Era stato pensato per blindare la candidatura a Presidente del Consiglio a Luigi Di Maio e silenziare le fronde interne. Solo che, come sempre accade da quelle parti, non hanno pensato agli effetti collaterali.
C’è un un modo molto semplice per il Partito Democratico e Roberto Fico per portare a termine con successo questo giro di consultazioni, se volessero: trovare un accordo sui temi (come ha dichiarato di voler fare il Presidente della Camera) e proporre al Capo dello Stato la figura dello stesso Fico per l’incarico a formare il Governo. Non sarebbe difficile per i Cinque Stelle votare la fiducia a questo eventuale esecutivo: a norma di regolamento sarebbe proprio vietato non farlo.
Marco Canestrari e Nicola Biondo
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Ieri, l’Ereditiere Davide Casaleggio ha confermato di aver cacciato di proposito Jacopo Iacoboni dalla convention di Ivrea, dandogli del meschino e ricordando l’ultimo comunicato stampa di suo padre, Gianroberto Casaleggio, che lo chiamava sciacallo e smentiva le ricostruzioni del giornalista. Tenete a mente questo dettaglio, ci torniamo fra un attimo.
Vi racconto intanto un episodio su Davide che mi riguarda.
Siamo nel 2009 e io sono un dipendente di Casaleggio Associati. Ad aprile, un mio parente stretto — già malato — si aggrava. La situazione era tale per cui chiesi a un collega di poterlo sostituire in un viaggio aziendale a Roma, dove vive quel ramo della mia famiglia, per poterlo salutare, cosa che grazie a quel collega potei fare.
Informai, inoltre, tutti i miei capi che entro poco tempo avrei potuto avere bisogno di qualche giorno di ferie, facendo intendere l’imminente possibile funerale. Per qualche motivo che ignoro, la cosa irritò Davide. Il mio caro mancò a metà maggio.
Quel fine settimana chiesi tre giorni di ferie, sempre informando tutti i soci via mail e Davide di persona la domenica, visto che entrambi ci trovavamo a Torino alla fiera del Libro.
Spensi quindi il telefono e andai di nuovo a Roma.
Per scrupolo, la mattina del funerale controllai la posta. In replica alla mia richiesta formale di ferie, mi viene chiesto di tornare a Milano la mattina seguente entro le 10 per improrogabili impegni. Rispondo che l’unico modo sarebbe stato, per motivi organizzativi, lasciare la cerimonia funebre. Cosa che feci.
Davide mi rispose quindi privatamente ammettendo che il problema non era lavorativo, ma che non avevo risposto a una sua telefonata che mi fece mentre mi trovavo nella camera mortuaria. Del resto, quale momento più opportuno per telefonare a un proprio dipendente, se non quando sai che sta piangendo un parente defunto.
Tornato al lavoro, infatti, non ebbi consegne al di fuori della routine per 10 giorni. Non c’era nessuna urgenza.
Questo è il modo in cui capitava venissero trattati i dipendenti di Davide, che lo sappiano coloro che pensano di fare accordi con queste persone. Se non sbaglio c’è una parola precisa per definire questo genere di atteggiamento da parte delle aziende nei confronti dei loro dipendenti.
Ma non è tutto.
Tornato in ufficio Davide insinuò che non avessi mai avuto alcun parente malato o morto. A quel punto mi recai nello studio di Gianroberto — col quale avevo un ottimo rapporto e che era il presidente dell’azienda— e gli raccontai tutta la vicenda dall’inizio alla fine, pretendendo le scuse di suo figlio, che era anche suo socio.
Mi disse: “Ti chiedo io scusa per lui e per conto dell’azienda. Davide fatica a nascondere la gelosia nei confronti delle persone con cui vado d’accordo. Ti assicuro che gli farò pesare tutto il mio disagio per quanto accaduto e, di nuovo, ti chiedo scusa”.
Mi è tornato in mente questo episodio proprio a causa della citazione di quel suo ultimo comunicato. Gianroberto smentiva con forza, dandogli addirittura dello sciacallo, la ricostruzione di Iacoboni secondo cui Davide avrebbe assunto il controllo delle attività relative al Movimento di lì a breve.
È da notare che non si trova una sola dichiarazione di Gianroberto Casaleggio sul figlio. Nessuno, o quasi, sapeva in quel momento chi fosse. La notizia era quindi clamorosa, se confermata, come poi si è incaricata di fare la Storia.
Tutti coloro che andavano d’accordo con Gianroberto, in un modo o nell’altro sono stati allontanati. Io me ne andai a un anno da quell’episodio (continuando però a lavorare con Gianroberto, sentendolo settimanalmente). Così fece il mio collega David. Lo stesso è capitato a Matteo Ponzano, Nicola Biondo e Filippo Pittarello.
Eppure, mai Gianroberto aveva parlato di suo figlio in relazione al M5S. Mai aveva fatto sapere di voler fondare l’associazione Rousseau, costituita mentre Roberto è sul letto di morte a poche ore dal suo trapasso, consentendo a Davide, aiutato dai suoi avvocati, di diventarne il dominus.
Lui, un figlio di cui Gianroberto era costretto a scusarsi coi propri dipendenti, che raramente il padre presentava ai suoi uomini di fiducia, che quasi nessuno, prima di quel momento, conosceva tra i parlamentari M5S. L’unico riferimento pubblico a questo suo figlio è quel comunicato di smentita di Iacoboni. L’ultima cosa che Gianroberto ha voluto fare nella sua vita, dalla clinica in cui si era fatto registrare come Gianni Isolato, è negare con forza di voler lasciare la sua creatura politica, frutto del lavoro di vent’anni, a suo figlio, che invece riuscirà a ereditarla con un atto notarile per soli trecento euro.
Proprio il comportamento coerente che ci si aspetta da una persona lucida nelle sue ultime ore di vita. Quello che tutti noi penseremmo di fare se fossimo consapevoli di aver poco tempo prima del commiato da questa Terra: un atto notarile e un comunicato stampa per negarlo.
Se fossi Iacoboni, andrei fiero di essere chiamato meschino da un soggetto come Davide Casaleggio.
Sono Marco Canestrari e ho lavorato dal 2007 al 2010 in Casaleggio Associati. Ho visto e fatto nascere il M5s, coordinavo i gruppi MeetUp e accompagnavo Grillo nelle più importanti occasioni ufficiali.
Tutti siamo a conoscenza e condividiamo ciò che non ci piace del M5s, ma oggi vorrei concentrarmi su cosa ha invece funzionato nella loro strategia e su cosa hanno sbagliato i loro avversari in questi anni, ovviamente dal mio punto di vista e per la mia esperienza.
Parlerò di tre aspetti della strategia del M5s: organizzazione, comunicazione, formazione delle posizioni politiche.
Parto dalle posizioni politiche perché il primo grande errore è stato quello di ignorare e deridere, fin dall’inizio, quelle che erano posizioni politiche — condivisibili o meno — trattandole con sufficienza: nei confronti di Grillo venne utilizzata la parola “antipolitica”, con ciò rifiutando perfino di considerare le istanze che provenivano dai suoi gruppi organizzati, di cui parleremo fra un attimo.
In realtà, il motore di quello che sarebbe diventato il MoVimento era, negli anni 2000, l’interesse di Gianroberto Casaleggio per i nuovi modelli organizzativi possibili grazie a Internet, che all’epoca iniziava a produrre nuovi modelli di business per le aziende, nuovi modelli organizzativi per le lobby civiche, nuove occasioni per fare informazione, controinformazione e, ovviamente, disinformazione.
Casaleggio, da studioso di questi fenomeni, aveva capito il cambiamento in atto e cercava di prevedere quali settori della società sarebbero stati interessati. Uno studio che proseguiva da anni, fatto di molti viaggi e molte letture.
L’incontro con Grillo, che avviene nel 2004, produce il mix esplosivo: Grillo da anni si era dedicato al cosiddetto “teatro civile”, affrontava temi sovrapponibili a quelli che stava studiando Casaleggio, con l’occhio dell’artista popolare, geniale nel capire gli umori del suo pubblico, i problemi, la rabbia, le paure.
Così l’uno, Grillo, spiegava all’altro, Casaleggio, come le persone perdessero ore e ore di vita — di vita — in macchina per andare in ufficio e l’altro replicava come, grazie alla tecnologia, fossero possibili il telelavoro (ricordiamoci che siamo all’inizio degli anni 2000, all’epoca era una novità) e una migliore organizzazione dei trasporti pubblici e privati (dì li a pochi anni sarebbe nata Uber). Discorsi di questo tipo sublimavano in posizioni politiche estremamente efficaci dal punto di vista della propaganda: “investire nell’immobilità”, per sintetizzare come si dovesse investire affinché si riducessero il numero e la durata dei trasferimenti.
E arriviamo così al secondo tema, quello della comunicazione.
Si è molto detto e scritto di come Grillo e Casaleggio abbiamo “bypassato” la comunicazione tradizionale attraverso Internet. Poco o nulla, invece, si è detto di come abbiano utilizzato la Rete per aprire un canale di comunicazione inverso: dal pubblico verso di loro.
Inizialmente, il Blog serviva a Grillo per farsi raccontare dal suo pubblico, prima dei suoi spettacoli, qualche notizia locale da inserire nel suo show. Col tempo hanno cominciato ad arrivare segnalazioni di qualsiasi tipo, su moltissimi argomenti, locali e nazionali. Perché? Perché laddove i siti delle altre organizzazioni, dai partiti, ai sindacati, alle associazioni, ai singoli politici — i pochi che lo avevano, non permettevano di inviare mail o commenti, quello di Grillo era aperto.
Così su di noi, in Casaleggio, si riversava tutta la rabbia e la frustrazione di chi sentiva di non avere voce. Trovavano nel Blog un orecchio pronto ad ascoltare e una voce pronta a gridare, letteralmente, per loro.
Siamo nel periodo del secondo governo Berlusconi: quelli di destra erano delusi dalle mancate promesse esaudite, quelli di sinistra erano furiosi per un’opposizione che veniva percepita come complice.
Ripeto: quello che trovavano i lettori del blog era qualcuno pronto ad ascoltare. E a cui chiedevano, sempre più insistentemente, soluzioni.
Terzo tema: come organizzarsi?
Il M5s nasce nel 2009, ma fin dal 2005 il Blog di Grillo aveva iniziato a organizzare gruppi locali chiamati “MeetUp”: assemblee che si riunivano per discutere i temi affrontati da Grillo nei suoi post. In cui si condivideva anche quella rabbia e voglia di rivalsa e di partecipazione che avevamo ascoltato, raccolto, elaborato, rilanciato. Periodicamente, il Blog organizzava un incontro nazionale in cui i lettori e gli attivisti potevano conoscersi fisicamente dopo aver a lungo discusso nei “forum” online. In questo modo si è creato un embrione di comunità raccolta intorno ad alcuni valori condivisi: la voglia di riscatto e partecipazione, la richiesta di ricambio, di “pulizia” della classe dirigente, non solo politica.
Tutti ci si conosceva: è falso dire che la comunità fosse esclusivamente online. Gli incontri locali erano settimanali e i vari responsabili locali si confrontavano sia online sia di persona più volte al mese.
Per due anni i MeetUp hanno cercato di spingere la politica locale ad interessarsi ai temi proposti, ma nella stragrande maggioranza dei casi la porta era sbarrata o, peggio ancora, l’ufficio dietro quella porta era marcio.
Io sono di Pavia: nel 2006 col MeetUp incontrammo un dirigente locale del futuro PD per parlargli dei rischi collegati all’inquinamento legato al ciclo dei rifiuti, spiegandogli che aumentava l’incidenza di alcune malattie, per proporre la raccolta porta a porta. Sapete quale fu la risposta? “Se sono malattie che fanno fare soldi, allora mi interessa, se no arrivederci”. Questo dirigente si trova oggi in carcere. Era così ovunque.
Episodi del genere ci venivano segnalati settimanalmente da ogni parte d’Italia.
Sono queste esperienze comuni, queste frustrazioni, che hanno cementato il gruppo dirigente del MoVimento. E che hanno costruito un codice di condotta a lungo non scritto, ma comunque chiaro a tutti, che ha permesso ai loro elettori di applicare la sanzione reputazionale senza indugio ogni qual volta si è ritenuto, a torto o a ragione, necessario.
Sì, ci sono e ci sono state palesi ingiustizie, esagerazioni, distorsioni e innumerevoli porcherie. Ma, alla fine, il gruppo dirigente era ed è compatto intorno ad alcuni princìpi ben riconoscibili e riconosciuti, fermo restando il vuoto pneumatico intorno agli altri temi che serve affrontare per formare una proposta politica credibile.
Non è evidentemente un metodo esemplare, lo è piuttosto l’obiettivo raggiunto.
L’assemblearismo perenne degli inizi ha assorbito perfino l’intera dialettica degli anni dell’istituzionalizzazione, anche grazie al fatto che fino a quando ci sono riusciti, i fondatori hanno impedito la formazione di strutture e gerarchie: qualsiasi tentativo di emergere o proporre organigrammi veniva soffocato nella culla.
Anche lo scontro tra Fico e Di Maio è rientrato prima del voto perché non era tra aspiranti dirigenti, ma tra vecchi compagni di strada.
Tutto cambia nel 2014 quando gli attuali dirigenti impongono ai fondatori il direttorio all’indomani della sconfitta alle europee, mossa che romperà il tabù delle gerarchie e permetterà al partito di mettersi in assetto da campagna elettorale, capitalizzando la fiducia raccolta nei 10 anni di attività investendola in pura propaganda.
A meno della rottura di altri tabù come il limite dei due mandati, questo gruppo dirigente esaurirà la sua parabola in questa legislatura. A chi vuole contrastarli mi permetto — rispettosamente, visto che sono ospite in casa d’altri — di consigliare tre cose.
Primo: guardare lontano.
Casaleggio, nel 2007–2009, si diede l’obiettivo di conquistare il governo in 10–15 anni, ogni zero virgola conquistato alle elezioni era una vittoria. Derisa dagli avversari miopi che non vedevano la marea montare.
Bisogna ragionare come se i prossimi 5 anni siano loro, e progettare i successivi 10. Primo per lasciarli, che governare sarà diverso dalla propaganda e quest’onda va lasciata sfogare. Secondo perché chi governa è assorbito dal presente, mentre incalza il futuro. Chi non avrà questa incombenza può approfittarne per fermarsi e studiare.
Secondo: proporre partecipazione, reale e diversa.
Oggi il m5s è forza di governo. Le loro energie saranno tutte impiegate a spiegare e giustificare l’azione dell’esecutivo, ma i loro strumenti di partecipazione, come Rousseau, per quanto siano tecnicamente ridicoli, assolvono al compito di dare l’impressione ai loro iscritti di contare qualcosa. Bisogna studiare ciò che propongono e offrire la possibilità reale di contare. In un modo differente — perché vale sempre il discorso della copia e dell’originale — ma più efficiente e attraente.
Terzo: investire tempo e pazienza.
Il modello di comunicazione m5s è difficilmente replicabile: non esiste un altro Beppe Grillo, ammesso si voglia usare quel registro, il contesto è cambiato. Ma c’è un fattore che gioca a favore delle nuove opposizioni ed è il tempo. C’è il tempo per capire come sarà il mondo fra dieci anni, per anticipare i problemi e studiare delle soluzioni. Il tempo per spiegare tuctto questo alla generazione dei quindicenni di oggi, Come Grillo 15 anni fa si rivolgeva agli adolescenti di ieri che oggi sono i suoi elettori, insieme ai loro genitori e zii.
Ci vogliono pazienza e intelligenza. Bisogna sforzarsi di affiancare al sarcasmo ormai tossico del linguaggio tipico dei social network, la paziente e comprensiva spiegazione delle proprie ragioni, supportate sempre dalle opportune evidenze. Credo che questo, soprattutto, sia oggi il miglior modo per marcare la differenza dal M5s.