di Marco Canestrari e Nicola Biondo
Cosa sta succedendo davvero intorno al decreto fiscale? Chi ha fatto davvero litigare i viceministri Di Maio e Salvini?
Ieri Giorgetti, sottosegretario leghista alla Presidenza del Consiglio, rilascia un’intervista lasciando intendere che ci siano state “distrazioni” da parte dei 5 Stelle e che non conviene a Di Maio alzare i toni perché “scoprirà che la famosa “manina” è in casa loro”. Nel pomeriggio Laura Castelli, sottosegretaria M5s al tesoro, racconta a Repubblica: “tutti sappiamo cos’è successo in quella stanza” e aggiunge “non ci prendiamo in giro” senza però entrare nel dettaglio e ribadendo la contrarietà al condono.
Poco dopo, lo stesso Salvini durante una diretta Facebook assicura lealtà al governo, ma respinge con forza ogni accusa ricordando che durante quella riunione “Conte leggeva e Di Maio verbalizzava”.
L’impressione è che ormai tutti i protagonisti dell’incidente sul decreto fiscale abbiano capito com’è andata davvero ma, per imbarazzo reciproco, non lo possano ammettere pubblicamente.
Togliamo noi Di Maio, Salvini e Conte dall’imbarazzo e raccontiamo come sono andate le cose, così come abbiamo ricostruito anche grazie a fonti che nella stanze di quelle riunioni — il 15 ottobre — c’erano.
Lunedì 15 ottobre si riunisce il Consiglio dei Ministri che approva, tra le altre cose, il decreto fiscale. In preconsiglio e durante tutte le riunioni propedeutiche i testi vengono riletti, analizzati, limati articolo per articolo. Qualcuno — durante o dopo le riunioni — si accorge del problema sull’articolo nove, un passaggio molto tecnico, ma non dice nulla per molte ore. L’articolo passa: Conte legge, Di Maio scrive e verbalizza.
Il giorno dopo Di Maio si sta recando da Vespa per la registrazione di Porta a Porta e riceve una chiamata. L’interlocutore spiega che al Quirinale sta per arrivare un testo che contiene il condono, che Casalino è avvertito e che si può sfruttare mediaticamente questo fatto su Rai1. Chi parla è la stessa persona che aveva notato la norma, senza sollevare il problema nella sede opportuna. Viene concordato l’attacco: una manina, politica o tecnica, ha infilato il condono.
Di Maio in trasmissione da Vespa e, contemporaneamente, sulla sua pagina Facebook denuncia il “fatto gravissimo”. La Lega reagisce con compostezza: “Tutti eravamo d’accordo, l’abbiamo letto e riletto, nessuno ha sollevato obiezioni”.
Il caso monta, i toni si accendono. Proprio come accadde con il caso dell’impeachment a Mattarella, però, a sbraitare sono solo i Cinque Stelle mentre i Leghisti mantengono la calma.
Ieri, le interviste a Giorgetti e Castelli, che è noto non vadano molto d’accordo: la sottosegretaria è convinta che il leghista abbia una responsabilità nel fatto che non abbia ancora ricevuto deleghe da Tria.
Oggi ci sarà il Consiglio dei Ministri per risolvere la questione. Emergerà che non c’è stata alcuna manina: qualcuno nel Movimento ha dato un’informazione sbagliata a Di Maio, informazione che il vicepremier non ha verificato, fidandosi dell’interlocutore. Che però è la persona che avrebbe dovuto controllare i testi tecnici ed evitare proprio questo genere di problemi. Perché non l’ha fatto, cercando di capitalizzare l’informazione? E chi è?
La logica, e alcune fonti, portano proprio a Laura Castelli che ieri e oggi, nei corridoi dei palazzi romani, si diceva essere in grossa difficoltà. Qualcuno addirittura preconizzava una sua defenestrazione dal ministero del Tesoro: se c’è una cosa che Di Maio non sopporta, e non può permettersi, è rovinare il rapporto con Salvini che tutti sottolineano essere ottimo, personalmente.
“Ce l’avete messa voi lì, l’avete voluta voi. Se combina casini non è colpa nostra, dovete risolvere voi il problema. Io sono disposto a togliere qualcosa ma tu e io abbiamo un accordo e va rispettato”, avrebbe detto Matteo a Luigi in una telefonata dopo la puntata di Porta a Porta.