La guerra di Fico

“E mentre gli usi questa premura quello si volta, ti vede, ha paura ed imbracciata l’artiglieria non ti ricambia la cortesia”

Così cantava Fabrizio De André ne “La guerra di Piero”. Quella di Roberto Fico contro i nuovi assetti del MoVimento, iniziata molto tempo fa, forse è destinata a finire nello stesso modo.

Sono sempre finiti male tutti i tentativi di animare un dibattito interno al MoVimento 5 Stelle, nonostante siano state provate diverse “tecniche”.

Ha probabilmente ragione Antonino Monteleone che, su Facebook, ha notato come l’attacco a Bruno Vespa (“ha un contratto da artista, non segua la campagna elettorale”) possa essere letto come uno sgambetto a Di Maio, che dagli studi di Porta a Porta raggiungerebbe un pubblico molto specifico, moderato, tendenzialmente di destra, importantissimo per vincere le elezioni.

Questo spiega il tipo di (vecchissima) tattica che forse sta adottando Fico: il logoramento. È curioso: è quella che hanno solitamente usato proprio i dirigenti del partito contro i “dissidenti” eccellenti. Prima con Giovanni Favia, a cui Casaleggio negò il saluto per due anni; poi con Federico Pizzarotti, sindaco di Parma, a cui Di Maio — che era pure responsabile degli enti locali del partito — non volle concedere mai un incontro. Una lenta ma costante pressione per costringere il malcapitato a commettere un errore o a lasciare la comunità politica.

Difficile, però, che questa strategia sia vincente. Primo perché gli attivisti, che oggi sono solo fan, e gli elettori M5S sono stati abituati a non tollerare gli scontri interni; secondo perché Fico ha già avuto la sua occasione e non l’ha sfruttata. Fu a fine 2016, poco prima dell’incontro di Palermo. In quel momento la popolarità di Di Maio era ai minimi storici, a causa della famosa mail “non capita” sul caso dell’assessore Muraro a Roma e il capo della vigilanza Rai aveva dalla sua parte quasi tutto il gruppo parlamentare, che aspettava solo una guida (o almeno un capro espiatorio, nel caso si mettesse male) per colpire il conterraneo. Ma non lo fece.

Ora è troppo tardi: tutti i suoi più fidati alleati sono saltati già s.ul carro del vincitore, lasciandolo isolato e Di Maio, con l’aiuto di Davide Casaleggio, si è preso il MoVimento.

“Cadesti a terra senza un lamento e ti accorgesti in un solo momento che il tempo non ti sarebbe bastato a chieder perdono per ogni peccato”