Vincitori e vinti

La notizia è che Farage non ha bisogno di Grillo per mantenere in piedi il suo gruppo parlamentare, ma è anzi il Movimento che ha tutto da perdere.

Partiamo da qui per spiegare perché Davide Casaleggio, Filippo Pittarello e Beppe Grillo hanno dovuto tornare con la coda tra le gambe da Farage per chiedere scusa e implorare di restare nel suo gruppo Parlamentare.

Nigel Farage

Adesso i rapporti di forza tra Grillo e Farage non sono più quelli di inizio legislatura, quando ciascuno aveva bisogno dell’altro. Farage, infatti, in questi due anni e mezzo si è tutelato e ha cooptato un numero sufficiente di parlamentari (devono essere almeno 25 da 7 stati membri diversi, ora sono 44 da 8 paesi) per poter fare a meno dei 17 del Movimento.

E’ questo il dato per capire chi vince e chi perde da questo passaggio determinante per il futuro del Movimento anche in Italia.

Oltre all’evidente danno di immagine, dai fatti degli ultimi giorni esce un solo vincitore, Davide Casaleggio, e un capro espiatorio, Filippo Pittarello, ex responsabile della comunicazione ora sostituito da Cristina Belotti.

Pittarello viene così “lasciato indietro”, sacrificato sull’altare dei soldi e della fedeltà alla dirigenza.

Per spiegare come, facciamo un passo indietro e ripercorriamo i fatti.

Negli ambienti di Bruxelles, era noto da circa un anno che il Movimento e Farage erano “ai ferri cortissimi”. Dopo la Brexit, David Borrelli e Filippo Pittarello cominciano a sondare il terreno per trovare nuovi partner.

Borrelli e Pittarello non sono persone qualunque: Borrelli, europarlamentare, è copresidente con Nigel Farage del gruppo a cui appartiene il Movimento. E’ il primo, inoltre, per il quale viene violata una regola importante del Movimento: si era candidato alla presidenza della Regione Veneto quando ancora era consigliere comunale di Treviso, senza essere sanzionato e, anzi, col diretto benestare di Gianroberto Casaleggio. E’ anche uomo di fiducia di Davide, suo socio nell’Associazione Rousseau, quella che gestisce i dati e il portale del M5s.

Filippo Pittarello, già dipendente di Casaleggio Associati e uomo ombra di Grillo nelle tournée teatrali, è il suo uomo di fiducia: quasi conterranei (Pittarello è di Padova), va a Bruxelles su precisa volontà di Gianroberto per sostituire Messora, ma sarà inizialmente assistente parlamentare proprio di Borrelli.

Dopo il rifiuto di tutti i gruppi papabili, compresi Verdi e Comunisti, trovano nell’ALDE, in particolare il capo delegazione Guy Verhofstadt, un interlocutore interessato a un accordo.

Iniziano con lui la trattativa per entrare nell’ALDE, i liberali, il gruppo di riferimento di Mario Monti, i più europeisti del Continente. Della trattativa, alla faccia della trasparenza, sono a conoscenza pochissime persone: oltre a loro, Cristina Belotti, Davide Casaleggio, Grillo (forse solo a cose fatte), Di Maio ( anche se lui pubblicamente smentisce) e pochi altri.

Se l’operazione andasse a buon fine, sarebbe un colpaccio: il Movimento farebbe meno paura e soprattutto Di Maio potrebbe spendere l’accordo, con il resto della leadership internazionale, come la prova che il suo partito è in grado di istituzionalizzarsi e condurre trattative con successo.

Anche Filippo Pittarello ne beneficerebbe: da tempo andava dicendo ai parlamentari più fidati che si sentiva a rischio, minacciato da Cristina Belotti, che gode della fiducia di Davide il quale, invece, Filippo non lo sopporta.

Le cose vanno diversamente: invece di verificare informalmente, con altri eurodeputati dell’ALDE, quanto sia fattibile l’accordo, Borrelli e Pittarello si fidano di Verhofstadt, che vuole candidarsi alla presidenza del Parlamento, convinti che riesca a convincere il suo gruppo.

Alla notizia del possibile ingresso del M5S, invece, i liberali si ribellano e lo fanno saltare clamorosamente. Il Movimento fa così marcia indietro, chiede scusa a Farage e gli chiede di restare nel suo gruppo. Politicamente, questa giravolta costa al Movimento l’intero capitale nell’unica valuta valida in campo internazionale: l’affidabilità. Nessuno, infatti, li potrà più considerare interlocutori credibili e affidabili se passano nell’arco di 24 ore dall’essere aspiranti liberali europeisti a feroci avversari della moneta e del progetto comunitari.

Grillo, come detto, è costretto ad assecondare ogni condizione imposta da Farage per la permanenza nel gruppo.

Richieste molto chiare: via Pittarello, via Borrelli, dichiarazioni pubbliche antieuropeiste, nessun candidato M5S al prossimo rinnovo delle commissioni.

Ma se il Movimento deve perdere il suo capo comunicazione, la copresidenza del gruppo e tutti i ruoli nelle commissioni, cioè quelli che permettono di “incidere” nel parlamento come dicono di voler fare, che senso ha restare?

La risposta è: ventitrè. Tanti sono i funzionari assunti dal Movimento per il fatto di appartenere a un gruppo parlamentare. La stragrande maggioranza è personale di fiducia dei parlamentari, attivisti, ex MeetUp, che perderebbero il posto se il M5S finisse nel gruppo misto.

Luigi Di Maio

Così, dopo anni di equilibrismo e ambiguità, Di Maio si esprime chiaramente come mai prima contro l’Euro (“a un referendum, voterei per uscire”), David Borrelli rinuncia alla copresidenza e Filippo Pittarello viene sostituito anzi, sacrificato, come dicevamo, sull’altare dei soldi e della fedeltà a Davide, che non perde nulla ma impone una persona di sua fiducia alla comunicazione del gruppo a Bruxelles.

Amen.

Di chi sono gli iscritti del Movimento 5 Stelle?

La domanda è: a chi appartengono gli iscritti del Movimento? All’associazione “Movimento Cinque Stelle” o all’azienda nei cui server sono contenuti tutti quei dati? E chi li gestirà in futuro quando sarà pronto un nuovo statuto del Movimento con precisi incarichi?

Questione spinosa che Casaleggio, Grillo e il Direttorio hanno già dimostrato di non saper gestire: gli espulsi, infatti, sono stati riammessi, a Roma e Napoli in particolare, perché l’Associazione Movimento Cinque Stelle, quella nata nel 2012 che aveva proceduto all’allontanamento dei militanti, non è quella a cui questi sono iscritti, cioè la “non-associazione” sancita dal “non-statuto”. Una presa in giro, nel migliore dei casi; un tentativo di furbata, nel peggiore, ma che certamente rispecchia la gestione che aveva in mente Gianroberto: “Io ho ragione, le leggi devono necessariamente stabilirlo; se non lo fanno, fate in modo che lo facciano”.

E’ su questo che si è consumata la più grande frattura sull’asse Milano-Genova, anche a causa del danno di immagine che queste vicende stanno provocando a Grillo.

Da un lato, per la Casaleggio conoscere il comportamento sulla piattaforma e sul blog degli iscritti ha un enorme valore commerciale. In questo caso, vale la massima molto nota nel settore: quando un servizio online è gratis, significa che il prodotto sei tu. Difficile che l’azienda rinunci a qualcosa di così importante, costruito in oltre dieci anni di campagne virali, spettacoli di Grillo, tour politici nei quali ha investito un patrimonio.

Dall’altro, sapere come la pensino gli iscritti di un certo territorio, su un determinato tema, o perfino gli stessi parlamentari, è un vantaggio competitivo non indifferente sia verso l’interno che verso l’esterno, per chiunque voglia guidare il partito: Di Maio, o chi per lui, se vuole prendere in mano le redini del Movimento deve avere accesso a quei dati. Sapere chi, nel gruppo parlamentare, ha votato pro o contro il direttorio, pro o contro l’abolizione del reato di clandestinità, pro o contro le unioni civili, ad esempio, farebbe la differenza.

Il golpe di Davide

Poi arriva Davide Casaleggio.

Che a colazione prende sempre brioche e succo di pera.

Ogni giorno, brioche e succo di pera.

Tanto è pieno di idee Gianroberto, tanto è metodico suo figlio Davide.
L’uomo che adesso ha le chiavi e i codici del Movimento Cinque Stelle è il consigliere più fidato del padre “a cui si affida tanto, nel bene e nel male” spiegano sempre dai piani alti del Movimento, ma senza la stessa passione politica e lucidità di visione.

Il padre ha i sogni.

Il figlio li traduce in tattiche e azioni pratiche.

Il padre fa riunioni a porte aperte.

Il figlio fa riunioni a porte chiuse.

Il massimo frutto di questo sforzo analitico è il libro “Tu sei Rete”: lì sono descritte le teorie alla base dell’organizzazione del M5S.

Lui, Davide, dà l’ok alle comunicazioni che partono dallo “Staff di Beppe Grillo”; lui tiene i contatti con i consulenti esterni, in particolare lo studio Montefusco, quello che spedisce, tra l’altro, le lettere di espulsione, cioè di revoca dell’utilizzo del logo del MoVimento che colpisce iscritti, eletti o interi gruppi sul territorio.

Lui è il figlio del capo, sta simpatico a pochi e si scontra spesso con gli altri soci; all’occorrenza fa valere il suo status. Campione di scacchi da bambino, persona riservata e abitudinaria.

Il padre è autorevole.

Il figlio impone metodi e obiettivi. “Conta l’obiettivo” è il suo motto.

Oggi Gianroberto non c’è più.

C’è solo Davide. E’ lui che, da presidente della Casaleggio Associati e dell’Associazione Rousseau, nata dopo la scomparsa di Gianroberto, dovrà gestire e risolvere il conflitto di interessi — evidente — tra le attività commerciali e quelle politiche che amministra.

Prima che sia troppo tardi.

Prima che i “movimenti ad alti livelli” nel gruppo parlamentare, a cui si riferisce il già citato dirigente, gli impongano quella “chiarezza di impostazione di tutta la struttura” che non si può permettere di subire, ma deve governare.

C’è gran confusione tra Movimento e blog, tra il ruolo della Casaleggio e quello di Grillo, le ambizioni sfrenate dei rampanti membri del Direttorio e una base sempre più disorientata.

La Casaleggio Associati gestisce alcune attività editoriali commerciali come i portali TzeTze (vero e proprio sito acchiappa click, e su questo ci ritorneremo….) e La Fucina. I proventi vanno ovviamente all’azienda. Casaleggio senior aveva sempre negato una relazione tra questi siti e l’attività politica dei Cinque Stelle, ma proprio il blog di Grillo e la sua pagina Facebook ne sponsorizzavano i contenuti, creando non pochi imbarazzi tra i parlamentari.

Davide e soci non sono amati nel Movimento e le loro azioni, all’interno del gruppo parlamentare, sono oggetto di grandi discussioni. Si pretende chiarezza “ai più alti livelli”. Ma in realtà dietro questa richiesta ognuno si gioca la sua partita.

Obiettivo: i dati del portale Rousseau, di cui Beppe Grillo è responsabile legale, ma che sono amministrati dalla Casaleggio Associati e che, soprattutto, fanno gola ai parlamentari, impegnati nella loro scalata al Movimento.

Casaleggio Associati non è un ente di beneficenza, è una srl. E ha un evidente interesse al controllo di questi dati: conoscere il “profilo” delle persone che hanno a che fare con il Movimento, chi sono, dove abitano, come votano, quanto donano, ha un valore commerciale potenziale incalcolabile. Può essere utile, ad esempio, a indirizzare meglio gli investimenti pubblicitari delle altre attività editoriali: se hai donato spesso, o sei molto attivo sul portale, sarà presumibilmente più probabile che tu sia predisposto ad acquistare un libro che tratta i temi a cui sei interessato.

La rivolta

La Dc aveva le correnti.
Il Pci aveva le correnti.
E certo, anche il Pd, per dire, ha le sue correnti. Così tante che per orientarsi è necessaria una mappa.

Il Movimento Cinque Stelle, no.
Il Movimento è nato come una specie di religione. Lo diceva spesso Gianroberto Casaleggio: “Il nostro messaggio è come quello di Gesù Cristo”.
C’è un verbo e il verbo è il blog. C’è una trinità, venerata: Grillo, Casaleggio e lo spirito santo sotto forma della Rete, che tutto contempla, tutto osserva, tutto alla fine decide. Per tutti.
Mica è un partito, il Movimento Cinque Stelle. E’ qualcosa di più. E’ come un tempio.
E quindi, niente correnti.
Evitare gli scontri interni, la diversità di vedute, ridurre tutte le voci critiche ad una specie di coro unanime.
Evitare a priori le polemiche. Allontanare subito chi si discosta dal “verbo”, chi può avere anche una propria personalità ingombrante. Tanti ricordano ancora il periodo in cui Beppe Grillo aveva appoggiato le candidature di Sonia Alfano a presidente della Regione Sicilia, e poi della stessa Alfano e di Luigi De Magistris al Parlamento Europeo. Ma i du non davano garanzie di essere apostoli ubbidienti, e furono rinnegati in poco tempo.

No, non ha correnti il Movimento Cinque Stelle. Casaleggio i contrasti non solo non voleva risolverli: lui eliminava il problema a monte, non prendeva mai in considerazione che ci fossero divisioni o anche dubbi all’interno dei Cinque Stelle.

“Al primo dubbio, nessun dubbio”, diceva.

Poi è arrivato Luigi Di Maio.
Di Maio, l’uomo che si è fatto corrente, il parlamentare che in parallelo sta creando una sua struttura nel Movimento. Ha una voglia incontenibile di entrare a Palazzo Chigi, in televisione è uno che buca, è ricevuto dagli ambasciatori, fa il tutto esaurito nelle piazze, gli piace la mondanità. Incontenibile, inarrestabile.
Nella santa trinità del Movimento, Di Maio è il quarto incomodo, il nuovo profeta.
Più sale la sua popolarità, però, più aumenta il malessere nel Movimento, dove sono in molti, soprattutto tra i parlamentari, a non capire cosa stia succedendo, a vedere nell’ascesa di questo trentenne il tradimento di alcuni dei valori fondativi.
I sospiri diventano mugugni, i mugugni proteste.
E per la prima volta succede che vengono a galla malumori.
Non sono lamentele solitarie: molti parlamentari, anche agli antipodi tra loro, cominciano a vedersi e a riunirsi, scoprendo di avere in comune un disagio che non può essere più taciuto.
Di riunione in riunione, di incontro in incontro, monta lo scontento.

Il tempio costruito in tanti anni con fatica da Casaleggio e Grillo comincia a sgretolarsi.
Fatidico è il mese di Settembre 2016.
Il Sindaco M5S di Roma, Virginia Raggi, ha appena sbattuto la porta in faccia al Coni sulla candidatura della Capitale alle Olimpiadi del 2024.

Il Ministero della Salute è nell’occhio del ciclone per la campagna sul “Fertility Day”.

I Comuni protestano per il massiccio arrivo di migranti. L’estate è finita.
Sul tempio non splende più il sole. Va in scena la grande rivolta.

Party like a Russian

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Alessandro Di Battista

“Party like a Russian / End of discussion…” canta Robbie Williams nella hit del momento, “Party like a Russian”. Ma non c’è solo lui ad avere l’ambizione di partecipare a certe feste alla corte dell’imperatore Putin. Anche Alessandro Di Battista, Ministro degli Esteri in pectore in un possibile governo dei Cinque Stelle, ha il suo Russian Style. E mica lo nasconde.

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“Che ne dite di farci dare una mano per la campagna sul referendum costituzionale dall’ambasciatore russo? Con tutto quello che stiamo facendo per loro…”

A parlare così è proprio Di Battista. Parole pronunciate negli uffici del gruppo parlamentare tra ottobre e novembre 2016, quando ancora non erano uscite inchieste sulle affinità tra la propaganda pro-Putin e quella del M5S.

Parole che raccontano un contesto, quello internazionale, che vede un attivismo frenetico del Movimento per farsi conoscere — e riconoscere — dall’establishment in Europa e nel mondo. Stiamo parlando di uno dei nodi meno conosciuti della storia del Movimento, quello riguardante la politica estera. Nel programma infatti non c’è nemmeno una riga al riguardo.

Ma perché Di Battista pensa ad alta voce di chiedere aiuto ai russi per la battaglia sul referendum? Cosa c’entra la Russia con l’Italia? E soprattutto, cosa c’entra Putin con i Cinque Stelle?

Fino al 2014, in coincidenza con la guerra in Ucraina, la Russia e Putin erano fuori dagli interessi del Movimento. Anzi, peggio. Putin veniva definito uno “zar dagli affari oscuri”.

Anna Politkovskaya

C’era una volta , prima dello sbarco in Parlamento, il Movimento che esaltava i movimenti di contestazione americani, elevava a suo nume Julian Assange, eleggeva come icona dell’informazione il nemico pubblico numero uno di Putin, Anna Politkovskaja, e le proteste laiche e libertarie delle Pussy Riot; guardava infine con simpatia ai proclami della primavera araba.

Quando Vladimir Putin arriva in Italia, fresco dell’approvazione della prima legge “ammazza blog”, l’accoglienza del Movimento è gelida: “Noi chiediamo che il governo venga a riferire in aula al più presto sugli oscuri affari con lo zar russo’’ recita una nota del gruppo alla Camera.

Fino a tutto il 2013 Putin e la Russia erano davvero lontani dall’orizzonte del Movimento: uno che fa affari oscuri, che discrimina i gay, che uccide la democrazia sul web.


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Algoritmo per i dissidenti: magari fosse una battuta

Luigi Di Maio ha liquidato come una battuta da comico le parole con cui Grillo ha ironizzato, di nuovo, sulle espulsioni nel MoVimento 5 Stelle: “Faremo un algoritmo, se un parlamentare che hai votato non segue il programma è automaticamente espulso”.

Sarà anche una battuta, ma pochi si sono resi conto che gli strumenti che usa il Movimento permettono un controllo molto preciso sui comportamenti e le scelte di ciascun iscritto.

Rousseau, la piattaforma sviluppata da Casaleggio Associati e “messa a disposizione gratuitamente” è proprietaria: solo il produttore conosce il codice, quindi non è possibile escludere che gli amministratori della piattaforma, che siano i tecnici o i responsabili politici dell’Associazione Rousseau, possano verificare le attività di ciascun iscritto, parlamentari inclusi.

Se queste informazioni fossero a disposizione di tutta la comunità, non ci sarebbe nessun problema. Ma visto che sono poche le persone ad avere accesso a tutti i dati, e che l’informazione è potere, c’è un evidente squilibrio. Questo è uno snodo fondamentale per fare chiarezza sui criteri — del tutto arbitrari — per i quali molte liste a cinque stelle sono state respinte: senza certificazione non possono usare il logo e quindi candidarsi.

Sarebbe interessante sapere, ad esempio, quanti candidati sindaco respinti dallo “Staff” avevano votato contro la formazione del direttorio nella consultazione sul Blog del 2014, e quanti di quelli certificati avevano votato a favore.

Solo lo Staff potrebbe fare chiarezza: e questo è esattamente il problema.

Dal blog ai funzionari di partito

Sembra che Casaleggio Associati abbia iniziato a liberarsi di alcuni costi legati alla gestione del Movimento 5 Stelle, senza però rinunciare ai ricavi.

Pietro Dettori ha aggiornato il suo profilo LinkedIn, annunciando di aver lasciato Casaleggio Associati per diventare “Responsabile editoriale” dell’Associazione Rousseau, cioè del Blog delle Stelle, fu Blog di Beppe Grillo.

L’Associazione e il Blog delle Stelle dovevano servire a chiarire e semplificare l’organizzazione del Movimento 5 Stelle e i suoi rapporti con l’Azienda: se possibile, la situazione ad oggi è invece ancora più complessa.

I soci dell’Associazione sono Davide Casaleggio, Massimo Bugani e David Borrelli. Lo Statuto non è ancora pubblico, quindi non sappiamo quali siano obiettivi, sede e organi amministrativi.

Da alcune settimane il Blog di Beppe Grillo si sta trasformando nel Blog delle Stelle e sta raccogliendo i finanziamenti per sé e per l’Associazione. Al momento sono dichiarati 231.248€ da 7.415 donatori.

In realtà, la homepage di beppegrillo.it è sempre la stessa, pubblicità incluse, mentre le pagine dei singoli post hanno il brand “Il Blog delle Stelle”. Gli annunci pubblicitari sui post sono solo sulla versione mobile e non è dichiarato a chi vanno i ricavi. In fondo ai post, però, sono ancora indicati i credits a Casaleggio Associati e il link per chi vuole inserire pubblicità.

Il Blog delle Stelle rimane collegato ai profili social di Beppe Grillo, che continuano a sponsorizzare i prodotti commerciali dell’azienda, tzetze.it e lafucina.it, così come sul Blog compaiono i video de la-cosa.it: sugli ultimi due siti è presente il numero di Partita Iva di Casaleggio Associati, mentre su tzetze.it è indicata la stessa Azienda come responsabile del trattamento dei dati personali.

In conclusione: Casaleggio Associati pare aver solo spostato i costi di un suo dipendente all’Associazione finanziata dai sostenitori del Movimento, continuando a beneficiare dei ricavi dei siti pubblicizzati dai profili social di Beppe Grillo e dall’ibrido Blog di Beppe Grillo / Blog delle Stelle.

Come Facebook ha cambiato il M5S

Foto da galloluigi.wordpress.com

Dai MeetUp alle fan page, dall’organizzazione alla propaganda

Uno studio condotto dall’Università La Sapienza, coordinato da Antonio Putini e ripreso nei giorni scorsi da La Stampa, rivela come l’utilizzo da parte degli attivisti del Movimento 5 Stelle della piattaforma MeetUp.com sia scemato, fino a diventare marginale, nel corso degli ultimi anni.

Come già notava Federico Mello due anni fa nel suo Un altro blog è possibile (Imprimatur), l’abbandono dello strumento di organizzazione storico del Movimento è dovuto anche a ragioni tecnologiche: ad un certo punto, in Italia è arrivato Facebook. Il social network di Zuckerberg riesce meglio di qualsiasi altra piattaforma ad appropriarsi di una risorsa preziosissima, poiché limitata, degli utenti: il tempo. Per chi svolge un’attività online, che sia produrre e distribuire notizie oppure organizzare un movimento politico, il tempo che gli utenti passano sulla propria piattaforma è un parametro importante per il successo del proprio prodotto. Facebook riesce benissimo a trattenerci sul suo sito e sulla sua app, aggiungendo funzioni, semplificando i processi, stimolando l’inserimento di foto, video, commenti e, di recente, anche “reazioni” emotive.

Diversamente, gli strumenti di MeetUp.com tendono a promuovere la discussione, la condivisione di documenti e l’organizzazione di incontri; soprattutto, spingono alla ricerca di partecipanti motivati anche attraverso il filtro, decisivo, di una piccola somma da versare per aprire un gruppo. Il prezzo, però è la difficoltà di trattenere un grande numero di persone sul portale.
La migrazione da uno strumento all’altro è stata inevitabile, come lo è per molte altre attività, dall’editoria al marketing, e comporta delle conseguenze.

Su Facebook si acquisisce tanta più influenza quanto più si è in grado di provocare reazioni, condivisioni, commenti: ciò promuove un’organizzazione verticale basata sulla popolarità, molto diversa da quella più complessa, ma più diffusa, che aveva inizialmente caratterizzato il Movimento dei MeetUp, dove il valore aggiunto era la capacità di organizzare e motivare un gruppo verso un determinato obiettivo.

Non è strano, per un movimento politico nato e cresciuto in Rete, che lo strumento utilizzato non sia neutro rispetto alla sua organizzazione.

Nel tempo, la comunicazione è divenuta più determinate dei contenuti: lo stesso studio citato prima sottolinea la scarsa partecipazione degli iscritti ai sondaggi e alla discussione delle leggi proposte dai parlamentari.

Le persone più popolari sul social network sono diventate le più influenti politicamente e, infine, hanno accompagnato questo processo con un atto ufficiale, pubblicato sul blog di Grillo a luglio 2015, in cui nei fatti dichiarano superata l’esperienza dei MeetUp, relegandoli a un ruolo operativo e separandone l’attività da quella del Movimento stesso.
È quello il momento, stando alle conclusioni dello studio, in cui crolla il numero di gruppi e cessa la maggior parte dell’attività dei MeetUp.


Inizialmente pubbicato su www.ilfattoquotidiano.it il 20 maggio 2016.

Il MoVimento fallito, dalle unioni civili a Pizzarotti

I parlamentari M5S manifestano in aula contro l’omofobia

Ciò che sta succedendo nel MoVimento esprime lo stesso problema: il suo rapporto con le regole

Il MoVimento avrebbe dovuto essere le sue regole: nessuna ideologia, niente soluzioni preconfezionate, solo una cornice di poche, semplici regole all’interno delle quali organizzare il consenso, scrivere il programma, prendere decisioni.

Proprio sulle decisioni da prendere, per motivi che prima o poi andranno raccontati, il progetto è fallito. Due esempi per tutti: nessuno sa chi e come ha deciso di rinunciare a votare le unioni civili; nessuno sa chi e come ha deciso di sospendere Federico Pizzarotti.

Eppure, proprio a inizio legislatura c’era stato un episodio dopo il quale Grillo e Gianroberto Casaleggio avevano provato a trarre una lezione per il futuro: l’elezione del presidente del Senato Grasso.

Il Movimento era stato messo di fronte a una scelta impossibile: scegliere tra Grasso, del Partito Democratico, e Schifani. Ci fu una spaccatura, ci furono litigi e alla fine i senatori siciliani M5S decisero di votare Grasso contro l’indicazione del gruppo, che aveva indicato Orellana.

Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, foto da Huffington Post

Fu pubblicato un post sul blog di Grillo in cui, in sintesi, i garanti spiegavano come la soluzione dell’impasse fosse scritta nei regolamenti: sarebbe bastato votare quale fosse la linea e rispettare l’esito del voto, anche fosse stato Grasso. Applicare le regole, appunto.

In seguito, questo metodo fu applicato in molte occasioni, anche allargando il voto a tutti gli iscritti, quando possibile.

Poi, però, si cominciò ad applicare le regole per finta: il processo di votazioni sulla legge elettorale fu fatto terminare fuori tempo massimo, quando ormai era pronto l’Italicum e il MoVimento non aveva più voce in capitolo.

Infine, dopo l’istituzione del direttorio, si è smesso proprio di applicarle. Niente — o quasi — assemblee congiunte dei gruppi parlamentari, niente — o quasi — votazioni sul blog.

E così, sulle unioni civili, alcuni senatori del MoVimento prendono accordi col PD salvo decidere, senza voti né assemblee, di lasciare libertà di coscienza e astenersi sul voto finale. Non si sa chi l’abbia deciso, non si sa perché.

Federico Pizzarotti, foto da blitzquotidiano.it

Mentre su Pizzarotti si applicano in maniera discrezionale addirittura regole inesistenti, mai codificate, dopo averlo isolato con atteggiamenti che in qualunque azienda sarebbero qualificati come mobbing: non si risponde ai messaggi e alle telefonate, non si invita il sindaco agli eventi ufficiali, non gli si permette di raccontare la sua attività attraverso il portale-sede del MoVimento, il Blog.

Senza la condivisione e l’applicazione delle proprie regole, il MoVimento forse non muore, ma di certo diventa qualcosa di diverso, anche rispetto a quel principio per il quale nessuno deve essere lasciato indietro.

Senza regole, le decisioni non le prende la comunità né chi ha ragione: le prende chi ha più influenza o più carisma, chi ha più mezzi o più potere da distribuire. La regola diventa una sola, non scritta: non perdere voti, a qualunque costo.

Il MoVimento, numeri alla mano, ha la possibilità di vincere le prossime elezioni politiche; ma senza regole e senza la capacità di amministrare le complessità non sarà in grado di cambiare in meglio il Paese. Problemi complessi richiedono soluzioni complesse, perché quelle semplici sono pericolose quando non inefficaci.