I profili fake di Rousseau

La nona presunta fake news riguardo il voto su Rousseau che Casaleggio vorrebbe sfatare riguarda la presenza di profili fake sulla piattaforma.

Sarebbero identità false, non corrispondenti a persone reali.

La replica rispetto a questa contestazione è piuttosto debole. Sostiene che i profili sono certificati solo se viene caricato un documento ufficiale, una email e un numero di telefono verificati.

Solo che un controllo del genere è molto facile da aggirare. Anzitutto, non è detto che chi sta fisicamente davanti allo schermo sia effettivamente chi dice di essere. Questo problema è irrisolvibile se non c’è un controllo fisico, di persona, dell’iscritto. Non si può avere in alcun modo la sicurezza che sia io a usare i miei documenti e non altri.

Aprire un indirizzo email e ottenere un’utenza telefonica è questione di pochi minuti. Non è nemmeno possibile controllare che il numero di telefono sia effettivamente intestato a chi lo usa. Le argomentazioni di Casaleggio, quindi, sono inutili. Tant’è che già dieci anni fa, quando si stava progettando il sistema, una dei problemi che io stesso avevo sollevato era proprio la modalità di verifica dell’identità. La scelta di Gianroberto Casaleggio fu quella di non complicare il processo ma inserire un deterrente legale. L’idea era quella di sfruttare la norma che punisce chi dichiara falsamente la propria identità. Quella norma però è ora stata soppressa, quindi anche avvenisse non c’è alcun modo di punire questo comportamento.

Inoltre, non si affronta il problema tecnico di eventuali errori del codice che permettessero la duplicazione delle utenze o il voto multiplo.

Infine, dichiarare il numero di aventi diritto al voto, come fa Rousseau, senza possibilità di verificarlo è totalmente inutile. È la parola di Casaleggio, di cui ci si deve fidare. E un sistema di voto che non sia intrinsecamente sicuro ma che preveda la necessità di fidarsi di qualcuno è di per sé inadeguato.

Incontro al Parlamento Europeo il 12 novembre

Oggi solo una comunicazione di servizio: sono stato invitato al Parlamento Europeo per una conferenza. Il titolo è “How is politics influenced by big data, micro-targeting and profiling? The case of the Five Star Movement in Italy and Brexit in the UK” – “Come la politica è influenzata da big-data, microtargeting e profilazione? Il caso del Movimento 5 Stelle in Italia e della Brexit nel Regno Unito“.

L’evento è organizzato dall’On. Alexandra Geese (Verdi) e si terrà il prossimo 12 novembre alle 15.30.

Saranno con me, oltre all’onorevole Geese, Jacopo Iacoboni, giornalista, Dr. Judith Möller (Assistant Professor for Political Communication, University of Amsterdam), Dr. Monica Horten (Visiting Fellow, London School of Economics) e Frederik Borgesius (Professor ICT and Law, Radbound University).

Se avete domande o suggerimenti, usate pure la sezione commenti!

Casaleggio, i dati e la fine di Di Pietro

Casaleggio Associati gestiva i dati del partito di Di Pietro. Il modo in cui la sua carriera e il suo partito sono finiti ne sono conseguenza diretta.

Quella vicenda è l’esempio pratico del motivo per cui Davide Casaleggio, tramite Rousseau, è il vero padrone del Movimento 5 Stelle.

Facciamo un passo indietro: tra il 2005 e il 2010 Casaleggio Associati ha gestito la comunicazione dell’Italia dei Valori, il partito di Antonio Di Pietro. Tra le attività, ci fu lo sviluppo di un sistema di gestione dell’anagrafica del partito che si chiamava UBIK.

Ubik era un software che permetteva ricerche tra gl’iscritti, invio di comunicazioni a segmenti di persone, una rudimentale profilazione.

Se volevi invitare gl’iscritti di Milano a una conferenza, mandare un comunicato solo ai giornalisti, scrivere solo ai contatti di Palermo, potevi farlo con Ubik.

Casaleggio Associati organizzava regolarmente gli eventi del partito e l’invio di comunicazioni e monitorava il successo (tecnicamente la “conversione”) di ciascuna comunicazione.

Aveva cioè acquisito la capacità di gestire quei dati, pur non essendo di proprietà dell’azienda. Il know how per l’amministrazione del partito era di fatto negli uffici di Casaleggio Associati.

Quando, dopo il voto europeo del 2009, i dirigenti dell’Italia dei Valori costrinsero Di Pietro a rinunciare alle consulenze di Casaleggio, che stava “infiltrando” il partito con le candidature promosse dal Blog di Beppe Grillo, UBIK, i canali di comunicazione, i contatti cominciano ad essere gestiti da personale di Roma. Fu letteralmente un disastro. Nessuno si rivelò in grado di gestire con efficacia quel patrimonio di dati, nessuno aveva il know how. Era rimasto in azienda e fu reinvestito nel Movimento 5 Stelle.

Il Movimento e Rousseau

Bene, il Movimento è nelle stesse condizioni: l’Associazione Rousseau possiede tutto il know how, le capacità di amministrazione sia dei dati che dei fondi del partito. Casaleggio e il suo staff sono gli unici che sanno utilizzare gli strumenti che loro stessi hanno costruito nel corso del tempo.

Conoscono i profili dell’elettorato, come reagiscono alle comunicazioni le persone che vengono contattate, chi sono gli elettori più impegnati e così via.

Se per qualsiasi motivo Il Movimento non fosse più amministrato da Casaleggio farebbe la stessa fine dell’Italia dei Valori. Per questo Davide è di fatto il padrone del partito e può disporne come più gli aggrada.

Marattin evita il dialogo: una tecnica di Casaleggio

La scorsa settimana Luigi Marattin ha proposto di obbligare chiunque voglia usare i social network a fornire un documento d’identità, ma evita il dialogo con gli esperti che lo contestano.

Non voglio parlare della proposta (sintesi: è una puttanata, Stefano Zanero qui spiega bene perché), ma il modo in cui non ha interagito in rete con la comunità.

Questa è l’ennesima eredità di Gianroberto Casaleggio. Una delle critiche più fondate che si facevano al Blog di Grillo degli anni Duemila è che fosse un canale unidirezionale.

Grillo, in realtà Casaleggio, scriveva un post, sotto c’erano i commenti ma Grillo non replicava mai.

La scelta era voluta: Casaleggio non ingaggiava mai, in chiaro, una discussione con qualcuno. Piuttosto, pescava dai commenti quelli che riteneva utili a sostenere le sue tesi o raggiungere i suoi obiettivi e li rilanciava.

Così ha fatto Marattin in questi giorni: non ha mai replicato direttamente agli esperti che contestavano, documentatamente, la sua proposta. Pescava dal mucchio alcune critiche, di sua scelta, senza citare l’autore, e le commentava spesso alterando il senso della contestazione iniziale.

Perché Marattin evita il dialogo?

Questo sistema è molto insidioso: permette a chi lo usa di dare una parvenza d’interesse al dialogo, galvanizzando i follower (all’epoca i lettori del Blog) e di fatto non rispondendo mai nel merito delle questioni. I toni assertivi provocano la reazione di chi non è d’accordo, spesso frustrata che quindi porta chi legge a ritenere non sufficientemente solida la contestazione.

Il veleno di Gianroberto

Non è certo il caso di Stefano Zanero, Fabio Chiusi e altri che hanno puntualmente spiegato e documentato i motivi per cui quella proposta è inutile, dannosa e stupida. Ma è interessante, anzi è preoccupante, registrare come il veleno di Gianroberto sia ormai penetrato in quasi tutte le dinamiche politiche, dalla discussione alle visioni più lunghe.

Spaventati e ipocriti

Negli ultimi giorni sono stati pubblicati un paio di articoli che di realistico hanno poco, ma lasciano trapelare la paura e l’ipocrisia dei parlamentari M5s.

Ilario Lombardo, su La Stampa, riporta una conversazione tra Grillo e Casaleggio. Il comico avrebbe detto all’Erede di prendere in mano il partito. Davide avrebbe rifiutato.

Un articolo di Notizie.it, invece, suggerisce che Rocco Casalino, dipinto come il braccio destro di Casaleggio, starebbe per disarcionare Di Maio dalla guida del Movimento.

Sono ricostruzioni suggestive, ma sembrano più che altro spifferi dal gruppo parlamentare, o meglio da quella parte di gruppo parlamentare che vorrebbe liberarsi di Luigi Di Maio.

Dopo averlo convinto a stringere un accordo per le regionali umbre cercano adesso di attribuirgli l’intera responsabilità della sconfitta.

Né Casaleggio né Casalino, però, hanno l’interesse ad assumersi un incarico di primo piano. Il primo ha soldi e potere a disposizione, un’azienda, interessi che gestisce meglio da padrone che da capo politico.

Il secondo gioca certamente una sua partita, ma è sempre stato più efficace in ruoli di seconda linea – che non vuol dire di secondaria importanza. Ogni occasione di maggior visibilità gli si è ritorta contro.

Che Luigi Di Maio sia in difficoltà è poi tutto da dimostrare: nessuno, anche tra i parlamentari che più lo avversano, è disposto ad anticipare il voto del 2023 pur di liberarsi del capo politico. E, in ogni caso, il cambio della guardia si può fare solo sulla piattaforma Rousseau di Casaleggio.

Di Maio è in realtà nella miglior posizione possibile per organizzare il partito a sua immagine ritagliandosi un ruolo per il prossimo giro di giostra, al quale non si potrà candidare. Almeno se non cambiano le regole, di nuovo.