Dobbiamo parlare di Laura Castelli

Tutte le stranezze del sottosegretario che fu nostra fonte


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Ci eravamo lasciati, quando si stava costituendo il governo Conte, con la rivelazione della notizia che l’On. Laura Castelli è stata nostra fonte per diversi anni, mentre stavamo scrivendo Supernova. Il libro racconta la nascita e lo sbarco in parlamento del Movimento 5 Stelle per come l’abbiamo vissuto io e Nicola Biondo, che abbiamo collaborato con Gianroberto Casaleggio tra il 2007 e il 2014. Gli anni successivi, fino al 2016, ci sono stati raccontati appunto da Laura Castelli. Le calunnie di Casalino nei confronti dei parlamentari con i giornalisti, la scalata di Luigi Di Maio e Davide Casaleggio.

Ebbene, quando abbiamo rivelato questi contatti ci aspettavamo provvedimenti da parte del Movimento, dato che un suo esponente aveva palesemente violato le regole scritte e non scritte e di lealtà nei confronti dei compagni di partito. Invece nulla: Castelli non è diventata ministro, ma ha ottenuto il sottosegretariato al ministero delle finanze.

Ci siamo chiesti come sia possibile, cosa sappia e su chi per non aver subìto conseguenze. Non abbiamo una risposta definitiva, ma ecco quanto abbiamo ricostruito.

Castelli ci rivela che al vertice del gruppo parlamentare arrivavano da Milano dei DHL con “le richieste dei Garanti”. Da Milano, quindi da Casaleggio. Le richieste riguardavano il “cambio delle regole” su:

  • rotazione capigruppo
  • utilizzo soldi (dei gruppi parlamentari nda)
  • allentamento dei 2 mandati

È seguendo questa rivelazione che emergono particolari inquietanti.

Supernova è ora in libreria e su Amazon

Il Movimento dal 2013 al 2016 fa ruotare le cariche all’interno dei gruppi parlamentari. Al gruppo della Camera questa pratica cessa quando Laura Castelli diventa tesoriere. Tra i malumori dei colleghi, rimane in quella carica anche l’anno successivo.

Il bilancio del 2016 va per la prima volta in passivo: le spese superano le entrate. Poco male, i soldi in cassa ci sono ed è l’anno del referendum costituzionale. Aumentano a dismisura, però, le spese per i servizi in salita del 375%. Da notare che, a differenza del gruppo al Senato, alla Camera non viene pubblicato il dettaglio delle spese inferiori ai 10.000 euro. Non si sa come mai.

Possiamo ricostruire un aumento del 22% per la spesa di comunicazione in carico alla società Web Side Story, che dal 2013 affianca il gruppo. Viene espressamente indicato nella nota che accompagna il rendiconto. Ricordiamoci di questo dettaglio, tornerà utile più avanti.

Nel 2017, altre stranezze.

Come abbiamo detto Castelli non lascia il suo ruolo di tesoriere, che conserverà fino alla liquidazione del gruppo a fine legislatura. Non solo: il bilancio, ancora oggi, non è pubblicato sul sito tirendiconto.it. Lo conosciamo perché qualcuno l’ha passato all’AdnKronos, che l’ha pubblicato.

Ebbene, nel bilancio 2017 aumentano ulteriormente le spese per la comunicazione, del 38%, circa 90.000 euro. Però, a differenza di tutti i documenti precedenti, sparisce la Web Side Story: si parla più genericamente di società di comunicazione esterne. Sparisce anche il dettaglio delle spese, che fino ad allora riportava almeno quelle superiori ai 10.000 euro.


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Certamente è un caso, ma curiosamente questi aumenti di costi per la comunicazione coincidono temporalmente con la costituzione dell’Associazione Rousseau di Davide Casaleggio e con il ritorno all’utile di Casaleggio Associati. Dico curiosamente perché è singolare proprio il rapporto tra il Movimento 5 Stelle e l’Associazione Rousseau: grazie allo Statuto scritto da Luca Lanzalone, Rousseau è il fornitore dei servizi di comunicazione e democrazia diretta, ma non è previsto nessun contratto per queste attività, solo un contributo volontario da parte dei parlamentari. Da segnalare che a bilancio Rousseau espone alcune decine di migliaia di euro di “crediti diversi”.

Per meglio capire i flussi di denaro e per escludere, come immagino sia interesse di tutti i soggetti coinvolti, rapporti economici tra il Movimento e le realtà legate a Casaleggio, sarebbe opportuno che il partito pubblicasse i dati mancanti: i flussi di cassa inferiori ai 10.000 euro, soprattutto quelli relativi al bilancio 2017 che mancano completamente.


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Il metodo Casalino spiegato bene

Ha fatto scalpore l’audio di Rocco Casalino, portavoce del presidente del Consiglio Conte e capo della comunicazione del Movimento 5 Stelle, nel quale ribadisce la linea del partito rispetto alla manovra finanziaria: i tecnici del Ministero del Tesoro fanno resistenza, li sostituiremo senza pietà.

Questa posizione era stata riportata sull’Huffington Post da Pietro Salvatori il 19 settembre, confermata da molti esponenti del Movimento e commentata un po’ da tutti i giornali.

Stamani, 22 settembre, Luciano Capone sul Foglio svela la fonte di questa indiscrezione: un audio di Rocco Casalino inviato ai giornalisti. Repubblica in mattinata lo diffonde e la notizia esplode.

A mio modo di vedere, la notizia non c’è: i metodi e i linguaggi di Casalino sono noti da anni e la posizione politica del Movimento sul tema era già emersa. Lo scalpore però ha il sapore di un tappo che forse sta saltando sul metodo Casalino: in questo senso è meritorio l’articolo di Capone, che permette di iniziare almeno a parlarne.

La domanda che molti si fanno è: ma come fa Casalino ad avere tutto questo potere? La risposta sta nel come gestisce i rapporti coi giornalisti, coi parlamentari e coi capi occulti del Movimento Gianroberto e Davide Casaleggio.

Partiamo dalla registrazione che sta circolando in queste ore per spiegare il rapporto con la stampa. Casalino ogni giorno invia un audio messaggio ai giornalisti con le notizie che ritiene utili siano pubblicate. A volte a una sola persona, a volte a un gruppo di volta in volta diverso. Il messaggio contiene spesso le “istruzioni” su come gradisce sia data la notizia, in questo caso dice “tu parla di fonti parlamentari” — il che, per inciso, ci fa capire che parla nella sua veste di capo della comunicazione del Movimento e non di portavoce del governo. Va detto con chiarezza che questo è ed è stato il modo di operare di tutti gli uffici stampa dei partiti in questi anni, maggioranza e opposizione.

La differenza rispetto ai suoi colleghi sta nel come gestisce il rapporto col partito, parlamentari e capi de facto cioè i Casaleggio. Il suo ruolo, da regolamento, era diretta emanazione dei “garanti” del Movimento, Grillo e Casaleggio; il suo ragionamento nei loro confronti è stato il seguente: «per essere efficace nel mio lavoro, devo avere il controllo su quali notizie escono, da chi e verso quali giornalisti» chiedendo dunque mano libera sulle notizie da dare, chi mandare in televisione, quali parlamentari far intervistare. Trova un accordo in tal senso prima con Gianroberto e poi con Davide Casaleggio e Luigi Di Maio, ai quali ha riservato trattamenti speciali. Il primo è stato aiutato nella scalata, il secondo, di tanto in tanto, si vede aiutare nelle iniziative di Rousseau da qualche membro dell’ufficio comunicazione dei gruppi parlamentari.

Accentrati su di sé tutti i canali di comunicazione è stato facile poi diventare depositario di tutti i malumori, confidenze, sfoghi dei parlamentari, utilizzati sapientemente per consolidare ed accrescere la propria influenza. Evidente anche il motivo per cui è stato finora per lo più al riparo dalle curiosità dei giornalisti: senza l’autorizzazione di Casalino non ci sono interviste, indiscrezioni, ospitate in tv. Nulla di nulla. Chi sgarra, tra i parlamentari, è fuori — a meno di non possedere un patrimonio di informazioni tale da contrastare quello di Rocco, come ad esempio Laura Castelli.

Anche chi sgarra tra i giornalisti entra in lista nera: scavalcare o contraddire Casalino significa vedersi esclusi dal gioco. Pure io e Nicola Biondo siamo stati oggetto degli scambi previsti dalle regole del “codice Rocco” e abbiamo raccontato il caso di Lucia Annunziata.

Epico, in questo senso, il messaggio arrogante che fece trapelare nei confronti di Enrico Mentana quando nacque il governo Conte: un video registrato nel suo ufficio mentre comunica, in diretta, l’accordo raggiunto, vantandosi della reazione del direttorissimo.

Pochi, tra i giornalisti, vogliono fare la guerra totale a Casalino: non conviene. Il potere di Casalino svanirà quando tutti, o almeno una maggioranza qualificata numericamente e qualitativamente, smetteranno di pendere dalle sue labbra e non gli consentiranno più, come ha fatto ad esempio Gaia Tortora, di gestire le notizie come gli è stato permesso finora.

Il peggio deve ancora venire

Ho già spiegato perché, secondo me, non c’è il voto anticipato all’orizzonte, ma può essere utile tornare sull’argomento: l’illusione diffusa è che l’incapacità dei protagonisti del governo Salvini-Di Maio ne causerà presto il fallimento. Alle argomentazioni già esposte vorrei aggiungere altre considerazioni.

Poiché la politica è l’arte del possibile, non possiamo escludere che il governo cada domani. Ciò premesso, i governi non cadono quasi mai per una singola causa, come non stanno in piedi in funzione di un’unica circostanza; anche quando accade, le maggioranze possono pure variare ma senza che la legislatura termini anzitempo. Quando Matteo Renzi ha rassegnato le dimissioni si è velocemente insediato il governo Gentiloni (peraltro quasi identico al precedente) e il Parlamento si è trascinato fino alla sua scadenza naturale. Negli ultimi vent’anni è accaduto una sola volta che le camere fossero sciolte anticipatamente, nel 2008 alla caduta del governo Prodi. Allora, la maggioranza nata precaria saltò sì per un episodio — il ritiro della fiducia per motivi giudiziario-personali dell’allora ministro Mastella — ma dopo che l’opposizione di Berlusconi aveva fin da subito lavorato ai fianchi i pochi senatori indecisi, convinti (anche con metodi — diciamo — poco ortodossi) a far sfumare la legislatura. A parte questo, bisogna tornare a ventidue anni fa per trovare un altro voto anticipato, con la caduta del primo governo Berlusconi. È, dunque, un evento statisticamente raro.

Oggi non ci sono maggioranze parlamentari diverse da quella che regge il governo Conte. Anzi, ci sono alcune “riserve”: Fratelli d’Italia sta conducendo un’opposizione gentile, quasi affettuosa. Forza Italia, seppur all’opposizione, mantiene strettissimi rapporti con la Lega di Salvini, bravissimo — da politico navigato qual è — ad amministrare il proprio consenso popolare, il ruolo al governo e quello di guida dell’area di centrodestra, conducendo trattative nazionali, locali, europee e internazionali in maniera strutturata e — a modo suo — coerente. Indicativa la frase di Giorgetti pronunciata alla festa del Fatto Quotidiano: “Salvini sa quando fermarsi”. La domanda riguardava il pericolo di “stancare” l’elettorato a furia di continue provocazioni, ma la risposta sicura del sottosegretario delinea il profilo tutt’altro che ingenuo e inconsapevole del capo de-facto del governo.

I governi, dicevo, si reggono (e quindi cadono) su molteplici fattori. Come al gioco del tiro alla fune i tanti giocatori contribuiscono alla propria causa, così ci sono circostanze che tendono a prolungare l’esperienza di governo e altre che spingono a farla terminare. Le prime, al momento, sono molto più numerose e solide delle seconde.

Per riassumere quanto già scritto in precedenza, il 60% dei parlamentari è di prima nomina e aspetta il mese di settembre 2022, quando maturerà il diritto al trattamento pensionistico. Prima di quella data, la loro priorità sarà quella di evitare il voto. Il restante 40%, in buona parte, ha investito molti soldi nella campagna elettorale e ha la necessità di conservare il generoso stipendio per rientrare dei costi sostenuti.

Chi, nella maggioranza, ha ottenuto ruoli di governo — soprattutto nel Movimento 5 Stelle — sa bene che le condizioni che l’hanno portato in quell’ufficio sono diversamente ripetibili. Troppe cose sono andate bene: il risultato elettorale, la concomitante debolezza di Partito Democratico e Forza Italia, che hanno evitato ogni possibile alternativa e permesso a Salvini di formare un governo senza il proprio alleato, il consenso nel Paese, l’incapacità generalizzata di analisi della stampa. Pochi, tra quelli al governo, rinunceranno a posizioni così vantaggiose, anche politicamente.

Peraltro, tra i partiti rappresentati in Parlamento non c’è nessuno, soprattutto all’opposizione, che abbia interesse ad andare al voto. Forza Italia teme il consenso del proprio alleato Salvini; il Partito Democratico non ha ancora risolto la propria crisi interna. Salvini e il MoVimento sono al governo e, di base, non hanno interesse a spendere altro tempo e soldi per una nuova campagna elettorale che sarebbe dominata dalla retorica del fallimento del governo Conte.

La classe dirigente del Movimento, soprattutto, prima di far fallire questa esperienza cederà a qualsiasi richiesta della Lega. Sono loro, infatti, che hanno più da perdere da una fine anzitempo della legislatura, per via della nota regola dei due mandati e, soprattutto, perché Di Maio non è nelle condizioni, anche violando la norma, di poter garantire posti a nessuno nella prossima legislatura.

Ci sono, poi, importanti scadenze elettorali. Il prossimo anno le elezioni europee, i due successivi importanti elezioni amministrative e, soprattutto, all’orizzonte, nel febbraio del 2022, la partita per il Quirinale, vera occasione della vita per Salvini e Di Maio, ma anche per Berlusconi che mai, in 25 anni, si è trovato con una maggioranza non ostile in Parlamento nell’anno dell’elezione del Presidente della Repubblica. Giova ricordare ancora la scadenza del settembre 2022, obiettivo di quasi 600 parlamentari che matureranno quel mese il diritto alla pensione.

Infine, c’è un fattore ancor più determinante di quelli già descritti: le Camere le può sciogliere solo il Presidente Mattarella, il quale si è già dimostrato capace di esercitare senza timore il suo ruolo che gli impone di cercare ogni possibile maggioranza in Parlamento prima di indire il voto anticipato. Alla fine, sarà il Capo dello Stato a stabilire se ci sia o meno la necessità di terminare la legislatura.

I prossimi anni, dunque, la maggioranza si muoverà come l’Uomo Ragno: mirando alla scadenza successiva per spingersi alla fine della legislatura, nei primi mesi del 2023.

La prima tra queste scadenze è la loro prima manovra economica. Costruire una legge finanziaria è, di per sé, un processo complesso che coinvolge, pure questo, innumerevoli soggetti ed è influenzato da centinaia di fattori. L’esito di questo processo, quest’anno, ci darà molte indicazioni sulle capacità negoziali del Presidente Conte e dei due vicepresidenti Salvini e Di Maio e, in generale, sulla capacità di sopportare le tensioni interne ed esterne. Se la maggioranza dovesse approvare la manovra con successo e soddisfazione di tutti, avranno trovato un metodo di lavoro che potrà essere replicato i prossimi anni. Diversamente, è possibile anche la crisi di governo o di legislatura.

Attenzione però: anche nel caso estremo — sebbene remoto — di voto anticipato la situazione non cambierebbe molto. Nonostante tutto, manca nel Paese un’alternativa credibile a questa maggioranza. Non c’è nessuno, al momento, in grado di contrastare la propaganda, il consenso e la capacità di raccogliere voti di Lega e Movimento 5 Stelle. Ci troveremmo con un parlamento molto simile, forse ancor più dominato dai due contraenti l’attuale contratto di Governo che, comunque, eleggeranno il nuovo capo dello Stato.

Non illudiamoci: i prossimi anni assisteremo a un gioco delle parti interno alla maggioranza, soprattutto in occasione delle manovre finanziarie, utili solo a tenere alto il morale dei rispettivi elettorati, ben felici di governare insieme e quindi irritabili alla possibilità di un fallimento dell’esperienza di Conte. Non solo tra Lega e Movimento ma anche, e soprattutto, in seno al Movimento.

Non facciamoci nemmeno infinocchiare dalle false “tensioni interne” o dai nuovi presunti leader concorrenti di Di Maio. Il Movimento è stato molto criticato in passato, giustamente, perché appariva monolitico e dirigista. Lo è ancora, ma hanno capito che il 33% dei voti impone, almeno, una riverniciata all’immagine. Fingere un improbabile dibattito interno è funzionale ad accontentare la vasta gamma di elettori che sono riusciti a convincere lo scorso marzo, che necessariamente coprono un’ampia gamma di diverse sfumature rispetto alle sensibilità sui temi, toni, modalità di gestione del consenso, obiettivi. Tutti però, da Roberto Fico a Di Battista, sanno che la squadra funziona solo se, ciascuno nel proprio ruolo, tutti lavorano per vincere il gran premio perché solo così al traguardo ci saranno bonus per tutti. Tutti, in questo momento, stanno benissimo ciascuno nel proprio ruolo: Di Maio al governo, Fico alla Presidenza della Camera, Di Battista in giro per il mondo a cazzeggiare.

La propaganda, nei prossimi anni, avrà lo scopo di sostenere il governo, cercando di sottolineare le peculiarità del Movimento rispetto agli alleati, con qualche normale picco di polemica in occasione delle leggi di bilancio e delle scadenze elettorali. Gli attori avranno un ruolo assegnato per mantenere alta la tensione e soddisfare le porzioni di elettorato che fanno riferimento a questa o quella sensibilità.

L’appuntamento per il prossimo tagliando, superata la legge finanziaria, sarà la formazione dei gruppi al Parlamento Europeo.

L’agenda Casaleggio

Tempo fa ho partecipato a Omnibus su La7 con Gaia Tortora, insieme a Francesco Cancellato, che disse un cosa che mi colpì: “Casaleggio sembra avere un’agenda sua, diversa da quella del Movimento 5 Stelle”. Ho riflettuto molto con Nicola Biondo su queste parole.

È importante capire se l’Erede abbia una propria agenda pubblica e quale per via dell’influenza che può esercitare sul primo partito di governo. Le sue scelte, ambizioni, propositi, aspirazioni, pur non avendo egli alcun ruolo pubblico definito — come abbiamo spiegato qui e qui — possono impattare la vita di tutti senza che il nostro sia sottoposto ad alcun controllo democratico. Il suo è un ruolo estraneo al partito ma preminente rispetto ad esso. Soprattutto, è un ruolo privato che non può essere sottoposto a censura o a sostituzione. La sua Associazione è titolare di quel ruolo per statuto del partito, e lui è presidente per statuto dell’Associazione.

La posizione che si è costruito, peraltro con modalità che sarebbe bene fossero indagate a fondo, gli conferisce vantaggi intangibili rispetto al mercato in cui opera sia come imprenditore, che tutti sanno essere ben inserito nei meccanismi dello Stato per via del rapporto col governo, sia come soggetto politico. Come ho avuto modo di spiegare alla Festa Nazionale de l’Unità, il rischio per le opposizioni è quello di dover combattere un avversario su un campo di battaglia asimmetrico. Non ci sarà mai alcun segretario, leader, capo politico che avrà la libertà di azione, parola e organizzazione che ha Casaleggio, senza alcun ruolo da perdere né alcun elettorato a cui rispondere, ma solo un partito da indirizzare dalla terza fila.

Casaleggio parla poco, quasi mai di Movimento 5 Stelle, spesso della sua Associazione Rousseau. Le due realtà sono confusamente, volutamente, sovrapposte. Rousseau ha di fatto in appalto la gestione della comunità del Partito. Acquisisce e amministra gl’iscritti che sono, però, in forte calo: -30% in un anno come riportato da Luciano Capone sul Foglio. Gestisce la comunicazione tramite il Blog delle Stelle, su cui Casaleggio scrive di tanto in tanto anche promuovendo le attività della propria azienda — Casaleggio Associati. Sviluppa la piattaforma decisionale, Rousseau, che sfortunatamente è un inutile colabrodo, buono solo a procurare gran mal di testa e pesanti multe per il dilettantismo con cui è realizzata e, diciamo così, manutenuta.

In virtù di questo “appalto”, Rousseau-Casaleggio riceve un mucchio di soldi dalle donazioni e dagli eletti del Movimento 5 Stelle, a spanne 9 milioni di euro a legislatura. Per i regolamenti del partito, con questi soldi dovrebbe sviluppare e mantenere gli strumenti tecnologici. È cosi? Non del tutto. Vediamo perché.

Primo: lo scorso anno Rousseau ha subìto una violazione con perdita di dati, seguita da un provvedimento del Garante. In questi mesi, inclusa una proroga, avrebbe dovuto mettere in sicurezza la piattaforma. Oggi è stata di nuovo violata. Soldi spesi poco e male, evidentemente.

Secondo: Casaleggio ha fatto partire nuove iniziative con la sua associazione privata finanziata dagli eletti e sostenitori del Movimento. Di una ha perfino registrato il marchio ed è ospitata su un sito a parte. Il Movimento non ha mai deliberato nulla in merito.

Terzo: Rousseau e Casaleggio godono della benevolenza e perfino della sponsorizzazione di una truppa di centinaia di parlamentari e migliaia di eletti. Tutti a ripetere il mantra di Rousseau e della democrazia diretta mentre perdono 40.000 iscritti e Casaleggio si occupa d’altro.

Le domande a Casaleggio, ad ogni occasione, dovrebbero essere: 1) cosa ha fatto coi soldi, visto che perde 40.000 iscritti e Rousseau è una ciofeca? 2) Qual è la sua vera agenda? Corollario: le risposte sono nella terza black box, l’Associazione Gianroberto Casaleggio?

Ai responsabili del Movimento andrebbe chiesto: perché continuate a finanziare e sponsorizzare un fornitore così scarso, che vi fa perdere iscritti, non tutela i vostri dati personali e coi vostri soldi si occupa di attività slegate dal partito? L’agenda Casaleggio è la notizia.

Nuova violazione a Rousseau, c’è anche una donazione fantasma

di Nicola Biondo e Marco Canestrari

“Non ho fatto alcuna donazione a Rousseau o al Movimento cinque stelle”.

A parlare è uno dei sette donatori della piattaforma Rousseau i cui dati sono stati divulgati dall’hacker r0gue_0 durante la violazione effettuata tra il 5 e il 6 settembre 2018, qui raccontata da David Puente.

Con questa testimonianza l’intera vicenda si arricchisce di un nuovo capitolo, quello dal risvolto più sorprendente: il donatore a sua insaputa.

I donatori pubblicati da r0gue_0

Il suo nome è finito in rete insieme a quelli di altri sei cittadini italiani: finanziatori, per poche decine di euro, di Rousseau, la piattaforma già finita nel mirino del Garante per la protezione dei dati personali e multata per 32mila euro per le sue carenze in tema di sicurezza informatica.

Il Corriere della Sera ha avuto conferma da due di questi donatori che la lista pubblicata è vera e che quelle donazioni sono state effettivamente operate. Ma un terzo donatore citato nel leak — che abbiamo contattato — nega di essere perfino iscritto.

“Non sono iscritto a Rousseau, né sono mai stato iscritto al Blog di Grillo”.

Eppure nella lista compare la sua mail, oltre che il suo nome e il cognome, com’è possibile?

Non ne ho idea.

Forse qualcuno aveva l’accesso alla sua mail e ha fatto per lei quella donazione?

Nessuno utilizza la mia mail, le assicuro.

Quindi lei nega di aver mai fatto quella donazione a Rousseau?

Sì, assolutamente. Mai fatta.

Ce ne sarebbe abbastanza per chiedere un ulteriore approfondimento su come vengono utilizzati i dati a Via Morone, perché questo episodio ci permette di dedurre alcuni fatti nuovi.

È entrato in vigore il nuovo Regolamento Generale per la protezione dei dati (GDPR), molto più severo della normativa precedente. L’utente coinvolto che abbiamo contattato sostiene di non essere iscritto a nessuno dei servizi informatici gestiti prima da Casaleggio Associati e poi dall’associazione Rousseau, quindi verosimilmente il Garante per la Privacy dovrà indagare sul come e perché questi dati fossero in possesso dell’Associazione di Casaleggio.

La GDPR prevede che si possa chiedere al gestore dei dati quali informazioni possieda su di noi: questa possibilità e le modalità di esercitare tale diritto devono essere chiaramente riportate sul sito interessato, cosa che il sito di Rousseau non fa. C’è solo un generico link “Contatti” che rimanda a un form sul sito del Movimento. Non si capisce nemmeno se i dati siano in carico al Movimento o a Rousseau. Non si capisce se iscrivendosi alla piattaforma di un’associazione privata ci si iscrive anche a un partito politico.

In materia di “data breach”, cioè di perdita dei dati in seguito a violazione, questo episodio dovrebbe rientrare nell’ambito degli articoli 33 e 34 della GDPR, che impongono la comunicazione della violazione al Garante e ai soggetti interessati. Vedremo nelle prossime 72 ore se tale obbligo verrà ottemperato. Sarà interessante soprattutto verificare se e quali protocolli di risposta, test periodici, attività di indagine sono stati predisposti. Non è secondario: uno dei responsabili di Rousseau è il ministro della Giustizia Bonafede.

In ogni caso, le cose per Davide Casaleggio si mettono male: c’è un procedimento aperto dopo la violazione dell’estate 2017 in seguito al quale il Garante Soro, dopo aver preso personalmente in carico la pratica, aveva imposto di raggiungere alcuni obiettivi minimi di sicurezza. Casaleggio aveva chiesto e ottenuto una proroga che scade il 30 settembre, in virtù del periodo elettorale: questa proroga non sembra è stata sfruttata per risolvere i problemi di sicurezza; non del tutto, almeno, perché nel frattempo sono state sviluppate e presentate altre iniziative ospitate dalla piattaforma e/o promosse dall’Associazione Rousseau. Ne troviamo traccia anche nei nuovi dati diffusi: “rsu_academy_proponi_corso” sembra fare riferimento alla nuova “Rousseau Open Academy”.

Tra le altre cose, i tecnici del Garante dovranno verificare che i sistemi siano stati aggiornati e che ogni possibile minaccia alla sicurezza sia stata individuata e disinnescata. Se i problemi che hanno portato a questa nuova violazione sono gli stessi dello scorso anno, si configura una palese violazione e sottovalutazione delle normative in vigore.

Come già spiegato, Casaleggio può godere di un fiume di soldi di provenienza pubblica, ossia gli stipendi dei parlamentari del Movimento 5 Stelle. Per questo privilegio deve ringraziare l’avvocato Luca Lanzalone — adesso agli arresti per la vicenda dello stadio della Roma — che inserì nello statuto del MoVimento l’associazione Rousseau come unico fornitore possibile per le lo sviluppo della piattaforma di democrazia diretta e degli strumenti di comunicazione. Di fatto, il partito ha appaltato a Casaleggio anche il reperimento di nuovi iscritti.

Di questi soldi e di questo tempo, Casaleggio che ne ha fatto? In un anno ha perso il 30% degli iscritti, come ha raccontato Luciano Capone sul Foglio, ha subìto almeno tre violazioni di sicurezza, ha utilizzato le risorse previste per lo sviluppo e la messa in sicurezza della piattaforma per attività diverse, come la Rousseau Open Academy che addirittura è ospitata su un sito diverso da quello del Movimento e della piattaforma.

Queste domande fanno tornare alla mente le inquietanti dichiarazioni di David Borrelli. Contattato sempre da Luciano Capone, fece intendere di sapere qualcosa sulla gestione allegra dei dati e dei fondi dell’Associazione di Casaleggio, cercando di allontanare da sé ogni responsabilità. Poche settimane dopo lasciò il Movimento e l’Associazione Roussseau. Un episodio del tutto singolare, soprattutto per l’inconsueta cortesia a lui riservata dai vertici del primo partito di governo.

Piano piano, si compone il rompicapo degli interessi che ruotano attorno alla macchina costruita dai Casaleggio in dieci anni. Una macchina ormai rodata anche se gestita in modo dilettantistico, per cui episodi come la promessa di relazioni agli sponsor di Casaleggio o le cene private organizzate per finanziare una delle scatole cinesi — l’associazione Gianroberto Casaleggio — non possono essere più considerati tra loro scollegati e casuali.

Gli errori de L’Espresso

Esagerare non aiuta, esattamente come minimizzare. Ecco perché l’Espresso sbaglia.


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Il 3 settembre scorso Emiliano Fittipaldi ha pubblicato un lungo articolo sulla propaganda di Lega e Movimento 5 Stelle.

Scrivo questo mio per sottolineare alcuni errori e alcune mancanze, consapevole che possa sembrare strano da parte mia. Non voglio che questo sia letto come un “attacco” a l’Espresso o a Fittipaldi. Eppure, è pericoloso tanto sottovalutare quanto sopravvalutare le risorse e le capacità degli uffici stampa dei partiti di governo: restare fuori fuoco significa non riuscire a individuare le giuste contromisure, a mio avviso.

Ecco dunque i passaggi non convincenti.

Quelli che contano davvero si contano su una mano, ma gli addetti e i collaboratori esterni sono centinaia e lavorano 24 ore su 24 senza concedersi pause.

Il numero di “centinaia” di persone è inverosimile. Se anche ipotizzassimo il minimo deducibile, ossia due centinaia di persone, e se queste venissero pagate 1200 euro netti al mese sarebbe una spesa di oltre sei milioni di euro all’anno. Non risultano dai bilanci dei due partiti (la Lega peraltro, com’è noto, ha 49 milioni di problemi da risolvere) né da quelli dell’associazione Rousseau. Tanto più che nel resto del pezzo si fa sempre riferimento a “poche decine di persone”.

Se Fittipaldi ha qualche dettaglio in più, sarebbe opportuno che lo rendesse noto.


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…piattaforme conquistate con software sofisticati che moltiplicano i messaggi promozionali e monitorano minuto per minuto il “sentiment” degli utenti…

Questo messaggio sta passando nel sentire comune: si pensa che gli uffici comunicazione abbiano nel tempo sviluppato tecnologie sofisticate che gli permettono chissà quali analisi dei dati. Più verosimilmente, stanno utilizzando meglio di altri gli strumenti a disposizione di tutti: chiunque può accedere agli strumenti di analisi di Google, Facebook, Twitter e sviluppare qualche servizio che integri i flussi di dati non è nulla di tecnicamente “sofisticato”. Non credo si faccia un buon servizio al pubblico dipingendoli come “invincibili”. Anche perché la situazione è perfino peggiore: ha ragione Morisi quando dice che le condivisioni e l’engagement sono, almeno adesso, organiche, cioè ad opera di utenti per lo più reali.

Non è da escludere l’uso di botnet su Twitter in alcuni momenti (lo stesso Morisi, un giorno, s’è lasciato scappare che non sono più necessarie, lapsus che forse conferma il loro utilizzo in passato), o la creazione account fasulli per “animare” la conversazione, ma per affermarlo va provato.

…la Casaleggio Associati ha abbandonato “l’uno vale uno” e investe ogni sforzo strategico su pochissimi soggetti politici

Questo è un peccato veniale, ma è sempre opportuno ricordare che Casaleggio Associati non si occupa più formalmente del Movimento. Hanno opportunamente schermato le attività dietro l’Associazione Rousseau, che condivide con l’azienda parte del personale (Davide Casaleggio, Pietro Dettori che è passato da una all’altra) e la sede. La scatola cinese che hanno creato per appropriarsi dei milioni di euro che gli versano i parlamentari è, a mio avviso, più interessante che la retorica di epoca berlusconiana del partito-azienda. Di nuovo: è peggio di così: è un inganno ingegnerizzato, che vale la pena di raccontare.

Morisi “forza” l’algoritmo di Facebook per far apparire la faccia e le ruspe di Salvini anche sulle pagine di persone che mai avrebbero visitato la sua

“Forzare l’algoritmo” è una frase affascinante, ma tecnicamente priva di senso. Non si tratta di forzare nulla, ma di intuirne il funzionamento seguendo linee guida che, peraltro, è la stessa Facebook (meno Google, ma è noto quando ci sono aggiornamenti e si può intuire come cambieranno i risultati delle ricerche) a suggerire strategie per massimizzare visualizzazioni ed engagement. Non sono supergeni, non dipingeteli come tali: sono solo cialtroni ben organizzati.

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Ma in realtà è Pietro l’artefice principale del successo mediatico del M5S: ha curato per anni il blog di Grillo, ha realizzato i siti moltiplicatori di notizie (e di bufale) come “La Fucina” e “Tze-Tze”

Si riferisce a Pietro Dettori. Qui è proprio sbagliato cronologicamente, almeno per quanto riguarda Tze-Tze, a cui Casaleggio ha iniziato a lavorare nel 2009 (ne sono testimone). La Fucina, invece, inizialmente è stata usata come raccoglitore di notizie sensazionalistiche dopo l’interruzione del rapporto di Casaleggio Associati col gruppo GEMS, per il quale curava il sito “Cadoinpiedi”. Pietro, probabilmente, ha gestito i due siti per un periodo, ma non li ha certo ideati.

Dettori ha costruito quasi da solo il nuovo hub del partito sui social, lavorando sugli algoritmi per diffondere il verbo attraverso decine di siti ufficiali e ufficiosi

Questa potrebbe essere una notizia: se Fittipaldi è a conoscenza di alcuni siti ufficiosi gestiti da Dettori sarebbe utilissimo sapere quali sono e come si può provare che facciano capo a Dettori. È di nuovo un’accusa grave che va dimostrata.

“Qualcuno racconta persino che sia stato proprio Dettori — dopo il gran rifiuto di Sergio Mattarella a nominare il no euro Paolo Savona come ministro dell’Economia — a suggerire ai vertici l’ipotesi da fine mondo, quella dell’avvio dell’iter di impeachment del presidente della Repubblica.”

Non “qualcuno”: io e Nicola Biondo da Supernova, grazie a fonti che ce l’hanno raccontato.


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Davide Casaleggio e il recupero crediti 5s

Abbiamo finalmente capito il ruolo di Davide Casaleggio nel Movimento 5 Stelle: il recupero crediti. Stiamo parlando dei soldi che il regolamento M5s impone agli eletti del partito di versare all’associazione Rousseau, di cui Davide Casaleggio è presidente per gestire l’omonima piattaforma. Gestione non proprio fatta a regola d’arte: Casaleggio è da un anno sotto indagine da parte del Garante per la Privacy, che ha già imposto una multa da 32.000 euro per la violazione della normativa sul trattamento dei dati personali.

Dicevamo, recupero crediti: il Giornale ieri racconta che ai parlamentari arrivano tre solleciti al mese per il versamento dei 300 € ciascuno previsti, sottolineando come, ciononostante, la piattaforma sia “ferma”. Casaleggio, senza citarlo direttamente, ieri replica sul Blog delle Stelle spiegando ai creditori perché devono pagare. Nel farlo, però, ci dà alcune informazioni che sollevano dubbi sulla sua gestione e spiegano perché sia costretto a inseguire i soldi che, evidentemente, gli eletti pentastellati non sono poi così entusiasti di versare nelle casse private dell’associazione dell’Erede.

Giova ricordare che la concessione per gestire i dati e i processi democratici del partito è prevista dallo statuto scritto da Luca Lanzalone — oggi agli arresti domiciliari — , all’art. 1c; il regolamento delle ultime elezioni, invece, prevede — artt. 2q e 6r — che i candidati versino a Rousseau 300 euro al mese destinato al “mantenimento delle piattaforme tecnologiche”. Casaleggio, nel suo articolo, racconta che quei soldi sono usati anche per organizzare “corsi e giornate di approfondimento” e la “Rousseau Open Academy”, un sitarello con alcuni video girati dai parlamentari (con le attrezzature pagate da chi?). Tutte attività che il partito non ha deliberato di finanziare, che anzi vengono presentate sempre a nome dell’associazione privata, la quale ha brevettato i propri marchi.

Junior, dunque, ha in concessione lo sviluppo di una piattaforma informatica e si impegna a farla utilizzare entro il 2018 a un milione di persone; per farlo si fa dare un fiume di denaro — che sollecita regolarmente — ma

  • dopo un anno gli iscritti sono in calo, poco più di 100.000 rispetto ai quasi 150.000 dichiarati negli anni scorsi
  • la piattaforma Rousseau è tecnicamente una ciofeca — è stata più volte violata — e la gestione dei suoi dati è risultata illegale
  • almeno parte dei fondi, invece di essere utilizzati per la messa in sicurezza e lo sviluppo, sono utilizzati per eventi e iniziative esclusive dell’ente privato concessionario
  • l’autodifesa del presidente dell’associazione privata Rousseau arriva dall’organo ufficiale del primo partito di governo, utilizzato come blog personale dal suo gestore — che è sempre Davide Casaleggio

Ci sarebbero ampi margini per la revoca della concessione: in breve, Casaleggio si comporta come il Benetton di Luigi Di Maio.

Un altro fatto è interessante: Davide Casaleggio nel perorare la causa della sua ciofeca digitale la paragona all’automobile, all’iPhone, a Netflix. Il futuro della democrazia spiegata come un prodotto commerciale (parasussidiato dal pubblico, in questo caso). D’altronde, l’Erede viene spesso avvistato a farne una vera e propria promozione in Italia e all’estero; di più: gode di una schiera di testimonial di lusso, una truppa di 330 parlamentari, ministri, viceministri, sottosegretari, qualche migliaio di consiglieri comunali e regionali, che non perdono occasione per sponsorizzare la sua merce e invitano a effettuare donazioni all’associazione Rousseau.

Come da tradizione famigliar-aziendale, infine, gli stipendi li paga qualcun altro: prima Pietro Dettori viene spostato da Casaleggio Associati a Rousseau, con gran beneficio al bilancio dell’azienda; oggi passa da Rousseau al ministero di Di Maio insieme al socio Bugani, che assomma le cariche di consigliere comunale e vicecapo segreteria sempre di Di Maio.

Ci sarà da lavorare molto per districare questa matassa di interessi, incarichi, girandole di soldi e traffico di influenze che stanno governando il paese.