggetti. Non potrà reggere a lungo, questa situazione. Se veramente il Movimento aderirà al gruppo di Salvini in europa, l’area di governo attuale sarà quella definitiva per Casaleggio e compagnia. Quella, peraltro, in cui si trovano meglio per cultura (si fa per dire) personale. Consolidare i rapporti adesso significa porre le basi per una stabile area politica per le legislature a venire. Le regole del Movimento vietano le ricandidature, ma gl’incarichi governativi non sono elettivi. Di Maio farà di tutto per normalizzare i rapporti con la Lega senza darlo troppo a vedere. Dovrà lasciarlo accadere, facendo intendere la possibilità di carriere per tutti. Questo sarebbe il punto di caduta che potrebbe accontentare tutti e che permetterebbe di liberare il movimento dagli ultimi scocciatori che lo vorrebbero forza battagliera di opposizione.

Alessandro Di Battista

Due righe su Di Battista: l’ex deputato ha il coraggio di un leone morto e le capacità politiche come quelle tecnologiche di Casaleggio. È un agitatore buono per l’opposizione. Se torna lui, saprete che da Milano hanno scelto la ritirata.

Guida pratica per l’opposizione

Infine, l’opposizione. Come si combatte un sistema simile? Dalla testa. Trattare con Di Maio, parlare di Di Maio, pensare a Di Maio è precisamente ciò che permette al sistema di reggere.

Il segretario di un partito parte con un handicap: è sostituibile, a differenza di Casaleggio. Il Movimento può permettersi di sbagliare perché i vertici politici sono sostituibili, i parlamentari devono la loro carriera passata e futura a Casaleggio. Basterebbe costringere il Movimento a interrogarsi sul ruolo di Casaleggio per demolire il castello di carte che questo si è costruito intorno. Basterebbe chiedere alle autorità preposte d’indagare gl’interessi di Milano, le influenza esercitata da Davide, le promesse, le garanzie, i clienti. Il Movimento è il tassello di un sistema di potere: o lo conosci e lo combatti o sei parte di esso, non ci sono alternative.