Come Facebook ha cambiato il M5S

Foto da galloluigi.wordpress.com

Dai MeetUp alle fan page, dall’organizzazione alla propaganda

Uno studio condotto dall’Università La Sapienza, coordinato da Antonio Putini e ripreso nei giorni scorsi da La Stampa, rivela come l’utilizzo da parte degli attivisti del Movimento 5 Stelle della piattaforma MeetUp.com sia scemato, fino a diventare marginale, nel corso degli ultimi anni.

Come già notava Federico Mello due anni fa nel suo Un altro blog è possibile (Imprimatur), l’abbandono dello strumento di organizzazione storico del Movimento è dovuto anche a ragioni tecnologiche: ad un certo punto, in Italia è arrivato Facebook. Il social network di Zuckerberg riesce meglio di qualsiasi altra piattaforma ad appropriarsi di una risorsa preziosissima, poiché limitata, degli utenti: il tempo. Per chi svolge un’attività online, che sia produrre e distribuire notizie oppure organizzare un movimento politico, il tempo che gli utenti passano sulla propria piattaforma è un parametro importante per il successo del proprio prodotto. Facebook riesce benissimo a trattenerci sul suo sito e sulla sua app, aggiungendo funzioni, semplificando i processi, stimolando l’inserimento di foto, video, commenti e, di recente, anche “reazioni” emotive.

Diversamente, gli strumenti di MeetUp.com tendono a promuovere la discussione, la condivisione di documenti e l’organizzazione di incontri; soprattutto, spingono alla ricerca di partecipanti motivati anche attraverso il filtro, decisivo, di una piccola somma da versare per aprire un gruppo. Il prezzo, però è la difficoltà di trattenere un grande numero di persone sul portale.
La migrazione da uno strumento all’altro è stata inevitabile, come lo è per molte altre attività, dall’editoria al marketing, e comporta delle conseguenze.

Su Facebook si acquisisce tanta più influenza quanto più si è in grado di provocare reazioni, condivisioni, commenti: ciò promuove un’organizzazione verticale basata sulla popolarità, molto diversa da quella più complessa, ma più diffusa, che aveva inizialmente caratterizzato il Movimento dei MeetUp, dove il valore aggiunto era la capacità di organizzare e motivare un gruppo verso un determinato obiettivo.

Non è strano, per un movimento politico nato e cresciuto in Rete, che lo strumento utilizzato non sia neutro rispetto alla sua organizzazione.

Nel tempo, la comunicazione è divenuta più determinate dei contenuti: lo stesso studio citato prima sottolinea la scarsa partecipazione degli iscritti ai sondaggi e alla discussione delle leggi proposte dai parlamentari.

Le persone più popolari sul social network sono diventate le più influenti politicamente e, infine, hanno accompagnato questo processo con un atto ufficiale, pubblicato sul blog di Grillo a luglio 2015, in cui nei fatti dichiarano superata l’esperienza dei MeetUp, relegandoli a un ruolo operativo e separandone l’attività da quella del Movimento stesso.
È quello il momento, stando alle conclusioni dello studio, in cui crolla il numero di gruppi e cessa la maggior parte dell’attività dei MeetUp.


Inizialmente pubbicato su www.ilfattoquotidiano.it il 20 maggio 2016.

Sicurezza: WhatsApp ha fatto la sua scelta


WhatsApp ha completato l’implementazione della cosiddetta end-to-end encryption

Con buona pace delle polizie e dei Servizi Segreti di tutto il mondo, WhatsApp — cioè Facebook — ha completato l’implementazione della cosiddetta end-to-end encryption: un sistema per cui tutte le conversazioni tra dispositivi su cui è installata l’ultima versione dell’App saranno cifrate.


Ciò significa che i messaggi, le foto e i video potranno essere letti soltanto dai telefoni da cui partono e su cui arrivano: anche per la stessa WhatsApp sarà virtualmente impossibile decrittare i contenuti che passano sui suoi server.

Nonostante il tempismo possa far pensare a una risposta diretta alla vicenda Apple vs. FBI, l’azienda ci stava lavorando fin dal 2013.

Questo è un punto di non ritorno: WhatsApp ha ormai superato il miliardo di utenti e, soprattutto, la cifratura è già attiva automaticamente sui dispositivi abilitati. Non si torna indietro.

L’ho già scritto in merito alla vicenda Apple vs. FBI: proteggere le comunicazioni private è una necessità sacrosanta, per la nostra sicurezza e per il nostro portafoglio.

Peraltro, questo genere di sistemi di sicurezza ha reso possibile l’inchiesta Panama Papers, come spiega bene Paolo Attivissimo: argomento in più a dimostrazione dell’interesse pubblico nell’avere sistemi di comunicazione sicuri.

La strada, comunque, è ormai segnata: i grandi provider di servizi hanno preso la loro decisione e continueranno, si spera, a migliorare le tecnologie di cifratura. La sfida è far capire perché sia la cosa giusta da fare ai governi e all’opinione pubblica.